I cambiamenti nel mondo tra XX e XXI secolo
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I cambiamenti nel mondo tra XX e XXI secolo

Francesco Barbagallo

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I cambiamenti nel mondo tra XX e XXI secolo

Francesco Barbagallo

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Oggi siamo di fronte a una grande frattura, a uno dei momenti storici che segnano una cesura del tempo e che in futuro continueremo a ricordare come una data fondante. E questo non soltanto per la dimensione epocale di quanto ci siamo trovati a vivere, ma anche perché la pandemia ha marchiato la fine di un tempo, i 75 anni che vanno dalla fine della seconda guerra mondiale al 2020, che ha spostato definitivamente l'asse del mondo. Un tempo storico di un'intensità eccezionale, che ha conosciuto almeno quattro fasi di profonda trasformazione. La prima, dal 1945 ai primi anni '70, è la più nota e può definirsi 'l'età dell'oro'. La seconda fase, da metà anni '70 al 1991, si caratterizza per il dominio della finanza e la rivoluzione informatica. La terza, dal 1992 al 2010, è all'insegna dell'unificazione del mercato mondiale, la 'globalizzazione', con il grande sviluppo della Cina e dei paesi asiatici. La quarta fase, il secondo decennio del XXI secolo, inizia con la crisi profonda delle politiche neo-liberistiche che avevano dominato per un trentennio: è il tempo della seconda rivoluzione digitale. Il 'capitalismo dell'informazione' cede il campo al 'capitalismo della sorveglianza'. A Occidente si riducono e degradano il lavoro umano e la democrazia, crescono la disuguaglianza e il malessere diffuso. Con il bipolarismo Usa/Cina, le grandi entità statali riprendono potere a scapito del mercato. Al principio del 2020 esplode la pandemia da coronavirus: è il cambiamento più grande dalla seconda guerra mondiale.

