Roma, città della parola
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Roma, città della parola

Oralità Memoria Diritto Religione Poesia

Maurizio Bettini

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Oralità Memoria Diritto Religione Poesia

Maurizio Bettini

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Secondo Plinio il Vecchio, se la vitalitas dell'uomo risiede nelle ginocchia, la memoria risiede «nell'orecchio». Relegare questa affermazione nello sgabuzzino delle curiosità sarebbe un errore. «La memoria dell'orecchio» infatti ha l'immediato potere di svelarci uno dei fattori determinanti nella formazione della cultura romana, la parola parlata. I Romani cioè, e molte altre testimonianze ce lo confermano, sono ancora consapevoli del fatto che i costumi, le norme, i rituali, il ricordo del passato si tramandano (e si ricostruiscono) per via aurale. Come recita un proverbio ghanese «le cose antiche stanno nell'orecchio». A Roma non solo la produzione letteraria, ma anche il diritto, la pratica dello ius, viveva di «parola parlata», tanto che ai caratteri dell'alfabeto essa oppose spesso un'abile resistenza. E che dire del destino, concepito non come una «porzione» di vita ( móira ), alla maniera dei Greci, ma come una «parola», fatum, pronunziata dall'una o l'altra divinità? Perfino la norma indiscutibile e suprema che regolava il giusto e l'ingiusto, il lecito e l'illecito, ossia il fas, traeva origine da questa sfera: fas est, celebre e solenne locuzione romana, altro non significava se non «è parola che», proprio come molti secoli dopo si dirà «sta scritto che». Anche a Roma, però, la parola è soprattutto un evento sonoro. Come rivela la meravigliosa tessitura di «armonie foniche» che avvolgeva gli enunciati della produzione poetica, religiosa e giuridica di Roma arcaica: «armonie foniche», cosí le definí il grande Ferdinand de Saussure, che fu tra i primi ad appassionarsene.«Tirando le orecchie a qualcuno si può dunque rammentargli di comportarsi da filosofo, ovvero, forse ancora piú saggiamente, di godersi la vita: come nel caso della Morte che viene a "tirarci le orecchie" dicendo "vivete, sto per arrivare!". Toccare le orecchie, tirarle, costituiva insomma la traduzione gestuale dell' admonere, del "far ricordare". Di questo gesto rammemorativo possediamo anche rappresentazioni visive, come il grazioso cammeo che reca incisi un orecchio e una mano che con due dita ne stringe il lobo: la scritta che accompagna l'immagine recita in greco mnemóneue, "ricordati"». Il ruolo dell'oralità all'interno della società romana. Il nuovo libro dell'importante antropologo del mondo classico.

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Information

Verlag
EINAUDI
Jahr
2022
ISBN
9788858439067

Note

Prefazione.

1. Cicerone, Brutus 57 sgg.; Ennio, Annales 304 sgg. Skutsch. Sull’uso di memoria nel senso di memoria collettiva, cfr. BAROIN 2010, pp. 29 sgg.; GALINSKY 2014b.

Capitolo primo.

