«Voi châascoltate»
Le avvertenze che nel primo sonetto Petrarca impartisce ai lettori sono chiare e perfino perentorie. Quella che essi leggeranno Ăš una storia dâamore da lui vissuta in etĂ giovanile e adesso conclusa. Il libro la racconterĂ cosĂŹ come essa si Ăš svolta, con la stessa partecipazione emotiva di allora, ma anche con lo sguardo distaccato di chi ne Ăš uscito, la osserva da una raggiunta condizione di saggezza e la giudica. Giudizio negativo, ovviamente: passione e desiderio travolgono chi ne Ăš preda, gli tolgono la luciditĂ razionale, lo rendono schiavo di un oggetto di desiderio che, per di piĂč, Ăš imprendibile. Frustrazione e alienazione sono i frutti amari e dolorosi dellâamore. Il libro racconterĂ quanto sia stata lunga, penosa e piena di ricadute la strada che ha portato alla liberazione. E come, alla fine, quellâuomo che per tanti anni ha amato una creatura mortale, pentitosi di avere dilapidato gran parte della sua vita, sia approdato allâunico vero amore e abbia convertito la ricerca di un vano e labile piacere sulla terra nella speranza della felicitĂ eterna.
Petrarca, perĂČ, non aveva considerato una circostanza importante: le prefazioni â e il primo sonetto Ăš una sorta di prefazione â si scrivono a libro ultimato, mentre, quando lui nel 1349 o 1350 al massimo compone il suo avviso ai lettori, la raccolta era ancora tutta da montare. Il primo sonetto ne ipotecava preventivamente il finale, che avrebbe dovuto esibire una sorta di «come volevasi dimostrare», ma vedremo che un libro composto di poesie in gran parte scritte nel passato, prima ancora che esistesse il progetto a cui adesso dovevano adeguarsi, opporrĂ una tenace resistenza a obbedire a quellâingiunzione impartitagli fin dai primi versi.
Perché? Quando?
Petrarca ha ben chiare anche quali saranno le modalitĂ con le quali il libro che si appresta a comporre dimostrerĂ la sua tesi. Lo farĂ con una operazione letteraria innovativa, costruendo un racconto, una sorta di romanzo, tramite lâassemblaggio di componimenti lirici ciascuno dei quali Ăš in sĂ© autonomo e autosufficiente. Una storia esile ma progressiva farĂ da supporto a un piĂč limpido e coerente itinerario etico e spirituale. Il libro mostrerĂ come dagli eventi succedutisi negli anni, gradualmente, sia cresciuta la consapevolezza del soggetto innamorato, fino al rigetto e alla condanna morale di quel legame che lo aveva incatenato. Il progetto gli appare cosĂŹ solido che, attingendo ai precetti della retorica su come vada introdotto un libro unitario di impianto narrativo, non si perita di edificare un robusto piedistallo proemiale sul quale innalzare il libro delle rime. Ă unâaltra impegnativa avvertenza ai lettori: attenti, questa non Ăš una raccolta di poesie come le altre, questo Ăš un racconto fatto di poesie.
A quello proemiale seguono quattro sonetti che, pur legati al tema amoroso, appaiono a prima vista scollegati tra loro.
Nel primo Francesco racconta che, come un armato in attesa dellâassalto nemico, la sua virtĂč era preparata a contrastare lâattacco che Amore gli avrebbe portato per vendicarsi di essere stato fino ad allora respinto, ma che lâassalto fu cosĂŹ improvviso e violento che la virtĂč non fece in tempo ad armarsi e nemmeno a guidare la ritirata del soggetto in un luogo sicuro, la rocca della razionalitĂ che nellâuomo Ăš situata in alto, nel capo:
PerĂČ, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto né vigor né spazio
che potesse al bisogno prender lâarme,
overo al poggio faticoso ed alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, e non pĂČ, aitarme.a
Il secondo sonetto spiega, mettendo in atto per la prima volta lâaccoppiamento a contrasto dei componimenti tipico del modo di procedere di questo libro, che al momento dellâassalto Francesco era disarmato e che quindi Amore non vinse in modo onorevole, tanto piĂč che si guardĂČ bene non solo di ferire, ma perfino di minacciare Laura. Francesco, dunque, si innamora di una donna che non lo ama.
Ma perché era disarmato? Perché, spiega,
Era il giorno châal sol si scoloraro
per la pietĂ del suo Fattore i rai,
quando iâ fui preso, e non me ne guardai,
chĂ© i beâ vostrâocchi, donna, mi legaro.
