Le teorie critiche del diritto
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Le teorie critiche del diritto

Orsetta Giolo, Maria Giulia Bernardini

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Le teorie critiche del diritto

Orsetta Giolo, Maria Giulia Bernardini

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Über dieses Buch

La modernità giuridica è stata notoriamente caratterizzata dalla presenza di un soggetto di diritto unico, fondato sulla separazione tra la vita materiale e la "maschera giuridica" al fine di elaborare il referente neutro e generale della legge, astratta per definizione.
Al contrario, le teorie critiche del diritto, adottando il punto di vista dei soggetti esclusi da tale rappresentazione in quanto discriminati e oppressi, svelano la coincidenza pratica tra il soggetto di diritto "neutro" e "l'antropologia implicita" delle classi dominanti e, di conseguenza, la spiccata valenza ideologica di tale costruzione teorica e degli istituti giuridici ad essa riferiti. I saggi raccolti in questo volume, che presentano alcune tra le piĂš significative teorie critiche del diritto contemporanee (Critical Race Theory, Post-Colonial Studies, Critical Migration Theory, giusfemminismo, Queer Theory, diritto e economia, Disability Studies), indagano le odierne dinamiche di costruzione della soggettivitĂ  giuridica e politica nonchĂŠ i dispositivi attraverso i quali il diritto ha operato (e talvolta ancora opera) come meccanismo di esclusione delle soggettivitĂ  non paradigmatiche.

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Information

Jahr
2018
ISBN
9788869952821

CAPITOLO PRIMO

CRITICAL RACE THEORY : TEMI E PROBLEMI DEGLI STUDI CRITICI SULLA “RAZZA”*

Gianfrancesco Zanetti
Sommario
1. Introduzione – 2. La Critical Race Theory (CRT) – 3. “Razza” va scritto fra virgolette – 4. “Cieco rispetto al colore” – 5. CRT ed eguaglianza – 6. Astrologia e razze – 7. CRT e militanza

1. Introduzione

I tentativi di mettere a tema il “noi” politico sono stati (e sono) moltissimi, e sono avvenuti a diversi livelli di consapevolezza. L’elemento che storicamente si presenta come “più denso”, più oggettivo, più empirico, più materiale e più corporeo, è senz’altro la razza, cioè il sangue, che proverbialmente “non è acqua”.
Da un lato, il sangue è un elemento fisico, concreto, che ha a che fare con la indisputabile esistenza della nostra vita biologica; è un fatto che viene facilmente percepito come primario, e che quindi si presta molto bene alla costruzione di un “noi” robusto e, appunto, “sanguigno” – si condivide la stirpe, si condividono gli avi ancestrali, si condividono i tratti somatici, le apparenze fisiche; si condivide il DNA, la naturale generazione che trasmette un patrimonio genetico condiviso.
D’altra parte, il sangue è qualcosa che è sottratto alla nostra scelta, del tutto: non ci si può scegliere i propri genitori. “O lo sei o non lo sei”, e al bianco liberal che pretende di essersi volontariamente avvicinato alla vita black di New York il protagonista di Invisible Man chiede con sarcasmo se lo ha fatto per injection o per immersion1. Il sangue si presta bene (ma non si impone) a costrutti giuridici come quella one drop law che trasforma una categoria scalare per eccellenza (la relativa e comparabile divergenza genetica) in una categoria di range (in/out): cosa questa non priva di conseguenze giuridiche.
In Europa il dibattito su “razza e diritto” ha avuto sullo sfondo la shoah. Negli Stati Uniti, a partire dalla metà degli anni Ottanta, si è sviluppato invece un movimento di pensiero che risente dei Critical Legal Studies e del femminismo giuridico – e che sarebbe riduttivo interpretare come null’altro che un riapparire di quel fiume carsico che è la tradizione del realismo giuridico americano. Le “razze” alle quali si fa riferimento in questo dibattito sono i grandi gruppi minoritari della società americana: gli Afro-Americani, i Latinos, gli Asian, ecc.

2. La Critical Race Theory (CRT)

Il dibattito statunitense al quale si vuole fare riferimento in questa sede è appunto quello innescato dalla, o concettualmente contiguo alla, Critical Race Theory (CRT), la “teoria critica della razza”, una costellazione di pensiero cosiddetta “postmoderna”2 che, seppur tardivamente, è stata discussa anche in alcuni ambiti del dibattito giusfilosofico e filosofico-politico italiano3.
Ora, e in primo luogo, alcuni aspetti importanti della jurisprudence CRT sono di alto interesse in se stessi. In altri termini, le elaborazioni CRT non sono ridondanti rispetto alle tradizionali strategie liberal. In realtà esse non sono ridondanti in generale. Per esempio, uno degli argomenti più tradizionali e accademici della filosofia del diritto occidentale, ora senz’altro un poco passé, è lo scontro fra giusnaturalismo e positivismo giuridico. In questo contesto sorge quasi spontaneo ricordare la figura del reverendo Martin Luther King Jr., che fece uso della nozione di diritto naturale nella sua Letter from Birmingham Jail4, citando Sant’Agostino di Ippona e San Tommaso d’Aquino.
Una nozione di diritto naturale ben si prestava, infatti, a provvedere di una base di principio i primi argomenti a favore dell’eguaglianza razziale, come avvenne per l’analogo ricorso al diritto naturale negli argomenti contro la schiavitù degli abolizionisti5. È dunque particolarmente interessante notare come la CRT, molti anni più tardi, sembra aver sviluppato un atteggiamento di cautela e sospetto crescenti verso questo tipo di impostazione argomentativa6.
Per gli studiosi e le studiose CRT questo atteggiamento di cautela sorge fondamentalmente da esperienze pratiche: nonostante si presumesse che la Costituzione degli Stati Uniti di America potesse essere concepita come una manifestazione del diritto naturale e del valore dell’eguaglianza, è un fatto che al tempo della sua adozione ben pochi dubitassero che quest’eguaglianza doveva escludere le donne e i neri, e si reputava senza patemi d’animo che perfino permettesse la schiavitù7.
La CRT è dunque in grado di configurare un approccio specifico rispetto alle categorie-chiave della riflessione giusfilosofica, generando contributi che si distaccano radicalmente dall’approccio più consolidato. La riflessione elaborata entro la CRT si presenta, inoltre, del tutto indipendente da ogni sfondo religioso8, e questa distanza concettuale sembra coerente con l’elaborazione di una specifica jurisprudence (in questo caso: non venata da giusnaturalismo).

