LâITALIANO. PARLARE, SCRIVERE, DIGITARE
(2010) SCRITTO E PARLATO
La scrittura Ăš un codice secondario rispetto alla lingua parlata. Grazie alla paleontologia possiamo ipotizzare che lâacquisizione del linguaggio da parte dellâHomo sapiens sia di molto anteriore alle prime testimonianze scritte; ma in proposito basterebbe dare unâocchiata alla geografia delle lingue.
Delle migliaia di idiomi oggi esistenti nel mondo, la grande maggioranza non ha una tradizione scritta. Ă vero che il dato cambierebbe radicalmente guardando non allâinventario delle lingue, di per sĂ© oltretutto incerto e oggetto di calcoli contrastanti, ma al piĂč facilmente accertabile numero di parlanti. Emergerebbe allora che tutte le lingue parlate da gruppi consistenti di locutori (e non solo da poche centinaia o migliaia, come avviene per tanti idiomi dellâOceania e dellâAfrica minacciati dallâestinzione) sono anche scritte e spesso vantano una tradizione letteraria di antica data. Resta comunque il fatto che, fino alle soglie dellâetĂ contemporanea, la condizione piĂč frequente delle masse popolari, anche in Europa, ossia allâinterno di lingue ampiamente usate scrivendo, era quella dellâanalfabetismo.1
Nellâimmaginario italiano, come avviene nelle altre lingue dette âdi culturaâ, il radicamento della scrittura Ăš tale che non ci meraviglia sentire un oratore che, parlando di sĂ© in terza persona, dica âil sottoscritto/la sottoscrittaâ (e non âchi vi parlaâ, che sarebbe avvertito come formale e sostenuto); e sono diverse le frasi idiomatiche che documentano la traslazione dalla scrittura al parlato: âmettere i puntini sulle iâ, âproclamare a chiare lettereâ, ânon capirci unâaccaâ ecc.
Scritto e parlato presentano due differenze dovute alle diverse modalitĂ di esecuzione:
a) Il parlato utilizza solo il canale fonico-acustico, lo scritto prevalentemente quello grafico-visivo. Anche lo scritto puĂČ essere letto ad alta voce, come avveniva nellâantichitĂ e nel Medioevo,2 ma abitualmente viene recepito in modo endofasico, ossia attraverso una lettura mentale. Naturalmente esistono varie situazioni intermedie, definite in genere con lâetichetta âscritto-parlatoâ:3 per esempio, lâattore che recita una parte imparata a memoria, o anche il conferenziere che parla sulla base di un abbozzo scritto, completandolo e adattandolo allâuditorio.
b) Il parlato Ăš una tipica comunicazione âin situazioneâ, cioĂš svolta in un dato contesto, e presuppone un emittente che si rivolge a uno o piĂč destinatari, i quali possono interagire nel discorso, come avviene normalmente, oppure si limitano ad ascoltare (conferenza, omelia, lezione cosiddetta âfrontaleâ). Lo scritto Ăš solo eccezionalmente in situazione: per esempio quando, in una riunione, un partecipante, per non interrompere o per non farsi notare, allunga un appunto a un collega. PerlopiĂč si scrive a un destinatario distante; anche la lettera elettronica o il messaggio sul cellulare sono letti in differita, magari solo pochi secondi dopo lâemissione. Oppure si scrive a uno o piĂč destinatari astratti e ideali: quelli, per esempio, che potrebbero essere interessati, in un futuro piĂč o meno lontano, a un verbale di condominio, a una sentenza penale, a una ricerca di fisica delle particelle, a una poesia o a un romanzo.
Di qui, o soprattutto di qui, scaturiscono altri elementi distintivi:
c) Lo scritto Ăš rigido e sequenziale e non offre la possibilitĂ della retroazione (o feedback). In un dialogo chi parla ha sempre la possibilitĂ di tener conto delle reazioni dellâinterlocutore â interruzioni (âcome dici?â, âe allora?â), mimica facciale â o anche della sua impassibilitĂ , che verrebbe interpretata come espressione di disinteresse se non di ostilitĂ . Nello scritto non si puĂČ intervenire in corso dâopera e, soprattutto rivolgendosi a un destinatario plurimo e indifferenziato, non si possono nemmeno immaginarne le possibili reazioni.
d) Lo scritto Ăš fruibile liberamente dal destinatario, senza lâobbligo di svolgimento lineare proprio del parlato. In moltissimi casi non si legge per intero un testo, ma solo le parti che interessano (le controindicazioni nel foglietto illustrativo di un medicinale) o quelle che danno unâidea dellâinsieme (il titolo e la conclusione di un articolo giornalistico, lâindice di un saggio ecc.).
e) Lo scritto Ăš regolato e programmato, mentre il parlato in situazione Ăš sempre in una certa misura âsporcoâ (rumori esterni alla conversazione, difetti di pronuncia o di esecuzione dei parlanti) e presenta un ineliminabile margine di ambiguitĂ , sollecitando la cooperazione dellâascoltatore: il parlato non distingue se si alluda a un insetto o alla capitale della Russia (perchĂ© non ha maiuscole e minuscole: âmosca/Moscaâ); ai compagni di Biancaneve o a cose giudicate inutili, vane (perchĂ© non separa le parole grammaticali, come gli articoli, da quelle semanticamente piene: âi nani/inaniâ).