1. Cfr. Cicerone, Epistulae ad Atticum 4.1.5; Pro Murena 77. Era detto nomenclator anche il servo che, in casa, suggeriva al padrone i nomi di coloro che venivano a salutare la mattina. Seneca, De beneficiis 1.3.10; Epistulae ad Lucilium 19.11; De brevitate vitae 14.5. Per quanto riguarda in particolare Orazio, Epistulae 1.6.49-55, cfr. RACCANELLI 2017a.
2. Cicerone, Verrinae, Divinatio contra Quinctum Caecilium 52; De oratore 2.24.99; Quintiliano, Institutio oratoria 6.4.9; etc. Festo, De significatu verborum, pp. 122.18 sgg. Lindsay; Paolo Diacono, Epitome, pp. 123.12 sgg. Lindsay; per il monitor in funzione di praecentor, ossia colui che «praeit verbis» il sacerdote nella recitazione di una preghiera cfr. ThLL s.v. (VIII.1421.7 sgg.)
3. Paolo Diacono, Epitome (pp. 78.27 sg. Lindsay): «fartores, nomenclatores, qui clam velut infercirent nomina salutatorum in aurem candidati». Cfr. lo scolio di Porfirione a Orazio, Saturae 2.3.229 (II.276.5 Hauthal).
4. La metafora è buffa, verisimilmente comica: cfr. la nota di MÜLLER 1829, p. 88: «comica, ut videtur, horum hominum appellatio». In effetti questa metafora richiama certe immagini di Plauto, come quando l’ancella Sofoclidisca, incaricata di portare un messaggio allo schiavo Tossilo, dichiara (Plauto, Persa 182): «mi avvicinerò a lui, gli caricherò le orecchie (aures … onerabo) con le cose che sono stata incaricata di dirgli»; cfr. Seneca, Epistulae ad Lucilium 1.3.4. La metafora onus/onerare è la stessa che usiamo noi quando parliamo di «caricare» un file sul (o «scaricare» dal) computer o quella dei corrispondenti termini inglesi up-load, down-load. Sulle metafore alimentari utilizzate dai Romani per descrivere la comunicazione cfr. SHORT 2018, pp. 62-70.
5. Ovvero colui che professionalmente ingrassa gli animali destinati alla tavola (specialmente gli uccelli). Cfr. ThLL, s.v. «fartor» (VI.287.8 sgg.). Per fartor nel senso di «salsicciaio», «qui farcimina facit», si veda Donato nel commento a Terenzio, Eunuchus 257 (II.323.6 sg. Wessner): «fartores sono coloro che fanno insaccati o salsicce»; per fartor nel senso di saginator cfr. p. es. Plauto, Truculentus 105; Terenzio, Eunuchus 257 (con il commento di Eugrafio); Orazio, Saturae 2.3.229; soprattutto Columella, De agricultura 8.7.1: «far diventare grasse le galline è compito da fartor, non da contadino».
6. Cfr. supra n. 4
7. Leges duodecim tabularum, tab. III.2 (FIRA I2, p. 32). Cfr. ALBANESE 1987, p. 27 n. 72.
8. Orazio, Saturae 1.9.75 sg. Pseudo-Acrone, II.104 sg. Keller: «solebant enim aurem testium tenere et ita dicere: memento, quod tu mihi in illa causa testis eris». Cfr. anche Porfirione, II.165.5 sgg. Hauthal: «adversarius molesti illius Horatium consulit an permittat se antestari, iniecta manu extracturus ad praetorem quod vadimonio non paruerit … porro autem qui antestabatur, auriculam ei tangebat atque dicebat “licet te antestari”? si ille responderat “licet”, tum iniecta manu adversarium suum extrahebat; nisi autem antestaus esset qui inicere manum adversario volebat iniuriarum reum constitui poterat».
9. Epistulae ad Lucilium 94.59. Altre testimonianze in OTTO 1890, p. 48. Non dimentichiamo che a Roma la funzione «rammemorativa» godeva anche di una contropartita religiosa: uno degli epiteti di Iuno, infatti, era proprio Moneta, ossia «che fa ricordare» (moneo). Un tempio dedicato a Iuno Moneta sorgeva sull’arx, dedicato dal figlio di Furio Camillo, il vincitore di Veio. Per la morfologia e il significato di Mone-ta cfr. infra cap. VI, par. 2. Sui racconti relativi all’origine dell’epiteto cfr. Baroin 2010, pp. 42-44.
10. Appendix Vergiliana, Copa 38. Probabilmente questo gesto simbolico sopravvive ancora nella nostra cultura. Anche noi, infatti, dichiariamo che occorre tirare le orecchie a qualcuno per ammonirlo a non fare o non dire piú una certa cosa, pur se tale gesto sembra aver assunto un significato quasi esclusivamente punitivo: si tratta di ammonire qualcuno, e soprattutto dei bambini, a non ripetere una certa azione (D. MORRIS 1983, pp. 256 sgg.). È certo però che «una buona tirata d’orecchi», sia pure metaforica, anche per noi ha valore di monito, e dunque serba legami con la sfera della memoria. Ancora, è possibile che qualcosa di questo antico valore resti nell’abitudine moderna di tirare le orecchie a qualcuno in occasione del suo compleanno, tante volte quanti sono gli anni compiuti. Quasi a ricordargli solennemente a che punto della sua vita è arrivato.
11. Plinio, Naturalis historia 11.251. Sul rapporto fra orecchio e ...

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