1.1 La ricerca delle forze che modellano il mondo
Quali sono le leggi che governano il nostro universo? Con quali mezzi possiamo conoscerle? In quale modo una simile conoscenza ci aiuta a comprendere e forse a influenzare il mondo?
Sin dallâalba dellâumanitĂ gli esseri umani sono stati profondamente interessati a domande come queste. Dapprima avevano cercato di comprendere le influenze che controllano il mondo rifacendosi a quelle cognizioni che la loro epoca metteva loro a disposizione. Avevano immaginato che qualunque cosa o chiunque controllasse il loro ambiente lâavrebbe fatto nello stesso modo con cui essi stessi si sarebbero sforzati di controllare le cose: inizialmente pensarono dunque che il loro destino fosse sotto lâinfluenza di Esseri che agivano in perfetto accordo con i loro propri impulsi umani. Impulsi quali lâorgoglio, lâamore, lâambizione, la rabbia, la paura, la vendetta, la passione, il castigo, la lealtĂ , la capacitĂ artistica. Di conseguenza, il corso degli eventi naturali â come la luce del sole, la pioggia, la tempesta, la carestia, la malattia o la pestilenza â avrebbe seguito i capricci di Dei o Dee spinti a loro volta da pulsioni umane. E la sola azione capace di esercitare unâinfluenza su questi eventi era lâappagamento degli Dei.
Gradualmente perĂČ schemi di differente natura cominciarono a dimostrarsi attendibili. Lâesattezza del movimento del Sole nel cielo e lâevidente correlazione con lâalternarsi di giorno e notte offrirono lâesempio piĂč ovvio; ma si vide anche che la posizione del Sole rispetto alla sfera celeste delle stelle era strettamente associata alla inarrestabile e regolare variazione delle stagioni, con una conseguente chiara influenza sul clima e sul comportamento della vegetazione e degli animali. Anche il movimento della Luna sembrava essere rigorosamente controllato, con le sue fasi determinate dalla sua relazione geometrica con il Sole. In quelle regioni del pianeta dove i mari aperti incontravano la terra, si notĂČ che le maree avevano una regolaritĂ strettamente governata dalla posizione (e fase) della Luna. Infine anche i moti apparenti dei pianeti, molto piĂč complicati, cominciarono a svelare i loro segreti, rivelando unâestrema precisione e regolaritĂ alla loro base. Se i Cieli erano davvero controllati dai capricci degli Dei, allora sembrava che gli stessi Dei agissero sotto lâincantesimo di precise leggi matematiche.
Allo stesso modo, le leggi che controllano alcuni fenomeni terrestri e che sembravano influenzate dai Cieli â come le variazioni giornaliere e annuali di temperatura, il flusso e riflusso degli oceani, la crescita delle piante â condividevano la regolaritĂ matematica che sembrava guidare gli Dei. Ma questa relazione tra corpi celesti e comportamento terreno potrebbe apparire a volte esagerata o mal compresa e di conseguenza assumere unâimportanza eccessiva, portando cosĂŹ agli aspetti occulti e mistici dellâastrologia. Furono necessari molti secoli prima che il rigore del sapere scientifico permettesse di districare le vere influenze dei Cieli da quelle puramente ipotetiche e mistiche. Fu tuttavia evidente fin dai primissimi tempi che simili influenze esistevano davvero e che, di conseguenza, le leggi matematiche dei Cieli devono avere importanza anche sulla Terra.
In modo apparentemente indipendente da ciĂČ, si percepĂŹ che vi erano altre regolaritĂ nel comportamento degli oggetti terrestri. Una di queste era la tendenza di tutte le cose in una stessa zona a muoversi nella medesima direzione verso il basso, conformemente allâinfluenza che adesso chiamiamo gravitĂ . Si osservĂČ che qualche volta la materia si trasformava da una forma in unâaltra, come nel caso della fusione del ghiaccio o dello scioglimento del sale, ma sembrava che la quantitĂ totale di quella materia non cambiasse mai; questa Ăš la legge che adesso chiamiamo conservazione della massa. Si notĂČ inoltre che vi erano molti corpi materiali che avevano lâimportante proprietĂ di mantenere la loro forma, fenomeno che fece sorgere lâidea di moto spaziale rigido. Divenne cosĂŹ possibile comprendere le relazioni spaziali in termini di una precisa e ben definita geometria â la geometria tridimensionale che adesso chiamiamo euclidea. Per di piĂč, risultĂČ che la nozione di «linea retta» in questa geometria era la medesima che era offerta dai raggi luminosi (o linee di mira). Queste idee possedevano una notevole precisione e bellezza ed ebbero grande fascino per gli antichi, proprio come per noi adesso.