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Información

Año
2021
ISBN
9788858144275
Categoría
Historia

1.
L’età dell’oro al tempo del fordismo/keynesismo
e della guerra fredda

La seconda guerra mondiale si conclude con la resa incondizionata imposta alla Germania nazista fin dalla conferenza di Casablanca del gennaio 1943 dagli Stati Uniti insieme alla Gran Bretagna, che la rendono così una guerra civile mondiale, tesa all’annientamento dell’avversario, senza possibilità di alcun compromesso1.
A fine 1943, nella conferenza di Teheran, Roosevelt, Stalin e Churchill definiscono l’assetto del mondo alla fine della guerra, che ormai si prevede vittoriosa. L’Europa è affidata al controllo dell’Unione Sovietica e della Gran Bretagna, l’Asia agli Stati Uniti e alla Cina. Gli americani erano convinti di non restare a lungo sul suolo europeo e non apprezzavano il tradizionale colonialismo dell’impero britannico.
Nel febbraio 1945, a Yalta, Roosevelt, Stalin e Churchill sancivano la divisione del mondo e dell’Europa in sfere d’influenza. Il presidente Roosevelt, sicuro della supremazia americana fondata sulla potenza economica e il monopolio della bomba atomica, intendeva realizzare un riassetto mondiale basato sull’accordo tra le potenze vittoriose. Ma ad aprile, poco prima della resa della Germania, Roosevelt moriva. Le ragioni dell’alleanza antinazista tra le grandi potenze venivano meno, mentre si accentuavano i contrasti strategici e ideologici.
L’Unione Sovietica, che aveva contribuito alla sconfitta del nazismo con oltre venti milioni di morti, costruiva rapidamente la sua area di influenza militare e politica. All’occupazione dell’Armata rossa seguiva la formazione di governi a direzione comunista nei paesi dell’Europa orientale, che erano stati per lo più alleati della Germania nazista.
La Gran Bretagna era a corto di risorse finanziarie e, dopo l’ascesa laburista al potere nell’estate 1945, non intendeva anteporre gli impegni di potenza imperiale rispetto ai progetti di rinnovamento sociale interno. Puntò perciò decisamente alla realizzazione di un welfare state, secondo le linee indicate dal Rapporto pubblicato nel 1942 da Sir William Beveridge, che prevedeva un sistema sanitario nazionale, pensioni statali, sussidi familiari in un contesto orientato alla piena occupazione2.
Già nel corso della guerra erano stati delineati i presupposti del nuovo ordine mondiale, sul piano economico e sul terreno politico. Nel luglio 1944 erano stipulati gli accordi di Bretton Woods, nel New Hampshire, che definirono il nuovo sistema monetario internazionale, fondato su nuove istituzioni quali la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Nel giugno 1945 alla conferenza di San Francisco sarà istituita l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu).
Protagonisti a Bretton Woods furono il presidente Roosevelt e il ministro del Tesoro americano Henry Morgenthau, che riuscirono a spostare il controllo del denaro mondiale dalle mani dell’alta finanza privata alle mani pubbliche dei governi e delle banche centrali. A Bretton Woods non si videro banchieri e finanzieri. Le decisioni furono assunte dai governi e dai loro esperti.
Un contributo importante diede come rappresentante britannico il grande economista John Maynard Keynes, che aveva già partecipato alla conferenza di pace di Parigi del 1919, nei cui confronti era stato molto critico. L’obiettivo era di porre fine all’instabilità monetaria, che aveva sconvolto le economie capitalistiche negli anni Trenta ed era stata una delle cause che avevano portato alla guerra. La principale potenza economica vincitrice nel conflitto, gli Stati Uniti, assumeva il ruolo assolto dalla Gran Bretagna fino alla grande guerra.
La cooperazione monetaria ed economica tra gli Stati era il perno degli accordi e delle istituzioni appositamente costituite. Il Fondo monetario internazionale doveva assicurare la stabilità dei cambi tra le diverse monete, utilizzando risorse messe a disposizione dai vari paesi; doveva anche operare per l’allargamento del commercio internazionale e per l’aumento dell’occupazione. In effetti però l’obiettivo privilegiato del Fondo è stato il rigore monetario e finanziario.
La Banca mondiale aveva il compito di favorire lo sviluppo delle aree più arretrate, fornendo le risorse finanziarie richieste dal decollo produttivo e industriale. In realtà i risultati sono stati scarsi, perché la distanza tra i paesi sviluppati e quelli arretrati non si è accorciata nemmeno durante il periodo più prospero per i paesi avanzati.
Il sistema di Bretton Woods fondava la stabilità monetaria non sull’oro ma su una moneta-chiave, il dollaro. Gli Stati Uniti si impegnavano a cambiare il dollaro in oro a un valore fisso (35 dollari per un’oncia d’oro) a garanzia della stabilità del sistema. Ma era il dollaro lo strumento principale degli scambi, la vera valuta internazionale, data l’egemonia economica e militare acquisita dagli Stati Uniti. Il dollaro valeva come l’oro. Gli Stati Uniti poterono quindi finanziare una politica economica di grande espansione internazionale e di esportazione di capitali soltanto con la produzione di moneta: i dollari erano una sorta di riserva aurea per tutti i paesi.
