Medioevo, fonti, editoria. La Deputazione di storia patria per le Venezie (1873-1900)
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Medioevo, fonti, editoria. La Deputazione di storia patria per le Venezie (1873-1900)

Ermanno Orlando

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Medioevo, fonti, editoria. La Deputazione di storia patria per le Venezie (1873-1900)

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Informazioni sul libro

Il volume analizza il primo trentennio di vita e attività della Deputazione di storia patria per le Venezie, con particolare attenzione all'esame delle sue politiche editoriali. Il volume intende inoltre indagare i contenuti e le metodologie della medievistica veneziana e veneta; gli orientamenti culturali della Deputazione; il ruolo di collegamento tra il centro e le singole tradizioni municipali venete esercitato dal sodalizio; le relazioni con gli istituti di ricerca del regno d'Italia e il significato degli studi sul medioevo e sulle fonti medievali nella costruzione di una identità nazionale; infine, l'impegno profuso dall'istituto nella promozione e divulgazione delle fonti locali e il suo concorso al consolidamento di un metodo per la loro edizione. Ermanno Orlando è attualmente ricercatore di Storia medievale presso l'Università per stranieri di Siena. Si occupa di storia di Venezia nel basso medioevo, di storia politica e culturale del mondo mediterraneo e di storia del commercio e della mobilità umana.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788864534718
Ermanno Orlando

Medioevo, fonti, editoria.
La Deputazione di storia patria per le Venezie (1873-1900)

Firenze University Press
2016

Ringraziamenti

Il presente volume è un prodotto delle attività svolte nell’ambito del PRIN 2010-2011, Concetti, pratiche e istituzioni di una disciplina: la medievistica italiana nei secoli XIX e XX (coordinatore nazionale prof. Roberto Delle Donne, Università di Napoli “Federico II”; unità di ricerca dell’Università di Verona, coordinata dal prof. Gian Maria Varanini). Il mio debito più grande va a Gian Maria Varanini, con il quale ho avuto la fortuna e il piacere di collaborare all’interno del progetto. Sono pure grato a quanti hanno letto il volume, in particolare Marino Zabbia e Gianmarco De Angelis. Un ringraziamento speciale va ai due referees anonimi che hanno esaminato e giudicato la prima versione del lavoro, i cui suggerimenti e consigli, sempre molto puntuali e pertinenti, sono risultati di grande stimolo nella stesura della versione finale. Da ultimo, la mia gratitudine va a Francesca Cavazzana Romanelli, con cui ho potuto, prima della sua scomparsa, scambiare idee e riflessioni e che ha letto attentamente e chiosato una prima redazione del libro.

Avvertenze

Nelle note a piè di pagina si è adottato il criterio corrente della collana Reti Medievali. E-Book, vale a dire la soluzione di citare le opere nella modalità cognome dell’autore e titolo abbreviato, rinviando, per la citazione completa, alla bibliografia a fine testo. Si è fatta, tuttavia, eccezione per tutti quei resoconti, note, verbalizzazioni di adunanze, prolusioni, informazioni e materiali simili pubblicati negli «Atti della Deputazione Veneta di Storia patria», o di quegli opuscoli a stampa, per lo più occasionali, conservati nelle buste dell’Archivio della Deputazione di storia patria per le Venezie, dei quali si è preferito, per non appesantire troppo la bibliografia, dare già in nota la citazione completa.