Tuttavia, riguardo alla vita di ogni giorno, le implicazioni di questa precisione matematica per le azioni del mondo spesso apparivano banali e limitate, nonostante la matematica di per sĂ© sembrasse rappresentare una profonda veritĂ . Di conseguenza nei tempi antichi molte persone, affascinate dallâargomento, si fecero trasportare dallâimmaginazione. In astrologia, per esempio, le figure geometriche spesso assunsero connotazioni mistiche e occulte, come i presunti poteri magici di pentagrammi ed eptagrammi. Si tentĂČ persino di mettere in relazione, in modo del tutto ipotetico, i solidi platonici e gli stati elementari fondamentali della materia (vedi fig. 1.1). CosĂŹ per molti secoli non si potĂ© arrivare alle profonde conoscenze che ora abbiamo riguardo alle vere relazioni tra massa, gravitĂ , geometria, moto planetario e comportamento della luce.
Fig. 1.1 - Unâassociazione puramente di fantasia fatta dai Greci antichi tra i cinque solidi platonici e i quattro «elementi» (fuoco, aria, acqua e terra),assieme al firmamento celeste rappresentato dal dodecaedro.
1.2 VeritĂ matematica
I primi passi verso la comprensione delle vere influenze che controllano la Natura richiedevano di districare il vero dal puramente ipotetico. Ma gli antichi dovevano raggiungere altri risultati, prima di essere in grado di comprendere la Natura: quello che dovevano fare era innanzitutto scoprire il modo di districare il vero dallâipotetico in matematica. Era necessario un procedimento per dire se una data affermazione matematica puĂČ essere ritenuta vera o meno. E finchĂ© tale questione preliminare non fosse stata determinata in modo ragionevole, vi sarebbe stata ben poca speranza di dedicarsi seriamente ai problemi piĂč difficili, riguardanti le forze che controllano lâeffettivo comportamento del mondo e le loro diverse relazioni con la veritĂ matematica. La chiave per comprendere la Natura si trovava infatti in una matematica irrefutabile: la percezione di questo fatto fu forse la prima grande conquista della scienza.
Sebbene veritĂ matematiche di vario genere fossero state congetturate sin dai tempi degli antichi Egizi e dei Babilonesi, la prima solida pietra angolare della comprensione matematica â e quindi della scienza stessa â fu posta soltanto quando i grandi filosofi greci Talete di Mileto (c. 625-c. 547 a. C.) e Pitagora1 di Samo (c. 572-497 a. C.) introdussero la nozione di dimostrazione matematica. Sembra che Talete sia stato il primo a parlare della nozione di dimostrazione, ma che fu Pitagora il primo a utilizzarla per dimostrare cose che altrimenti non sarebbero state ovvie. Sembra anche che Pitagora abbia avuto la grande intuizione dellâimportanza del numero e dei concetti aritmetici per il controllo delle azioni del mondo fisico. Si dice che giunse alla sua intuizione osservando la relazione tra le piĂč belle armonie prodotte da lire e flauti e i semplici rapporti tra le lunghezze di corde vibranti o di tubi. Si dice anche che a lui si debba lâintroduzione della «scala pitagorica», i cui rapporti numerici costituiscono le frequenze che determinano gli intervalli principali su cui Ăš basata sostanzialmente la musica occidentale.2 Il famoso teorema di Pitagora, che afferma che il quadrato costruito sullâipotenusa di un triangolo rettangolo Ăš uguale alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due lati, mostra, forse piĂč di qualunque altra cosa, che vi Ăš davvero una precisa relazione tra lâaritmetica dei numeri e la geometria dello spazio fisico (vedi capitolo 2).
