L'amoroso pensiero
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L'amoroso pensiero

Petrarca e il romanzo di Laura

Marco Santagata

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Petrarca e il romanzo di Laura

Marco Santagata

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Si dice comunemente che le parole con le quali parliamo d'amore - all'amata o all'amato, innanzitutto - se sono sincere vengono dal cuore, ma si potrebbe anche dire, con altrettanta veritĂ , che vengono dai libri e, in particolare, da un libro che da sette secoli in qua ha insegnato a tutti gli amanti d'Occidente a esprimere quel che hanno, per l'appunto, «nel cuore». Questo libro Ăš il Canzoniere di Francesco Petrarca. Ma quale storia si cela dietro le sue straordinarie pagine? Nel 1348 in Europa infuria la peste, che mieterĂ  un terzo della popolazione. Tra le sue vittime c'Ăš Laura, la donna-musa alla quale da oltre vent'anni Francesco Petrarca dedicava poesie d'amore e della quale conosciamo poco o nulla, se non la carica seduttiva che il suo nome continua a sprigionare. Per reagire a questo clima di lutto e desolazione, oltre che a un profondo tormento interiore, il poeta aretino concepisce un progetto audace - un'autobiografia ideale dove si intrecciano realtĂ  e finzione - e lo realizza con un'opera che costituisce una novitĂ  assoluta nel panorama della letteratura medievale: un libro di poesie sotto forma di romanzo che racconta l'appassionante storia d'amore fra un uomo e una donna in cui sono piĂč che visibili i tratti del Petrarca storico e della misteriosa gentildonna di Avignone. Nasce cosĂŹ il Canzoniere, il libro che si propone di «ammaestrare» il lettore con l'esperienza di Francesco, omonimo alter ego dell'autore, per dimostrare che l'amore Ăš un sentimento irrazionale in grado di annientare chi lo prova e di dannare la sua anima, perchĂ© allontana dal vero bene. Ma condannare la passione amorosa e pentirsene significa condannare anche l'oggetto della passione, ovvero Laura, la cui luminosa immagine perĂČ si sottrae a questo disegno letterario e, verso dopo verso, da causa di perdizione morale si trasforma in sublime forza benefica e perfino salvifica. Il romanzo di Francesco diventa cosĂŹ il romanzo di Laura. Solo nella versione del Canzoniere che oggi leggiamo, ultimata poco prima di morire, Petrarca riuscirĂ  a sciogliere la contraddizione e a riportare il libro d'amore al suo assunto originario. La limpida rilettura di Marco Santagata, uno dei piĂč autorevoli studiosi di Petrarca, da un lato ci fa riscoprire l'inesauribile bellezza di un'appassionata storia d'amore che Ăš stata per secoli l'archetipo della poesia amorosa, dall'altro ci rende familiare ed empaticamente riconoscibile la tormentata figura di chi quella storia ha in parte vissuto e in gran parte immaginato, con un carico di emozionalitĂ  - fatto di introspezione, inquietudine, dubbi, pena, desiderio, turbamento, nostalgia, «male di vivere» - che da allora la lirica europea ha portato sempre con sĂ©.

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Informations

Éditeur
Mondadori
Année
2014
ISBN
9788852055201

Parte prima

IL PRIMO CANZONIERE

I

Il prologo

(1-10)

«Voi ch’ascoltate»