Era il giorno anniversario della morte di Cristo, era un venerdĂŹ santo, e perciĂČ
Tempo non mi parea da far riparo
contraâ colpi dâAmor: perĂČ mâandai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor sâincominciaro.b
Mai avrebbe immaginato che in quel giorno di lutto per tutta la cristianitĂ un sentimento cosĂŹ profano potesse penetrare, grazie alla visione dei begli occhi di una donna, fin dentro al suo cuore.
Attenzione, qui e in tutto il primo Canzoniere Petrarca non rivela la data del primo incontro (6 aprile 1327), data che avrĂ un ruolo importantissimo nel Canzoniere definitivo; solo una volta accenna di sfuggita al fatto di essersi innamorato in aprile.11 Gli interessa unicamente che nella memoria dei lettori si fissi la corrispondenza tra lâinizio dellâamore e il giorno liturgico della Passione. CosĂŹ sarebbe apparso chiaro che il suo sentimento era nato sotto il segno del peccato, di piĂč, intriso di peccato, e proprio nel senso agostiniano: distratto dalla bellezza della creatura lui aveva tradito il Creatore, e ciĂČ nel giorno in cui avrebbe dovuto essere piĂč vicino, piĂč partecipe alla drammatica vicenda del Dio incarnato che si sacrifica per donargli la salvezza.
Il sonetto, dunque, porta in primo piano ciĂČ che lâimpostazione etico-razionale del proemio lasciava solamente intravedere sullo sfondo. Ne consegue, perĂČ, che il pentimento a cui il libro dovrĂ pervenire sarĂ lâesito di due cammini distinti: una cosa Ăš liberarsi dallo stato di alienazione e recuperare razionalitĂ e autocontrollo, altra cosa Ăš giudicare il sentimento amoroso una grave colpa morale e condannarla. Le due prospettive investono il giudizio sulla figura di Laura: nel primo caso, non coinvolta nel processo di liberazione del soggetto, nel secondo, oggetto lei stessa di condanna in quanto causa e agente di perdizione.
Laura
Mentre i primi due sonetti parlano dellâinnamorato e della dinamica del suo innamoramento, i secondi due danno alcune informazioni sulla donna che lo fece innamorare.
Ma chi era questa donna? Che cosa sappiamo di lei?
Sappiamo che si chiamava Laura e che morĂŹ di peste ad Avignone il 6 aprile 1348. Era stata, e nellâanno della morte era ancora, la protagonista unica o pretesa tale della produzione lirica in volgare di Petrarca, a cominciare dal 1327. Il 6 aprile di quellâanno, verso le sei del mattino, il ventitreenne Petrarca lâaveva vista per la prima volta nella chiesa avignonese di Santa Chiara. Lo racconta lui stesso a piĂč riprese. Non câĂš motivo di mettere in dubbio, se non lâesattezza cronologica (giorno e ora), la veridicitĂ dellâincontro in chiesa: in unâepoca nella quale molte restrizioni limitavano lâapparire in pubblico delle donne, anche sposate, la frequentazione delle funzioni religiose offriva una delle rare occasioni di incontro tra i due sessi. A maggior ragione, e nonostante il parere contrario di alcuni contemporanei e di molti lettori moderni, neppure la reale esistenza di Laura puĂČ essere messa in discussione. Intanto, il grande pittore Simone Martini, su richiesta di Petrarca, la «ritrasse in carte»,12 cioĂš in una miniatura, e poi nel Secretum Ăš descritta con tratti di un realismo a dir poco impietoso: «ogni giorno sâavvicina sempre di piĂč alla morte, e quello splendido corpo, stremato dalle malattie e dai frequenti parti, ha perso molto della salute di un tempo».13 Questa donna stremata dalle troppe gravidanze era dunque sposata. Come tutte, o quasi, le dame cantate dai poeti medievali. Sia nella societĂ feudale sia in quella comunale le giovani, «promesse» in matrimonio giĂ in tenera etĂ , non avevano una vita di relazioni; solo le donne sposate frequentavano, pur con molte cautele, la societĂ . Praticamente non câerano donne libere alle quali poter rivolgere un corteggiamento, anche solo letterario.
Si ipotizza che la dama celebrata da Petrarca fosse una gentildonna della casata dei Noves di nome Laure, sposata con un membro della nobile e autorevole famiglia dei Sade (quella che sarĂ del Divin Marchese); alcuni biografi antichi, invece, pensavano che essa fosse una Sade di nascita, non per acquisizione. Di certo Laura era nobile; che il nome attribuitole da Petrarca non fosse fittizio Ăš piĂč che probabile. Del resto, giĂ cinquantâanni prima i lirici dâamore dello Stil Novo avevano abbandonato lâusanza di origine «cortese» d...