3. “Razza” va scritto fra virgolette

Si può partire dalle più ovvie predicazioni di omogeneità in termini di razza, ovvero le elaborazioni razziste in senso tecnico. Sono cose ben note anche in Italia. Per esempio, i punti 8 e 10 del Manifesto degli Scienziati Razzisti pubblicato sul primo fascicolo della rivista «La Difesa della Razza» (5 agosto 1938)9 stabiliscono che è necessario distinguere la popolazione mediterranea dell’Europa dell’Ovest dalle popolazioni dell’Europa dell’Est e da quelle Africane, e che le caratteristiche fisiche e psicologiche puramente Europee degli Italiani non dovevano essere alterate.
8. È necessario fare una distinzione fra i mediterranei d’Europa occidentale da una parte, gli orientali e gli africani dall‘altra;
9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana;
10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo10.
Anche al di fuori di un discorso apertamente razzista, e dunque in ogni caso, usare la nozione di “razza” per comprendere l’identità di un gruppo non è però un’operazione priva di rischi. Ed è stata proprio la CRT a mostrare come una nozione naïve di razza può generare conseguenze giuridiche estremamente controverse.
A questo proposito, il caso Mashpee Tribe v. Town of Mashpee11 costituisce un ottimo esempio. La tribù dei Massachusetts Mashpee intentò causa invocando l’Indian Non-Intercourse Act del 197012. Il convenuto, la città di Mashpee, negò che la gente Mashpee potesse considerarsi una tribù, e dare causa come tale costituendosi come attore. Il popolo Mashpee fu allora costretto a provare il proprio status tribale. Alla fine, la Corte decise di basare i propri criteri su quelli stabiliti dalla Corte Suprema al principio del secolo in Montoya versus United States. Ivi la Corte aveva affermato che:
By a tribe we understand a body of Indians of the same or similar race, united in a community under one leadership or government, and inhabiting a particular though sometimes ill-defined territory […]13.
Per essere riconosciuti come una tribÚ, il popolo Mashpee doveva adeguare questi criteri e, poichÊ non potè farlo, i Mashpee non furono accettati come tali.
I Mashpee sostenevano che la diluizione dell’elemento razziale non diluisce lo status tribale. Essi affermarono che i membri della loro tribù non definivano la propria identità attraverso tipi razziali, bensì attraverso l’appartenenza alla comunità. Coloni bianchi avevano sposato donne Mashpee, e molte di tali donne erano fra l’altro vedove di guerrieri che avevano combattuto contro i soldati britannici. Anche gli schiavi fuggitivi avevano trovato riparo presso i Mashpee, e avevano sposato anch’essi membri della tribù. In effetti, l’apertura nei confronti degli stranieri che desideravano diventare parte della comunità era parte integrante dei valori tribali Mashpee che costituivano la loro identità come tribù.
I Mashpee furono dunque penalizzati in tribunale perché non si conformavano alla prevalente definizione razziale di comunità e società14. L’identità Mashpee superava una nozione meramente biologica di razza. I membri della tribù erano meno ossessionati dalla nozione di purezza del sangue rispetto a quei giudici bianchi che non furono capaci di comprendere la complessità del problema.
Si tratta di un caso istruttivo per molte ragioni. Da un lato, la nozione di razza sembra implicare che le razze, in generale, vengono scoperte e studiate, proprio come avviene con le specie biologiche15. Da questo punto di vista, le tribù possono essere identificate con criteri razziali. Dall’altro lato, la razza è una categoria ascrittiva, e quindi secondo la gente Mashpeee, che non considera la mescolanza razziale come un fattore capace di diluire lo status di appartenenza tribale, il punto di vista menzionato non riflette affatto la complessità del processo di formazione del gruppo.
Questo è vero in generale, e anche gli studiosi europei sono, o dovrebbero essere, consapevoli di questo fatto. Sia l’ideologia razziale dei nazisti sia la one drop rule si mutano in institutional devices che rinforzano l’ascrizione della razza16. Entrambi tengono il requisito che giustifica l’esclusione razziale a un livello minimo. Basta una goccia di sangue non bianco per escludere un individuo da una determinata e alternativa ascrizione razziale; dal punto di vista ebraico, per essere ebrei è necessario essere nati da una madre ebrea, ma occorre assai meno di ciò per un nazista: e la bella signora Seidenman veniva controllata nelle orecchie, alla ricerca di qualche nascosto segno di retaggio giudaico17. Di conseguenza, entrambe le ideologie mettono in rilievo, rispettivamente, la purezza delle razze “ariana” e “bianca”, e privano efficacemente l...

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