Le avvertenze che nel primo sonetto Petrarca impartisce ai lettori sono chiare e perfino perentorie. Quella che essi leggeranno Ăš una storia d’amore da lui vissuta in etĂ  giovanile e adesso conclusa. Il libro la racconterĂ  cosĂŹ come essa si Ăš svolta, con la stessa partecipazione emotiva di allora, ma anche con lo sguardo distaccato di chi ne Ăš uscito, la osserva da una raggiunta condizione di saggezza e la giudica. Giudizio negativo, ovviamente: passione e desiderio travolgono chi ne Ăš preda, gli tolgono la luciditĂ  razionale, lo rendono schiavo di un oggetto di desiderio che, per di piĂč, Ăš imprendibile. Frustrazione e alienazione sono i frutti amari e dolorosi dell’amore. Il libro racconterĂ  quanto sia stata lunga, penosa e piena di ricadute la strada che ha portato alla liberazione. E come, alla fine, quell’uomo che per tanti anni ha amato una creatura mortale, pentitosi di avere dilapidato gran parte della sua vita, sia approdato all’unico vero amore e abbia convertito la ricerca di un vano e labile piacere sulla terra nella speranza della felicitĂ  eterna.
Petrarca, perĂČ, non aveva considerato una circostanza importante: le prefazioni – e il primo sonetto Ăš una sorta di prefazione – si scrivono a libro ultimato, mentre, quando lui nel 1349 o 1350 al massimo compone il suo avviso ai lettori, la raccolta era ancora tutta da montare. Il primo sonetto ne ipotecava preventivamente il finale, che avrebbe dovuto esibire una sorta di «come volevasi dimostrare», ma vedremo che un libro composto di poesie in gran parte scritte nel passato, prima ancora che esistesse il progetto a cui adesso dovevano adeguarsi, opporrĂ  una tenace resistenza a obbedire a quell’ingiunzione impartitagli fin dai primi versi.

Perché? Quando?

Petrarca ha ben chiare anche quali saranno le modalitĂ  con le quali il libro che si appresta a comporre dimostrerĂ  la sua tesi. Lo farĂ  con una operazione letteraria innovativa, costruendo un racconto, una sorta di romanzo, tramite l’assemblaggio di componimenti lirici ciascuno dei quali Ăš in sĂ© autonomo e autosufficiente. Una storia esile ma progressiva farĂ  da supporto a un piĂč limpido e coerente itinerario etico e spirituale. Il libro mostrerĂ  come dagli eventi succedutisi negli anni, gradualmente, sia cresciuta la consapevolezza del soggetto innamorato, fino al rigetto e alla condanna morale di quel legame che lo aveva incatenato. Il progetto gli appare cosĂŹ solido che, attingendo ai precetti della retorica su come vada introdotto un libro unitario di impianto narrativo, non si perita di edificare un robusto piedistallo proemiale sul quale innalzare il libro delle rime. È un’altra impegnativa avvertenza ai lettori: attenti, questa non Ăš una raccolta di poesie come le altre, questo Ăš un racconto fatto di poesie.
A quello proemiale seguono quattro sonetti che, pur legati al tema amoroso, appaiono a prima vista scollegati tra loro.
Nel primo Francesco racconta che, come un armato in attesa dell’assalto nemico, la sua virtĂč era preparata a contrastare l’attacco che Amore gli avrebbe portato per vendicarsi di essere stato fino ad allora respinto, ma che l’assalto fu cosĂŹ improvviso e violento che la virtĂč non fece in tempo ad armarsi e nemmeno a guidare la ritirata del soggetto in un luogo sicuro, la rocca della razionalitĂ  che nell’uomo Ăš situata in alto, nel capo:
PerĂČ, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto né vigor né spazio
che potesse al bisogno prender l’arme,
overo al poggio faticoso ed alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, e non pĂČ, aitarme.a
Il secondo sonetto spiega, mettendo in atto per la prima volta l’accoppiamento a contrasto dei componimenti tipico del modo di procedere di questo libro, che al momento dell’assalto Francesco era disarmato e che quindi Amore non vinse in modo onorevole, tanto piĂč che si guardĂČ bene non solo di ferire, ma perfino di minacciare Laura. Francesco, dunque, si innamora di una donna che non lo ama.
Ma perché era disarmato? Perché, spiega,
Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietĂ  del suo Fattore i rai,
quando i’ fui preso, e non me ne guardai,
chĂ© i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.
Era il giorno anniversario della morte di Cristo, era un venerdĂŹ santo, e perciĂČ
Tempo non mi parea da far riparo
contra’ colpi d’Amor: perĂČ m’andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s’incominciaro.b
Mai avrebbe immaginato che in quel giorno di lutto per tutta la cristianitĂ  un sentimento cosĂŹ profano potesse penetrare, grazie alla visione dei begli occhi di una donna, fin dentro al suo cuore.
Attenzione, qui e in tutto il primo Canzoniere Petrarca non rivela la data del primo incontro (6 aprile 1327), data che avrĂ  un ruolo importantissimo nel Canzoniere definitivo; solo una volta accenna di sfuggita al fatto di essersi innamorato in aprile.11 Gli interessa unicamente che nella memoria dei lettori si fissi la corrispondenza tra l’inizio dell’amore e il giorno liturgico della Passione. CosĂŹ sarebbe apparso chiaro che il suo sentimento era nato sotto il segno del peccato, di piĂč, intriso di peccato, e proprio nel senso agostiniano: distratto dalla bellezza della creatura lui aveva tradito il Creatore, e ciĂČ nel giorno in cui avrebbe dovuto essere piĂč vicino, piĂč partecipe alla drammatica vicenda del Dio incarnato che si sacrifica per donargli la salvezza.
Il sonetto, dunque, porta in primo piano ciĂČ che l’impostazione etico-razionale del proemio lasciava solamente intravedere sullo sfondo. Ne consegue, perĂČ, che il pentimento a cui il libro dovrĂ  pervenire sarĂ  l’esito di due cammini distinti: una cosa Ăš liberarsi dallo stato di alienazione e recuperare razionalitĂ  e autocontrollo, altra cosa Ăš giudicare il sentimento amoroso una grave colpa morale e condannarla. Le due prospettive investono il giudizio sulla figura di Laura: nel primo caso, non coinvolta nel processo di liberazione del soggetto, nel secondo, oggetto lei stessa di condanna in quanto causa e agente di perdizione.