Abbreviazioni

ADSPV Archivio della Deputazione di storia patria per le Venezie
Atti «Atti della Deputazione Veneta di Storia patria», poi «Atti della R. Deputazione Veneta di Storia patria»
AV «Archivio Veneto»
DBI Dizionario Biografico degli Italiani
MGH Monumenta Germaniae Historica
NAV «Nuovo Archivio Veneto»
RIS Rerum Italicarum Scriptores



Medioevo, fonti, editoria.
La Deputazione di storia patria
per le Venezie (1873-1900)

Capitolo 1 Genesi, fisionomia e programmi di una istituzione culturale

1. Introduzione

Ad appena un lustro dall’annessione del Veneto all’Italia (nell’ottobre 1866, in seguito alla pace di Vienna), Bartolomeo Cecchetti1, dalle pagine degli «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti», si rammaricava profondamente per un ritardo che faceva fatica a sopportare e che nemmeno riusciva del tutto a comprendere: sebbene gli “stranieri” fossero stati finalmente ricacciati «donde erano venuti» e la regione si fosse riappropriata dei propri «tesori storici» – a partire dalle fonti «del passato», tra «le cose più care di questa terra» –, per la cultura veneta non sembrava venuto ancora il momento del riscatto e della definitiva affrancazione dal giogo forestiero. Era come se la regione stentasse a scrollarsi di dosso l’«amaro» che per lunghi decenni aveva «dovuto inghiottire» e le «ingiustizie» del passato e, nonostante l’euforia e l’entusiasmo con cui si erano salutate la ritrovata indipendenza e l’annessione al regno italiano, non fosse ancora scoccata per il Veneto l’ora di rimboccarsi le maniche e accingersi all’«opera», in modo da recuperare il tempo perduto e ridurre lo scarto accumulato con le storiografie straniere. Per rimettersi al passo, non c’era altra soluzione che liberare gli ormeggi e creare le condizioni più favorevoli per poter “operare”, così da permettere la ripresa degli studi storici ed impedire ai «maestri» d’Oltralpe di trattare gli studiosi locali «come novizi nel campo della storia» o, peggio ancora, come «poeti»: avendo chiari gli obiettivi, ossia che l’auspicato rinnovamento storiografico doveva necessariamente cominciare da una preliminare e sistematica campagna di edizioni «dei documenti per la storia»; ma soprattutto individuando le istituzioni che avrebbero dovuto trainare e farsi carico di tale gravoso compito, vale a dire le Deputazioni e le Società di storia patria, le molte già formate sul suolo italiano ma anche quelle «non ancora iniziate», come quella veneta2.
La stagione pre- e post-unitaria – tra le più intense, come è stato felicemente scritto, della medievistica italiana – aveva, infatti, visto pressoché in ogni angolo della penisola, anche se con tempistiche e modalità diverse, la formazione di una fitta rete di Deputazioni e Società volte al recupero e alla promozione della memoria storica3. I processi di edificazione dello stato unitario avevano provocato nuovi entusiasmi e spalancato nuove prospettive, smuovendo bisogni profondi ma da tempo repressi o sopiti. Dappertutto si era sentita l’esigenza di recuperare una memoria comune e di dare corpo e sostanza a quei sentimenti di patria e appartenenza certo intensi, ma talora ancora un po’ confusi e incerti. Era cresciuta la fame di storia, di recupero di un passato condiviso in cui fosse agevole immedesimarsi e che potesse accelerare i processi in atto di costruzione di un’identità collettiva e di una comune coscienza nazionale. Nello stesso tempo, però, era aumentata la consapevolezza che la storia, prima ancora di essere divulgata, doveva essere necessariamente ripensata, e che pertanto fosse essenziale renderne accessibili, in via prioritaria, le fonti, deposito unico e insostituibile di ogni tradizione e di ogni appartenenza4.