Pitagora ebbe una numerosa comunitĂ di seguaci â i Pitagorici â nella cittĂ di Crotone, ma la loro influenza sul mondo esterno fu ostacolata dal fatto che tutti i membri avevano giurato di mantenere il segreto. Di conseguenza, molte delle loro dettagliate conclusioni sono andate perse: solo alcune di queste erano trapelate ugualmente, con disastrose conseguenze per le «talpe», in almeno unâoccasione uccise per annegamento!
Nel lungo periodo, lâinfluenza dei Pitagorici sul progresso del pensiero umano Ăš stata enorme. Per la prima volta, con la dimostrazione matematica, era possibile fare affermazioni significative di natura inconfutabile, cosĂŹ che esse sarebbero tanto vere oggi quanto lo erano al momento della loro formulazione, a prescindere da come la nostra conoscenza del mondo sia progredita da allora. La vera natura eterna della matematica stava cominciando a rivelarsi.
Ma che cosâĂš una dimostrazione? Una dimostrazione, in matematica, Ăš un argomento ineccepibile che, impiegando soltanto i metodi del puro ragionamento logico, permette di dedurre la validitĂ di una data asserzione matematica dalla validitĂ , giĂ stabilita, di altre asserzioni matematiche e da certe affermazioni primitive â gli assiomi â la cui validitĂ Ăš ritenuta evidente. Una volta che una simile asserzione matematica Ăš stata stabilita in questo modo, Ăš chiamata teorema.
Molti dei teoremi cui i Pitagorici erano interessati erano di natura geometrica. Altri erano semplicemente asserzioni sui numeri. Quelli che riguardavano soltanto numeri hanno una validitĂ inequivocabile anche oggi, proprio come lâavevano al tempo di Pitagora. Cosa dire dei teoremi geometrici che i Pitagorici avevano ottenuto usando i loro procedimenti di dimostrazione matematica? Anchâessi hanno una chiara validitĂ oggigiorno, eppure câĂš un problema a complicare le cose. Ă una questione la cui natura Ăš piĂč comprensibile a noi, dal nostro moderno osservatorio privilegiato, rispetto a quanto lo fosse al tempo di Pitagora. Gli antichi conoscevano solo un tipo di geometria, in altre parole quella che ora chiamiamo geometria euclidea, ma adesso noi ne conosciamo molti altri tipi. CosĂŹ, nel prendere in considerazione i teoremi geometrici dellâantica Grecia, diventa importante specificare che la nozione di geometria cui ci si riferisce Ăš proprio la geometria di Euclide. (Nel § 2.4, dove sarĂ dato un esempio importante di geometria non euclidea, sarĂČ piĂč esplicito su tali questioni.)
La geometria euclidea Ăš una specifica struttura matematica, con propri specifici assiomi (che includono alcune asserzioni meno sicure, chiamate postulati), che offriva unâeccellente approssimazione di un particolare aspetto del mondo fisico. Questo era lâaspetto di realtĂ , ben familiare agli antichi greci, che faceva riferimento alle leggi che reggono la geometria di oggetti rigidi e le loro relazioni con altri oggetti rigidi, quando sono mossi nello spazio tridimensionale. Alcune di queste proprietĂ erano cosĂŹ familiari e coerenti che tendevano a essere ritenute veritĂ matematiche «ovvie» ed erano prese come assiomi (o postulati). Come vedremo nei capitoli 17-19 e nei §§27.8 e 27.11, la relativitĂ generale di Einstein â e anche la geometria di Minkowsky della relativitĂ speciale â forniscono geometrie per lâuniverso fisico che sono diverse, ma tuttavia piĂč precise della pur straordinariamente precisa geometria di Euclide. Dobbiamo quindi valutare bene, quando prendiamo in considerazione asserzioni geometriche, se sia possibile credere che gli «assiomi» siano, in qualsiasi senso, effettivamente veri.