Laura

Mentre i primi due sonetti parlano dell’innamorato e della dinamica del suo innamoramento, i secondi due danno alcune informazioni sulla donna che lo fece innamorare.
Ma chi era questa donna? Che cosa sappiamo di lei?
Sappiamo che si chiamava Laura e che morĂŹ di peste ad Avignone il 6 aprile 1348. Era stata, e nell’anno della morte era ancora, la protagonista unica o pretesa tale della produzione lirica in volgare di Petrarca, a cominciare dal 1327. Il 6 aprile di quell’anno, verso le sei del mattino, il ventitreenne Petrarca l’aveva vista per la prima volta nella chiesa avignonese di Santa Chiara. Lo racconta lui stesso a piĂč riprese. Non c’ù motivo di mettere in dubbio, se non l’esattezza cronologica (giorno e ora), la veridicitĂ  dell’incontro in chiesa: in un’epoca nella quale molte restrizioni limitavano l’apparire in pubblico delle donne, anche sposate, la frequentazione delle funzioni religiose offriva una delle rare occasioni di incontro tra i due sessi. A maggior ragione, e nonostante il parere contrario di alcuni contemporanei e di molti lettori moderni, neppure la reale esistenza di Laura puĂČ essere messa in discussione. Intanto, il grande pittore Simone Martini, su richiesta di Petrarca, la «ritrasse in carte»,12 cioĂš in una miniatura, e poi nel Secretum Ăš descritta con tratti di un realismo a dir poco impietoso: «ogni giorno s’avvicina sempre di piĂč alla morte, e quello splendido corpo, stremato dalle malattie e dai frequenti parti, ha perso molto della salute di un tempo».13 Questa donna stremata dalle troppe gravidanze era dunque sposata. Come tutte, o quasi, le dame cantate dai poeti medievali. Sia nella societĂ  feudale sia in quella comunale le giovani, «promesse» in matrimonio giĂ  in tenera etĂ , non avevano una vita di relazioni; solo le donne sposate frequentavano, pur con molte cautele, la societĂ . Praticamente non c’erano donne libere alle quali poter rivolgere un corteggiamento, anche solo letterario.
Si ipotizza che la dama celebrata da Petrarca fosse una gentildonna della casata dei Noves di nome Laure, sposata con un membro della nobile e autorevole famiglia dei Sade (quella che sarĂ  del Divin Marchese); alcuni biografi antichi, invece, pensavano che essa fosse una Sade di nascita, non per acquisizione. Di certo Laura era nobile; che il nome attribuitole da Petrarca non fosse fittizio Ăš piĂč che probabile. Del resto, giĂ  cinquant’anni prima i lirici d’amore dello Stil Novo avevano abbandonato l’usanza di origine «cortese» d...

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