Donne che non perdonano
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Donne che non perdonano

Camilla Läckberg

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Donne che non perdonano

Camilla Läckberg

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Informazioni sul libro

«È vero, stava per uccidere un uomo, ma avrebbe anche liberato una donna. La somma algebrica delle sue azioni sarebbe stata uguale a zero. E poi un'altra persona avrebbe liberato lei».

PRIMA EDIZIONE MONDIALE

Camilla Läckberg ha venduto oltre venti milioni di copie nel mondo.

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Informazioni

Editore
EINAUDI
Anno
2018
ISBN
9788858429921

Parte prima

Ingrid

Quando suo marito entrò in soggiorno, Ingrid Steen nascose l’oggetto che aveva in mano nella fessura tra i cuscini del divano.
Tommy le passò davanti con un sorriso meccanico e proseguí verso la cucina, dove si mise a frugare nel frigorifero canticchiando The River di Bruce Springsteen.
Ingrid si alzò dal divano e si affacciò alla finestra. Fuori i lampioni lottavano contro il buio di novembre tra i rami contorti degli alberi spogli. Dalla casa di fronte arrivava la luce tremolante di un televisore.
Tommy si schiarí la gola alle sue spalle.
– Com’è andata la giornata?
Lei lo guardò senza rispondere. In una mano teneva mezza polpetta fredda, nell’altra un bicchiere di latte. Aveva i capelli radi, da sempre, ma dopo i trent’anni aveva almeno avuto il buon gusto di radersi a zero. Il fondo della camicia era stazzonato, dopo esser rimasto tutto il giorno infilato nei pantaloni.
– Bene.
Tommy sorrise.
– Mi fa piacere.
Ingrid restò a guardare la schiena di suo marito che si allontanava. Tommy, un nome da operaio. Bruce Springsteen, un eroe da operai. E invece da quando era diventato direttore del principale tabloid del Paese, l’«Aftonpressen», si erano trasferiti a Bromma, il quartiere dell’alta borghesia in generale e dell’élite giornalistica svedese in particolare.
Non appena nello studio riprese il suono di dita che battevano sulla tastiera, Ingrid tornò al divano e infilò una mano tra i cuscini. Pescò uno dei vecchi giocattoli di sua figlia Lovisa, un piccolo dinosauro verde che la fissava con occhi sovradimensionati, e lo posò sul tavolino. Continuò a frugare fino a trovare quello che cercava, dopodiché uscí nell’ingresso con l’apparecchietto in mano.
Il ticchettare di dita che scrivevano, davano disposizioni e cambiavano titoli aumentò di intensità.
Ingrid prese il giaccone di Tommy dall’attaccapanni, con il kit da cucito nella tasca dei jeans che le premeva sul gluteo sinistro. Salí al piano di sopra ed entrò in bagno. Dopo aver posato il kit sul lavandino, chiuse la porta a chiave e abbassò il coperchio del water. Scucí un pezzetto della fodera interna del giaccone, ci infilò dentro l’apparecchio e verificò che funzionasse prima di ricucire il tessuto lucido con un paio di punti.

