I.
LâEtiopia sotto assedio
1. La propaganda del disprezzo
La guerra di aggressione allâEtiopia fu preceduta da unâimponente strategia di ricerca del consenso sia sul piano diplomatico sia su quello dellâopinione pubblica. Il casus belli riguardĂČ lâincidente frontaliero presso i pozzi di Ual Ual, al confine tra Etiopia e Somalia italiana, area rivendicata dallâEtiopia da almeno un decennio, dove il 5 dicembre 1934 uno scontro a fuoco fra truppe italiane ed etiopiche diede a Mussolini il pretesto per unâaggressione in grande stile, motivandola come risposta ad una «provocazione» inaccettabile. Alla fine del mese, Mussolini avviĂČ una mobilitazione militare senza precedenti nelle colonie confinanti della Somalia e dellâEritrea, consegnando ai suoi collaboratori un promemoria dattiloscritto, dal titolo Direttive e piano dâazione per risolvere la questione italo-abissina, in cui motivava lâaggressione con lâesigenza di risolvere definitivamente un «problema storico», riscattando finalmente quella vergogna nazionale subita con la sconfitta di Adua del 1896. La guerra si andĂČ prefigurando con caratteri moderni e dimensioni molto piĂč larghe e massicce delle tradizionali guerre coloniali e anche di quelle previste dal piano De Bono del 1932. In pochi mesi, gli effettivi militari trasferiti in Africa orientale raggiunsero allâincirca il mezzo milione di uomini (una cifra equiparata o superata solo dai francesi nella guerra dâAlgeria del 1954-1962 e dagli americani in quella del Vietnam del 1965-1973), mentre i materiali, compresi gli animali da soma e da combattimento, e gli armamenti bellici si attestarono attorno ai tre milioni di tonnellate.
La volontĂ di conquista, tuttavia, andava a toccare i delicati equilibri internazionali sorti dalla Grande Guerra, poichĂ© infrangeva le norme statutarie della SocietĂ delle Nazioni, che proibivano il ricorso al conflitto tra Stati membri, comâerano lâItalia e lâEtiopia. Occorreva dunque fare i conti con le cancellerie europee, in primis quelle di maggior peso come Parigi e Londra, per assicurarsene lâapprovazione o, almeno, la neutralitĂ . Infine la congiuntura internazionale favorĂŹ lâappoggio dellâInghilterra e della Francia, le quali, benchĂ© per ragioni diverse, lasciarono al duce libertĂ dâazione.
Soprattutto, si trattĂČ di una guerra â secondo gli auspici del duce â a tutti gli effetti «nazionale», i cui obiettivi convergevano sulla sconfitta definitiva dellâavversario e sulla sua sottomissione. A questo scopo, occorreva renderla «popolare», fornendo agli italiani motivazioni convincenti attraverso una macchina propagandistica mai azionata prima, favorita dai nuovi mezzi che la tecnica aveva messo a punto. BenchĂ© giĂ sperimentato parzialmente in occasione della prima guerra dâAfrica del 1896, e in modo piĂč massiccio con la conquista della Libia del 1911 e la Grande Guerra del 1915-1918, lâelemento propaganda fu fondamentale per convogliare gli italiani attorno a quella che Mussolini intendeva presentare come una «guerra nazionale» per «vendicare» lâonta di Adua.
A partire dal â34, tutte le istituzioni e gli enti del regime si impegnarono nella campagna di propagazione per affermare le prospettive di una conquista giusta e necessaria. A distinguersi in questa strategia fu, in particolare, lâUfficio stampa del capo del governo, diretto da Galeazzo Ciano, la cui azione fu tanto consistente da acquisire funzioni istituzionali piĂč definite, divenendo nel giugno â35 ministero per la Stampa e la Propaganda e, nel maggio â37, ministero della Cultura popolare (Minculpop).
Attraverso gli strumenti della propaganda â principalmente la stampa, ma particolarmente incisive furono anche la radio e i cinegiornali LUCE â, i risvolti dolorosi e tragici del conflitto, con le sue violenze e le sue perdite di vite umane, trovarono una sublimazione «epica», che riuscĂŹ a creare un sentimento di entusiasmo collettivo e di forte appartenenza nazionale. Temi dominanti della propaganda furono la missione civilizzatrice nei confronti di unâEtiopia barbara e schiavista e lâespansione della civiltĂ cristiana. Soprattutto, le rappresentazioni riprendevano vecchi stereoÂtipi e retaggi propri dellâesperienza coloniale, non solo italiana: lâAfrica esotica e misteriosa, gli africani ingenui bambini o crudeli selvaggi, la donna africana in attesa del bianco civilizzatore, e non ultimo il missionario cattolico. A differenza del colonialismo in etĂ liberale, il fascismo impresse a tali percezioni un orientamento fortemente razzista, in cui netto era il contrasto tra un colonizzatore idealizzato e i colonizzati vinti, ritratti con sembianze animalesche. A ciĂČ il regime aggiunse unâesaltazione nazionalistica e una simbologia, che fecero presa in molti settori della societĂ italiana, attorno al culto personalistico del duce e allâidea di un destino imperiale dellâItalia. BenchĂ© dal â25 il regime si fosse impegnato per organizzare «una nazione per la guerra», con la formazione di una coscienza militarizzata degli italiani attraverso una rete di centri e comitati, dal â34 le energie propagandistiche si intensificarono e si concentrarono sul tema del binomio «cittadino-soldato». Le disposizioni del sottosegretario dellâUfficio stampa e propaganda Galeazzo Ciano mirarono, a partire dal gennaio â35, a colpire i quotidiani non ancora allineati alle direttive del regime, imponendo di rappresentare lâAbissinia come un paese di straccioni, arretrato e barbaro.