Il sistema monetario mondiale istituito a Bretton Woods era molto più che un insieme di accordi tecnici. In effetti la ‘produzione’ del denaro mondiale fu assunta da una rete di organizzazioni governative, motivate da considerazioni di benessere e sicurezza. In pratica la Federal Reserve americana agiva di concerto con le banche centrali dei maggiori paesi europei alleati degli Stati Uniti. Era il sistema dei «cambi fissi» delle valute.
Si costituì un nuovo ordine mondiale, centrato negli Stati Uniti e da questi organizzato. Nella seconda guerra mondiale, ancor più che nella prima, gli Stati Uniti avevano funzionato come grande officina dello sforzo bellico degli alleati. E come officina, granaio e banca funzionarono per la ricostruzione europea nel dopoguerra. Le guerre mondiali avevano trasformato gli Stati Uniti nella più grande potenza economica e finanziaria, anche perché l’immenso territorio continentale non fu mai toccato dagli eventi e dalle distruzioni belliche. Nel 1938 il reddito nazionale statunitense era eguale alla somma dei redditi nazionali di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo) e tre volte il reddito dell’Unione Sovietica. Nel 1948 gli Stati Uniti avevano raddoppiato il reddito rispetto sia alle potenze europee sia all’Unione Sovietica. Le loro riserve auree erano il 70% del totale mondiale3.
La disfatta della Germania nazista pose fine alla collaborazione tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Il presidente americano Harry Truman ridusse già nel maggio 1945 i prestiti bellici all’Unione Sovietica. I contrasti si manifestarono anche nella conferenza di Potsdam dell’estate 1945, quando gli alleati ancora condivisero la prospettiva di una Germania smilitarizzata, neutrale e sottoposta a un controllo internazionale. Ma presto Stati Uniti e Gran Bretagna cambiarono atteggiamento, preoccupati che l’eccessivo indebolimento della Germania finisse per favorire l’espansionismo sovietico. A sua volta l’Unione Sovietica temeva il reinserimento della potente industria tedesca all’interno del sistema capitalistico occidentale.
Nel 1946 il conflitto tra gli alleati appariva ormai manifesto. A febbraio, in un discorso al teatro Bol’šoj di Mosca, Stalin, preoccupato di una rinascita della potenza tedesca, ribadì l’incompatibilità tra comunismo e capitalismo. Pochi giorni dopo, ai primi di marzo, in un discorso a Fulton nel Missouri, Churchill affermò che sull’Europa orientale era calata una «cortina di ferro». Intanto il presidente Truman aveva letto il «lungo telegramma» (8000 parole) inviato dall’incaricato d’affari a Mosca George Kennan, che descriveva i caratteri dell’espansionismo sovietico e sosteneva una forte politica di «contenimento» dell’Urss.
Stati Uniti e Gran Bretagna condivisero questa strategia e bloccarono le richieste sovietiche sia riguardo a pretese concessioni petrolifere in Iran, sia riguardo alle convenzioni sugli stretti dei Dardanelli e del Bosforo in Turchia. Nel settembre 1946 venne quindi annunciata l’unificazione delle zone di occupazione americana e britannica, primo passo per una soluzione della questione tedesca ben diversa da quella prospettata l’anno prima nella conferenza di Potsdam4.
La tensione si acuì nel 1947, quando il presidente Truman decise di sostituire l’esausta Gran Bretagna nel ruolo assegnatole a Yalta di controllo del Mediterraneo. Gli Stati Uniti inviarono aiuti economici e militari alla Grecia e alla Turchia in funzione anticomunista e antisovietica. Era la fine dell’alleanza bellica e l’inizio della guerra fredda nel mondo bipolare. La cosiddetta «dottrina Truman», annunciata il 12 marzo 1947, mirava al contenimento dell’espansione sovietica e del comunismo e trovava pratica realizzazione nel Piano Marshall, presentato dal segretario di Stato americano il successivo 5 giugno.
Lo European Recovery Program (Erp) si proponeva di fornire i capitali e le materie prime necessari per la ripresa dell’economia europea, integrare l’economia tedesca in un’area di scambi europea, favorire l’interdipendenza dei mercati mondiali, anzitutto tra l’Europa e il Nord America. Gli obiettivi economici del Piano Marshall si intrecciavano con quelli politico-strategici del contenimento del comunismo. Un forte sviluppo economico avrebbe stabilizzato le nazioni europee. Il consenso sociale sarebbe cresciuto a scapito dei partiti comunisti, già allontanati dai governi della Francia e dell’Italia. Una solida e prospera Europa guidata dagli Stati Uniti si sarebbe contrapposta alle mire espansionistiche dell’Unione Sovietica. Alla fine della guerra la gran parte dell’Europa era ancora in una condizione pre-industriale. Nel trentennio successivo, specie negli anni Sessanta, un enorme numero di contadini abbandonerà le campagne.
L’Urss risponderà all’iniziativa americana serrando le file degli Stati e dei partiti comunisti in una struttura organizzativa nuova, il Cominform, costituito nell’autunno 1947. Il mondo era ormai diviso in campi avversi. L’Europa non solo aveva perduto centralità e potenza, ma era divisa tra i due schieramenti.
I governi dell’Europa occidentale e i maggiori gruppi economici, nonché le forze politiche e sindacali di orientamento socialdemocratico e democristiano, accolsero il programma americano come un fondamentale sostegno finanziario e politico alle proprie strategie di consolidamento nazionale e di espansione economica. I sovietici invece denunciarono ...

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