Victoria

Fino a tre anni prima di cognome faceva Volkova, viveva nella grande città russa di Ekaterinburg e la sua conoscenza della Svezia era limitata al poco che aveva studiato alle lezioni di Storia e Geografia. Ora invece si chiamava Brunberg e viveva a Sillbo, a una decina di chilometri da Heby, nella Svezia centrale. Parlava svedese con un forte accento russo e non aveva né amici né un lavoro.
Con un sospiro, versò il tè bollente in una tazza nera con la scritta «Sweden Rock».
Il vento si infilava gemendo nelle fessure della finestra. Fuori c’erano campi, boschi e cielo grigio. Facendo schermo con la mano per risparmiarsi la squallida vista, Victoria si sedette al tavolo della cucina e ci allungò i piedi sopra. Strinse le mani attorno alla tazza e chiuse gli occhi. Tutto in quel posto, in quel Paese, faceva schifo.
– Jurij, – bisbigliò.
La principessa dei gangster, era cosí che la chiamavano i suoi amici di Ekaterinburg per prenderla in giro. Ma a lei piaceva. Adorava i diamanti, le droghe, le cene, i vestiti e l’appartamento in cui vivevano lei e Jurij.
Tutte cose che aveva perso il giorno del suo ventesimo compleanno, quando Jurij era stato ucciso. Ormai il suo corpo doveva essersi decomposto fino a essere irriconoscibile. La sua schiena pelosa, le mani grandi, la mascella squadrata… niente di lui esisteva piú.
Gli avevano sparato mentre festeggiavano il compleanno di Victoria in un night club. Il suo sangue le aveva macchiato la pelliccia bianca gettata su un divano del locale. Il killer avrebbe voluto ammazzare anche lei, ma il terzo colpo aveva mancato il bersaglio, uccidendo invece una delle guardie del corpo di Jurij.
A Victoria non era rimasta altra scelta se non rifugiarsi a casa di sua madre, a un’ora di macchina dalla città. Era stata lei a suggerirle il sito in cui gli uomini svedesi cercavano una donna russa.
«Gli svedesi sono gentili e malleabili», le aveva detto.
Victoria aveva obbedito a sua madre, come faceva quasi sempre. Aveva caricato sul sito un paio di fotografie e nel giro di due giorni aveva ricevuto centinaia di messaggi. Tra tutti i candidati, aveva scelto Malte: nelle foto sembrava gentile, una specie di bambinone dagli occhi buoni, in sovrappeso e con l’aria timida. Le aveva mandato i soldi per l’aereo e due settimane dopo Victoria era entrata per la prima volta nella casetta gialla di Sillbo.
Dal cortile arrivò il rumore della moto di Malte. Di giorno lavorava al distributore Shell all’uscita di Heby. Victoria tolse i piedi dal tavolo e si affacciò alla finestra. Sotto la mole di Malte, la moto appariva minuscola, come un pony montato da Godzilla. Subito dopo arrivò anche un furgoncino bianco, che entrò in cortile e parcheggiò accanto alla moto. Lars aprí la portiera del passeggero, prese una confezione grande di birre e la trascinò verso l’ingresso. Era venerdí, avrebbero bevuto fino a crollare. Malte tirò subito fuori una lattina e la bevve avidamente, facendo vibrare i rotoli di grasso che aveva attorno al collo. I due uomini sparirono dalla visuale di Victoria, che un attimo dopo sentí girare la chiave nella toppa.
Entrarono senza togliersi le scarpe. Vedendo le impronte di fango umido e scuro che lasciavano sul parquet, Lars ebbe un attimo di esitazione.
– Fottitene. La stronza sarà solo felice di avere qualcosa da fare, in fondo è a casa tutto il giorno, – disse Malte senza guardarla.
Lars sorrise imbarazzato, incrociando gli occhi di Victoria per mezzo secondo, poi borbottò un saluto e posò la lattina sul tavolo. Malte si avvicinò al fornello.
– Vediamo che schifezze hai preparato oggi, – disse sollevando il coperchio. Indietreggiò per il vapore, strizzando gli occhi. Dopo averlo eliminato agitando un paio di volte la mano, guardò nella pentola, mentre Lars si apriva un’altra birra.
– Patate. Bene, molto bene.
Poi si diede un’occhiata attorno e allargò le braccia.
– Tutto qui?
– Non sapevo a che ora sareste arrivati. Adesso vi friggo delle salsicce.
Malte sbuffò e guardò l’amico alle spalle di Victoria. Fece il verso alla moglie con voce acuta, calcando l’accento russo. Lars ridacchiò, spruzzandosi il mento di birra.
– È carina, ma non particolarmente sveglia, – proseguí Malte. Altra birra colò sul mento di Lars.
Si sentiva addosso la puzza di cibo. Malte aveva promesso di aggiustare la ventola, ma non lo faceva mai. Victoria infilò i piatti sporchi nella lavastoviglie mentre i due uomini stavano stravaccati sul divano, davanti al tavolino pieno di lattine vuote. Presto si sarebbero addormentati, allora la giornata di Victoria sarebbe iniziata sul serio. Lanciò un’occhiata verso il divano per controllare dov’era il cellulare di Malte e si tranquillizzò quando lo vide appoggiato tra due lattine.
– Avrei dovuto prendermi una thailandese, come hai fatto tu. Cucina migliore, pompini migliori, – osservò Malte con un rutto.
– Rimandala a casa, allora, – ridacchiò Lars.
– Già, perché no? Chissà se c’è il diritto di recesso sulle donne ordinate per corrispondenza, – sbuffò Malte.
– I soldi di sicuro non te li ridanno. Al massimo un buono omaggio.
– Già, la merce ormai è stata usata e strausata.
Le risate esplosero proprio mentre la lavastoviglie si metteva in funzione.