Ma che cosa significa «vero» in questo contesto? Questa difficile questione fu apprezzata dal grande filosofo greco Platone che visse ad Atene circa dal 429 a. C. al 347 a. C., piĂč o meno un secolo dopo Pitagora. Platone chiarĂŹ che le asserzioni matematiche â le cose che potevano essere ritenute incontestabilmente vere â si riferivano non a effettivi oggetti fisici (come gli approssimativi quadrati, triangoli, cerchi, sfere e cubi che potevano essere disegnati sulla sabbia, o costruiti con legno o pietra) ma a certe entitĂ idealizzate, o idee. Egli immaginĂČ che queste entitĂ ideali abitassero un altro mondo, distinto dal mondo fisico. Oggigiorno possiamo fare riferimento a questo mondo come al mondo platonico delle forme matematiche. Le strutture fisiche, come i quadrati, i cerchi o i triangoli ritagliati dal papiro o tracciati su una superficie piatta, o forse i cubi, i tetraedri o le sfere scolpiti nel marmo, potrebbero essere rigorosamente conformi a questi ideali, ma soltanto in modo approssimato. I reali quadrati, cubi, cerchi, sfere, triangoli matematici non farebbero parte del mondo fisico, ma risiederebbero nel mondo matematico delle forme idealizzate di Platone.
1.3 Il mondo matematico di Platone Ú «reale»?
Questa fu unâidea straordinaria per quellâepoca, e si Ăš rivelata molto potente. Ma il mondo matematico platonico esiste effettivamente, in qualsiasi senso? Molti tra filosofi e persone comuni potrebbero ritenere un simile «mondo» una perfetta finzione, un esclusivo prodotto della nostra sfrenata immaginazione. Tuttavia il punto di vista platonico ha davvero un immenso valore. Ci dice di prestare attenzione a distinguere le esatte entitĂ matematiche dalle approssimazioni che vediamo intorno a noi nel mondo delle cose fisiche. Inoltre ci fornisce lo schema in base al quale la scienza moderna ha proceduto da allora. Gli scienziati suggeriscono modelli del mondo â o piuttosto di certi aspetti del mondo â e questi modelli possono essere testati contro osservazioni precedenti e contro i risultati di esperimenti accuratamente progettati. I modelli sono ritenuti appropriati se superano questi rigorosi esami e se, oltre a ciĂČ, sono strutture internamente coerenti. Per la nostra attuale discussione, il punto importante riguardo questi modelli Ăš che essi sono fondamentalmente modelli matematici puramente astratti. La questione stessa della coerenza interna di un modello scientifico, in particolare, richiede che il modello sia esattamente specificato. Questa precisione esige che il modello sia matematico, perchĂ© altrimenti non si puĂČ essere sicuri che tali questioni abbiano risposte ben definite.
Se al modello in sĂ© viene assegnato qualsiasi genere di «esistenza», allora questa esistenza Ăš collocata nel mondo platonico delle forme matematiche. Naturalmente, si potrebbe assumere un punto di vista opposto: e precisamente che il modello in sĂ© esista soltanto nelle nostre menti, invece di ritenere che il mondo di Platone sia in un qualsiasi senso assoluto e «reale». Tuttavia si possono raggiungere significativi risultati postulando che le strutture matematiche abbiano una propria realtĂ . Le nostre menti individuali, infatti, sono notoriamente imprecise, inaffidabili e incoerenti nei loro giudizi. La precisione, lâaffidabilitĂ e la coerenza, che le nostre teorie scientifiche richiedono, esigono qualcosa che vada oltre ciascuna delle nostre labili menti individuali. Nella matematica troviamo una consistenza decisamente maggiore rispetto a quella che puĂČ trovarsi in una qualunque mente particolare. Tutto ciĂČ non si rivolge a qualcosa al di fuori di noi e a una realtĂ che si trova al di lĂ di ciĂČ che ciascun individuo puĂČ raggiungere?
Nonostante ciĂČ, si potrebbe ancora assumere il punto di vista alternativo che il mondo matematico non abbia alcuna esistenza indipendente e consista soltanto di certe idee, distillate dalle nostre menti, talmente degne di fiducia che hanno conquistato il consenso di tutti. Ma anche questo punto di vista Ăš manchevole sotto molti riguardi. Il «co...