Making of Love
Parliamo di sesso. La prossima rivoluzione
Annalisa Cereghino, Lorenzo Rossi, Enrica Cortese, Matteo Mori, Claudio Pauri, Matilde Cerlini, Piper Cusmano, Filippo Sabarino
- 324 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
Making of Love
Parliamo di sesso. La prossima rivoluzione
Annalisa Cereghino, Lorenzo Rossi, Enrica Cortese, Matteo Mori, Claudio Pauri, Matilde Cerlini, Piper Cusmano, Filippo Sabarino
Informazioni sul libro
"Vorrei che ci raccontassero le verità scientifiche che nessuno ci dice. Che ci raccontassero quanto è bella e meravigliosa la sessualità e non solo quanto è pericolosa."
In Italia l'educazione sessuale è ancora un miraggio: a scuola non si fa, in famiglia non se ne parla, tra coetanei ci si confronta ma spesso con vergogna e si finisce a cercare informazioni nei porno, rischiando quindi di confondersi gravemente le idee.
In questo panorama, quattro ragazze e quattro ragazzi hanno deciso di fare la Terza rivoluzione sessuale. Prima partecipando al progetto che si chiama proprio Making of Love e accettando di essere i protagonisti di un documentario sull'argomento, poi girando un film, Edoné. La sindrome di Eva, e quindi scrivendo questo libro. Perché "se il film richiede di vivere la sessualità, il libro richiede di sviscerarla". E così scelgono di parlare di sesso senza preconcetti, senza tabù, senza vergogna e senza pregiudizi; rivolgendosi ai loro coetanei e a chiunque voglia chiarirsi le idee sul sesso e le sue pratiche.
In questo manuale di nuova educazione sessuale, quindi, si parla di diritto al piacere, consenso, sex toys, poliamore, coppia, identità di genere, masturbazione, omosessualità, contraccezione e tanto altro.In un dialogo a otto voci che vuole fornire un'alternativa libera e consapevole agli stereotipi e ai pregiudizi delle generazioni passate, perché "la bellezza di ciascuno di noi sta in una gamma di colori molto più ampia del rosa e del blu".
Domande frequenti
Informazioni
CAMBIARE
SESSO: POSSO?
23 GIUGNO 2019MatildeCi hanno chiamati per un weekend lungo in un paesino sperduto sulla collina di Piacenza. Dobbiamo iniziare a scrivere il nostro film e parteciperemo anche a dei workshop organizzati da Alice e Silvia, addette al supporto emotivo, sul consenso. L’unico di noi otto a non venire è Matteo, ha l’esame di maturità tra meno di un mese ed è chiuso in casa a studiare, a Genova. Oltre a noi, ci sono anche Paolo Mottana e Charlie. I primi due giorni il clima è felice, ci siamo ritrovati, sembra che nulla possa andare male. Poi è arrivato il venerdì.Alice e Silvia ci presentano Paolo Pallavidino, che terrà il workshop della giornata. Siamo seduti in cerchio nella stanza in cui abbiamo lavorato negli ultimi giorni. Ed ecco che accade. Sapevo fin dall’inizio, da quando avevo partecipato al provino, che avrei dovuto affrontare questa mia paura. D’altronde, Making of Love tratta di sesso e di corpi, ma speravo con tutto il cuore che questo momento non arrivasse mai.Pallavidino ci chiede di spogliarci. «Mettiamoci totalmente a nudo, nell’anima e nel corpo» o qualcosa del genere. Ci spiega l’esercizio: «Spogliatevi, ritrovate il contatto con la terra camminando a piedi nudi sul prato e, ogni volta che passate accanto a qualcuno, ammirate e onorate il suo corpo». Poi si raccomanda di farlo solo se ce la sentiamo.Nessuno è obbligato.Tutti si alzano ed escono, mi faccio forza, mi metto in piedi. Sono terrorizzata. Mi sale una leggera nausea. “Respira” mi dico. Esco dalla stanza come se non fossi più padrona del mio corpo. Vado verso il prato ma tra tutti quelli che si spogliano non vedo Enrica e Piper. Sono sparite. Mi giro verso l’ingresso principale della casa e le vedo scappare, ancora tutte vestite.