Ingrid

Parcheggiò davanti alla Höglandsskolan, spense il motore e restò seduta con le mani sul volante. La voce di Beyoncé usciva dagli altoparlanti. Era un’ora in anticipo.
In quattordici anni come giornalista, due dei quali come corrispondente dagli Stati Uniti, aveva portato a casa non sapeva piú quanti premi. Prima teneva gli articoli, i diplomi e alcune delle foto appesi alle pareti. Ma quando Tommy era diventato direttore, poco dopo la nascita di Lovisa, avevano deciso di comune accordo che era meglio se Ingrid fosse rimasta a casa con la bambina. Essere direttore dell’«Aftonpressen» era piú di un lavoro, era uno stile di vita, come diceva Tommy. Se fosse stato il contrario, se il posto fosse stato offerto a lei, lui avrebbe fatto lo stesso sacrificio, le aveva assicurato. Alla fine Ingrid aveva ceduto. Aveva infilato le foto dei suoi successi professionali in uno scatolone Ikea, lo aveva piazzato in fondo al ripostiglio e si era dedicata al ruolo di moglie che sostiene il marito. Negli ultimi tempi però pensava sempre piú spesso di riprendere a lavorare. A volte, quando era a casa da sola tirava fuori lo scatolone e frugava tra i ricordi. Anche quel giorno lo aveva rimesso a posto appena prima di andare a prendere Lovisa a scuola.
Qualcuno batté sul finestrino, facendola sobbalzare. Ingrid sfoderò il sorriso da mamma e soltanto dopo vide che si trattava di Birgitta Nilsson, la maestra di Lovisa. Stupita, guardò l’ora mentre abbassava il vetro. Mancava ancora parecchio alla campanella, come mai era già uscita?
– Visita medica, – spiegò Birgitta con un sorriso. – Niente di serio, un controllo di routine.
A Ingrid piaceva Birgitta. Ormai era vicina alla pensione, la classe di Lovisa sarebbe stata la sua ultima.
– In bocca al lupo, – disse Ingrid.
– Ieri ho visto Tommy in tv, ad Agenda. Quanto è bravo. Cosí intelligente, cosí bravo a parlare. Dev’essere orgogliosa di lui.
– Molto.
– E pensare che l’autunno scorso ha trovato il tempo di venire a parlare in classe del suo lavoro, con tutto quello che deve avere da fare. Quando gli altri insegnanti hanno saputo che sarebbe venuto, abbiamo dovuto prenotare l’aula magna. Lovisa era al settimo cielo. E anche io.
– Mi fa piacere. Sí, Tommy riesce sempre a trovare il tempo per le cose davvero importanti.
L’insegnante infilò una mano dal finestrino e strinse la spalla di Ingrid, prima di voltarsi e sparire in direzione della metropolitana.
Ingrid alzò il volume della radio.
In realtà non le servivano conferme dell’infedeltà di Tommy. Lo sapeva già per conto suo. Dall’estate non era piú lo stesso: dava piú importanza all’aspetto fisico, si era addirittura preso un personal trainer. Prima discuteva di qualsiasi cosa riguardasse il giornale davanti a lei, sapeva bene che conosceva le regole, che non ne avrebbe mai parlato con nessuno. Adesso invece se riceveva una telefonata si chiudeva nello studio o usciva in giardino.
«È la nuova policy della proprietà, – le aveva spiegato quando lei gli aveva chiesto spiegazioni. – E poi tanto a te queste cose non interessano piú, no?»
Ma Ingrid voleva sapere chi era la donna che si scopava suo marito. Probabilmente una della redazione, era cosí che si erano conosciuti loro due, era cosí che si conoscevano i giornalisti.
Ogni sera sfogliava la copia dell’«Aftonpressen» che Tommy portava a casa. Ormai non riconosceva piú le foto che accompagnavano gli articoli. Molte delle sue colleghe avevano abbandonato il giornale, altre si erano lasciate alle spalle la faticosa vita della redazione per un posto da dirigente.
I suoi ex colleghi erano al corrente che Tommy la tradiva? Provavano compassione per lei? O stavano dalla parte di suo marito,...

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