La Regia Deputazione sopra gli studi di storia patria di Torino, istituita con regio brevetto il 20 aprile 1833, aveva fatto da apripista e rappresentato il modello di riferimento comune, in quanto prima istituzione pubblica deputata interamente alla ricerca storica e alla promozione della memoria documentaria dello stato sabaudo5. Da allora diversi altri sodalizi simili avevano fatto la loro comparsa sul suolo italiano: sorti o per gemmazione-scissione dal corpo originario della Deputazione torinese, come nel caso della Società ligure di storia patria (fondata nel 1857)6, o per imitazione dello stesso istituto, come era stato nel 1854 per la fugace Società storica parmense, fondata espressamente, sul modello torinese, per incentivare gli studi storici nel ducato di Parma e Piacenza7. In particolare dopo l’unità, una volta rientrata la prospettiva, accarezzata forse per un attimo, di trasformare il sodalizio sabaudo nell’unica Deputazione italiana, con competenza su tutti i territori del regno, i processi di formazione di nuovi sodalizi preposti alla ricerca storica su scala regionale avevano subito una ulteriore accelerazione8. In qualche modo, già la creazione in Emilia nel 1860 di tre Deputazioni, ciascuna per ognuno degli stati pre-unitari della regione, vale a dire i ducati di Parma e Piacenza e di Modena e la legazione di Romagna (con sede a Bologna), voluta dal governatore Luigi Carlo Farini (1812-1866) appena prima dell’annessione al regno d’Italia, aveva scongiurato l’eventualità di una Deputazione nazionale unica, sollecitando di contro la creazione di altri istituti simili nel resto della penisola9. Da allora l’intero regno si era ricoperto di Deputazioni e Società sorte sul modello piemontese e su base regionale o provinciale: a partire nel 1862 dalla Deputazione di storia patria per la Toscana, con giurisdizione estesa all’Umbria e alle provincie marchigiane, fondata anche per risollevare dalle difficoltà in cui allora versava la prima rivista storica sorta in ambito italiano, l’«Archivio storico italiano»10; per passare poi, in rapida successione, alla formazione nel 1873 della Società siciliana per la storia patria11; nel 1874 della Società storica lombarda (per secessione dalla Deputazione sabauda)12; nel 1875 della Società napoletana di storia patria13; nel 1876 della Società romana di storia patria14; per finire, nel 1895-1896, con la creazione della Società storica subalpina, nata da una costola della Deputazione sabauda per impulso di Ferdinando Gabotto (1866-1918)15.
Dove erano sorte, tali Deputazioni e Società avevano corrisposto proprio al bisogno primario espresso a viva voce dal Cecchetti nella sua memoria pronunciata all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti: mettere a disposizione degli storici la più larga collezione di fonti possibili, in preferenza narrative, normative e documentarie, nel rispetto – quanto meno nelle intenzioni16 – delle più progredite e rigorose metodologie di edizione dell’epoca. Dopo il compimento dell’unità nazionale la domanda di storia – o meglio, di storie: le storie delle piccole patrie, come premessa indispensabile alla storia della patria comune – era cresciuta ovunque, esercitando, come detto, un richiamo irresistibile. Alle Deputazioni era toccato il compito di soddisfarne la richiesta, approntando gli strumenti idonei di divulgazione, coordinando le risorse e le iniziative e armonizzando i diversi livelli di interlocuzione, quello municipale e quello regionale e nazionale. Inoltre, ad esse era spettato favorire, almeno sulla carta, da un lato il progresso della ricerca storica adeguandola ai più progrediti standard europei – sia in termini di metodi che di interpretazioni –, così da sprovincializzare le storiografie locali, immetterle nei circuiti internazionali e scrostarle da quella patina di stantio e obsoleto in cui rischiavano di soffocare, strette com’erano nella morsa di una vecchia tradizione erudita tanto gloriosa quanto spesso, oramai, antiquata; dall’altra, predisporre gli strumenti indispensabili ad ogni ulteriore sviluppo scientifico, vale a dire buone pubblicazioni di fonti, secondo i più avanzati livelli editoriali del tempo. In tal modo esse avevano contribuito a coniugare la ricerca accademica di alto profilo scientifico con l’erudizione locale, non sempre all’altezza della migliore ricerca europea17, a connettere tra loro le memorie municipali con la storia nazionale – sul principio che le prime erano le tessere indispensabili alla costruzione, ma solo a posteriori, del grande mosaico della storia patria –, e a coordinare i diversi piani di comunicazione, fungendo da propulsore alle dinamiche di state building e di edificazione di una identità nazionale18.
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