Delle tradizionali partizioni linguistico-grammaticali, la morfologia e la sintassi elementare sono condivise da scritto e parlato (âio avere fameâ e âle vecchia signoreâ, con violazione della coniugazione verbale e dellâaccordo aggettivo-sostantivo, sono comunque inaccettabili in italiano, indipendentemente dalla variabile diamesica); la sintassi superiore Ăš caratteristica dello scritto o del parlato molto formale (risulterebbe affettata una subordinata concessiva in una banale frase quotidiana come âbenchĂ© abbia sonno, non voglio andare a dormireâ, invece della ben piĂč appropriata coordinativa avversativa: âho sonno, ma non voglio andare a dormireâ); il lessico dello scritto Ăš ricco, variato e presenta una distribuzione diversa di alcune parti del discorso (i nomi, per esempio, sono proporzionalmente piĂč frequenti di quel che avviene nel parlato);4 infine la grafematica e la paragrafematica, ossia lâinsieme dei segni e delle convenzioni grafiche diversi dai grafemi che compaiono nella pagina scritta (interpunzione, segni di accento e apostrofo, distinzione di maiuscole e minuscole, alternanza di tondo e corsivo ecc.), sono di esclusiva pertinenza dello scritto.
Dallâultimo decennio del secolo scorso, la telematica ha fatto sentire i suoi effetti anche nel dominio della scrittura. Si parla di «trasmesso scritto»5 in riferimento alla scrittura per la rete, alla posta elettronica (e-mail), ai vari Internet relay chat (Irc), alla messaggeria elettronica (sms, short message system). CiĂČ ha comportato non solo un certo ibridismo di tratti tipicamente scritti e tipicamente orali, ma anche lâapertura alla prospettiva ipertestuale, che Ăš stata giudicata non a torto rivoluzionaria: «La creazione di testi discontinui, frazionati, cioĂš, in un numero variabile e potenzialmente infinito di unitĂ informative connesse tra loro tramite collegamenti istituiti dallâautore e attivabili liberamente, nellâordine preferito, dal lettore»,6 potrebbe portarci a mutare radicalmente la stessa nozione di testo scritto, come organismo in sĂ© concluso e non modificabile, cosĂŹ come lâabbiamo appena definita.
LE CONVENZIONI OBBLIGATORIE DELLA SCRITTURA
Dei tratti linguistici esclusivi della scrittura, lâortografia ha ormai raggiunto un forte grado di stabilizzazione. Oggi grafie latineggianti ancora diffuse nel XIX secolo come âimagineâ, âabondareâ, âcommuneâ sarebbero considerate universalmente erronee. Sono da tempo codificate anche alcune incoerenze tra sistema grafico e sistema fonetico: la grafia âziâ + vocale (âazioneâ), a cui corrisponde nellâitaliano normativo e nella parlata spontanea dalla Toscana in giĂč la pronuncia rafforzata dellâaffricata [tËs]; lâuso superfluo della âiâ, in casi come âscienzaâ /ËÊΔntsa/, per omaggio al latino, o âcieloâ / ËtÊΔlo/, per evitare lâomografia con âceloâ da âcelareâ. Ma sono ancora presenti oscillazioni, registrate dai dizionari («âeffigieâ, meno comune âeffigeâ» ecc.).7 Non del tutto stabili neanche lâuso di âiâ nel plurale delle parole uscenti al singolare in â-ciaâ, â-giaâ con âiâ atona, a seconda che la desinenza sia preceduta da una o da due consonanti (âvaligie/facceâ: la norma Ăš puramente empirica), e nella prima persona plurale dei verbi con tema in nasale palatale (âbagniamo/bagnamoâ; qui la âiâ, superflua dal punto di vista fonetico, serve a ribadire graficamente la riconoscibilitĂ della desinenza verbale â-iamoâ). Va osservato che questi ultimi casi di oscillazione sono probabilmente destinati a scomparire grazie alla diffusione della videoscrittura, dal momento che i piĂč diffusi correttori automatici correggono (o segnalano come erronee) le forme sconsigliate dalla tradizione grammaticale.
Abbastanza salde anche le norme che regolano lâuso di accenti e apostrofi: anche qui Ăš indicativo lâintervento del correttore automatico che reprime grafie frequenti nellâuso scritto non sorvegliato come âfĂ â, âun pĂČâ, âqualâĂšâ. Vero Ăš che nei messaggi sms la tecnologia T9, che permette di premere ogni tasto una sola volta grazie alla capacitĂ del vocabolario in memoria di riconoscere le parole, «propone âpĂČâ come prima scelta al posto di âpoââ e, tra le scelte secondarie, altre grafie errate come âdĂČâ e âsĂčâ».8 Nellâaccentazione dei monosillabi lâunica vera eccezione alla norma corrente, fondata sulla disambiguazione degli omonimi (âdaâ preposizione, âdĂ â voce verbale ecc.), Ăš data dalla diffusa ma discutibile abitudine, promossa dalla pratica scolastica (non da grammatiche e dizionari), di privare dellâaccento il pronome âsĂ©â seguito da âstessoâ.9 Non sempre rispettato, neanche nella grande stampa, lâobbligo di adoperare la âeâ maiuscola accentata (âĂâ), non presente nella tastiera dei computer, che viene sciattamente surrogata da una âeâ seguita da apostrofo (âEââ). La distinzione tra accento grave e acuto per la âeâ aperta e chiusa Ăš abbastanza rispettata nella stampa (ancora una volta grazie a...