«Che fate?»«Tu ti spogli?» mi chiede Enrica. Piper si nasconde dietro di lei.Le fisso senza sapere cosa fare. Mi giro verso gli altri, che tutti nudi iniziano a camminare per il prato. Qualcosa scatta.“Sei ridicola. Fallo” mi intima una voce. Devo dare l’esempio, devo essere forte. Dobbiamo reagire. Non possiamo avere paura di una sciocchezza simile.«Sì. Mi spoglio» dico con un sorriso incoraggiante. Mi tolgo la maglia e il reggiseno ma tengo i pantaloncini, per nascondere quella pancia che ho sempre odiato. Le ragazze esitano ma poi mi seguono. Si spogliano anche loro, lentamente, come per ritardare il momento in cui non avranno più niente addosso.Raggiungiamo il gruppo e camminiamo nel prato, attente a evitare gli sguardi. Filippo, come se fosse in un sogno, si guarda intorno con aria distratta. Annalisa e Claudio saltellano nell’erba secca e appuntita; come fanno a sopportare il dolore ai piedi? Sembrano così allegri. So che da qualche parte c’è Lucio che ci riprende per il documentario e prego che non mi inquadri. Cerco disperatamente di evitare gli sguardi dei maschi. L’ultima cosa che voglio sentirmi in questo momento è un oggetto sessuale. L’erba mi pizzica i piedi, gli insetti mi ronzano intorno: sembra un incubo in cui sono entrata volontariamente.L’esercizio giunge alla fine. Torniamo nella stanza per parlarne. Mentre racconto il disagio che ho provato, realizzo di essere felice di essermi buttata. E mi sento sempre più piena di energia, pronta a spaccare tutto. Ho vinto la mia paura più grande. Dopo i ragni, ovviamente. Lo dico ad alta voce, sono felice, sono carica.È ora di riprendere il controllo. Noi otto ragazzi decidiamo di andare a fare il bagno in un laghetto nel bosco dietro casa. Ci divertiamo come pazzi: ci spogliamo, facciamo la lotta nel fango, prendiamo il sole sdraiati sulle rocce fino al tramonto.Ora sì che siamo in pace con noi stessi, spogliati di tutte le ansie.
26 GIUGNO 2019MatildeIo, Enrica e Piper ci siamo rese conto di ciò che è successo quando eravamo sul treno per tornare a casa. Tutte e tre provavamo lo stesso disgusto nel ripensare al workshop.Abbiamo cominciato a chiederci se spogliarci davanti a tutti era davvero ciò che ci sentivamo di fare.I giorni passano, la nostra vita va avanti. Eppure, ogni volta che una di noi tre torna con la mente a quel momento è sempre presa dallo sconforto. Non è successo niente, nessuno ci ha obbligate.Anzi, le regole erano chiare: se non volevamo farlo eravamo libere di tirarci indietro.Ma io, in particolar modo, non riesco a fare a meno di sentirmi sporca e stupida. Io, che mi sono sempre ascoltata, che non ho mai fatto qualcosa che non volessi. Appena ho visto che il gruppo si spogliava, ho dovuto farlo anch’io. E ho spinto le mie amiche. Pensando di far loro un favore, le ho trascinate verso il baratro con me. Sentendomi obbligata, ho fatto qualcosa che non avrei fatto se fossi davvero stata libera di scegliere. Perché la verità è questa: non volevo farlo. Non volevo spogliarmi. E ora mi porto dietro il peso di quel giorno e me ne do la colpa.Seduta in cucina sfogo la mia rabbia piangendo. Spero che la mia coinquilina non mi veda in questo stato. Non saprei cosa dirle. Non saprei come giustificare quello che provo.Il consenso non può essere insegnato in un workshop. Perché non è solo dire: «Sì» o «No» o non parlare affatto. La nostra mente era convinta di fare la cosa giusta mentre ci spogliavamo, ma il nostro corpo urlava, ci implorava di fermarci. Ci sentivamo in obbligo di seguire gli altri e neanche ce ne siamo accorte.Fino a quando non è stato troppo tardi.