In questa crescente campagna finĂŹ per innestarsi anche la propaganda cattolica. AllâEtiopia, sin dai primi decenni dellâOttocento, si era rivolta lâattenzione del mondo missionario. Qui si era speso lâimpegno di Giustino de Jacobis, Giuseppe Sapeto, Guglielmo Massaja, perseguendo lâidea di portarvi il cattolicesimo e riscattarla dallâ«eresia» in cui era caduta con la separazione calcedonese del 451 d.C., in vista di un «ritorno» allâunitĂ con la Chiesa di Roma. La nascita di comunitĂ cattoliche ispirate al modello latino tra popolazioni non cristianizzate (Bogos, Mensa, Galla) aveva suscitato non di rado una percezione ostile fra i cristiani etiopici. Nonostante queste difficoltĂ , lâazione missionaria aveva teso, lungo lâOttocento e i primi decenni del Novecento, ad intrattenere relazioni di fiducia con la corte imperiale. Fu la guerra dâEtiopia ad imprimere un drastico cambiamento di opinioni e di approcci. Lâincalzante propaganda messa in campo dal regime influĂŹ fortemente su molti ambienti del cattolicesimo italiano, circuendoli in un clima di esaltazione nazional-patriottica. La storiografia piĂč recente, a questo proposito, ha messo in luce un panorama complesso di toni e motivazioni, non appiattito tout court sulla legittimitĂ della guerra, ma certo facilmente manipolabile dalla propaganda del regime.
Il caso piĂč noto fu quello dellâomelia tenuta nel duomo di Milano dal cardinal Schuster il 28 ottobre 1935, in occasione dellâanniversario della marcia su Roma, la quale si concludeva con un forte richiamo alla «missione nazionale e cattolica» che animava la guerra appena iniziata:
Cooperiamo pertanto con Dio in questa missione nazionale e cattolica di bene; soprattutto in questo momento in cui, sui campi dâEtiopia, il vessillo dâItalia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le strade ai Missionari del Vangelo! [...] Pace ai caduti che perĂČ spirarono al compimento del dovere, nella Fede e nella grazia di GesĂč Cristo. Pace e protezione allâesercito valoroso, che in obbedienza intrepida al comando della Patria, a prezzo di sangue apre le porte di Etiopia alla Fede Cattolica e alla civiltĂ romana.
BenchĂ© lâimpianto dellâomelia avesse radice in una visione spirituale, tesa a «cristianizzare» il fascismo per la restaurazione di un regime di cattolicitĂ , le sue esortazioni per la «redenzione dellâEtiopia dalla schiavitĂč e dallâeresia» e, soprattutto, quella conclusiva per la «perpetua missione dellâItalia Cattolica e di quella Roma dantesca onde Cristo Ăš Romano» innestavano il mito di Roma «cittĂ sacra», terreno di convergenza tra espansione missionaria e prospettiva imperiale. La sua autorevolezza sulla scena pubblica italiana, ampiamente utilizzata dalla propaganda fascista, suscitĂČ vivaci reazioni di preoccupazione e anche di dissenso nel mondo cattolico francese, olandese e americano. Lo stesso Pio XI â che, con lâenciclica Rerum Ecclesiae del 1926, si era speso per svincolare il rilancio missionario dallâespansionismo delle potenze coloniali â parve ritenere eccessive le espressioni del cardinale, dopo aver disapprovato con un noto discorso del 27 agosto 1935 alle infermiere cattoliche il profilarsi di una guerra in Etiopia. Riprendendo la svolta di Benedetto XV in merito allâautonomia dellâimpegno missionario dallâespansione coloniale, Pio XI avvertĂŹ la necessitĂ di nuovi approcci con il mondo extraeuropeo, distanti dalle visioni razziste legate allâesperienza coloniale. In questa prospettiva, negli anni Venti intensificĂČ la sua attenzione nei confronti dellâEtiopia cristiana: convinto che lâantica «separazione» della Chiesa etiopica dovesse risolversi con un atto di riunificazione con Roma, Pio XI aveva ...