IL CONSENSO
IL SESSANTOTTO: GLI ANNI DEL CON-SENSO
La condizione di base del consenso è la reciprocità e queste fondamenta le ha gettate la rivoluzione sessuale. Quello che si è conquistato in primis è stata la rottura con la cultura dominante. Se non si garantisce una condizione di parità e ascolto reciproco non ci può essere consenso perché verrebbe sempre compromesso dalla cultura dominante machista. Al partner maschile, all’epoca era concessa una serie di comportamenti che non venivano invece riconosciuti alla donna nel rapporto di coppia; la conquista della reciprocità è avvenuta anche grazie al movimento femminista.Abbiamo creato un terreno equilibrato e pari tra i sessi per poi arrivare a lavorare sul rapporto nella coppia. Non essendoci etichette per le relazioni, se non “aperta” o “chiusa”, si viveva in base alle proprie esigenze. Proprio perché il modo di vivere la coppia era anticonformista e non tradizionale, le relazioni erano slegate dalle convenzioni del mondo borghese. Perché una relazione potesse nascere dovevano essere elaborate le sue condizioni d’esistenza, la dimensione di ricerca doveva essere chiara da ambo le parti. All’epoca però non c’erano solo rapporti liberi, vitali, creativi. C’era anche una dimensione d’ombra, che ora non c’è più proprio perché manca la sua controparte, quell’esperienza di luce e ricerca, mentre prima si usava il rapporto come sperimentazione.La modalità di vivere il consenso oggi è specchio di una cultura superficiale: si conosce e si diffondono la parità e la reciprocità, ma spesso solo in apparenza. Si parla molto ma si vive molto poco. Oggi si parla di consenso senza una dimensione di ricerca, e in questo modo non si può trovare una propria misura con la realtà e non si possono costruire delle regole per la propria relazione. Il lato più oscuro della cultura dominante odierna sfocia nella violenza: non si riesce a distinguere una relazione umana, qualcosa in costante movimento e mutamento, da un possesso. Si può continuare a parlare di rispetto e reciprocità, ma senza una ricerca vitale un senso rimane solo l’ombra di una relazione. Questo aspetto risulta evidente quando si va a osservare come si è evoluta l’autocoscienza umana nei due sessi. Il movimento femminista ha incessantemente spinto la donna a fare un lavoro su di sé, a trovare uno spazio mentale dove lavorare sulle proprie fragilità e forze. Nell’ambito maschile questo aspetto è andato sempre più scemando. Nel Sessantotto davamo molto spazio all’autocoscienza maschile. C’erano gruppi d’incontro di soli maschi che potevano così lavorare sulla propria interiorità e mostrarsi vulnerabili l’uno con l’altro. Si poteva finalmente mollare la dimensione competitiva tra uomini per lavorare sulla propria intimità e per educare alle emozioni. Oggi invece per il sesso maschile manca lo spazio mentale, l’esigenza di compiere un’azione del genere: non passa per la testa a nessun maschio di lavorare su di sé. Manca la spinta dal basso, ma mancano anche luoghi e proposte dove l’uomo possa sviluppare la propria interiorità. Senza un’esperienza che riequilibri i sessi, che getti le basi per un terreno fertile, non ci può essere reciprocità e perciò nemmeno consenso. Per questo si arriva alla violenza. L’unica differenza è che prima del Sessantotto la violenza non ci scandalizzava; ora che invece è stata messa al bando ci sconvolge. Ma se non si fa un lavoro sulla reciprocità, l’unica via d’uscita dopo il rifiuto è la violenza.Il rifiuto è da sempre doloroso. Nel rapporto di coppia del Sessantotto spesso il rifiuto di una donna non veniva accettato per quello che era, cioè una negazione; veniva invece giustificato dall’uomo vedendo la donna come schiava della cultura dominante, non libera, repressa. Si voleva giustificare con l’ideologia del “se sdoganiamo il sesso dal giudizio allora tutti lo vorranno sempre fare” un comportamento umano.Ancora oggi tante ragazze si ritrovano nella stessa situazione rapportandosi con i loro coetanei, ritrovandosi insultate o giudicate quando non sono disposte a fare sesso come vorrebbe il loro partner. Se a un ragazzo non piace leccarla, è la prassi. Ma se a una ragazza non piace fare i pompini è una cosa vergognosa e lei è pure un po’ stronza. Ciò crea, in un qualunque rapporto eterosessuale, gravi problemi a livello di comunicazione.