Si dovrebbe resistere?
E prima di tutto allâanalisi?
Se si dovesse resistere allâanalisi, resterebbe ancora da sapere da dove viene e cosa significa questo «si deve». Lo si dovrebbe ancora analizzare.
CâĂš una «resistenza allâanalisi», come dicono gli psicoanalisti? Ă del resto questo un tema, la resistenza allâanalisi, a proposito del quale ci si puĂČ chiedere perchĂ© gli psicoanalisti stessi, sembrerebbe, parlino meno di questi tempi. Come se accusati, piĂč o meno a buon diritto, di averne abusato, e di aver cosĂŹ trionfato troppo velocemente su tutte le domande o obiezioni, regolarmente respinte dopo analysâexpress in quanto sintomi di resistenza, si piegassero o si preparassero ad altri contratti di discussione.
Lasciamo ora questo punto che non Ăš soltanto di sociologia. Riattivando questa questione della resistenza allâanalisi, tentiamo di andare contro corrente e forse di resistere un poâ.
Si deve â e allora come? â analizzare questa resistenza allâanalisi, se ve ne Ăš, e il «vi Ú» di questa resistenza? Si dovrebbe quindi analizzare un «si deve», un «vi Ú», e prima di tutto sapere se ciĂČ che resiste allâanalisi non resista anche al concetto analitico di «resistenza allâanalisi». Ogni «resistenza allâanalisi» si riduce sempre allo statuto interpretabile che le riconosce o che analizza la teoria analitica? Vi Ăš unâaltra resistenza? Deve esserci un altro concetto di resistenza â e di analisi? E di resistenza allâanalisi?
Ecco tanti «si deve», e «vi Ú», e «resistenze» che sembrano tuttavia organizzarsi attorno ad un senso provvisoriamente tutore dellâanalisi, vale a dire quello che la suddetta psicoanalisi fissa, in francese piuttosto che in unâaltra lingua. Salvo errore, Ăš soltanto in francese che si dice cosĂŹ facilmente «analisi» per psicoanalisi. La storia di questa formazione idiomatica meriterebbe di essere interrogata per se stessa.
Ma Ăš piuttosto un interesse idiomatico, direi quasi idiosincratico per la parola «resistenza» che vorrei confidarvi. Ne va, insomma, di ciĂČ che, in me, non ha potuto imparare a dire «io», se non coltivando un idioma nel quale, per delle ragioni che mi spiego male, ma che vorrei tentare di chiarire un poâ con voi questa sera, come se fossi qui inanalisi con voi, la parola «resistenza» non gioca un ruolo qualunque. Da sempre, per quanto mi ricordi, amo questa parola. PerchĂ©? Come si puĂČ coltivare la parola «resistenza»? E volerla salvare ad ogni costo? Contro lâanalisi, certamente, ma senza lâ«analisi», e dallâanalisi? E dalla traduzione? PoichĂ© la parola franco-latina resistenza, lâamo in primo luogo in quanto resiste alla traduzione ed anche, per me, alla sua traduzione o alla sua trasparenza in francese, nella mia «propria» lingua.
PerchĂ© e come questa parola che risuonĂČ dapprima nel mio desiderio e nella mia immaginazione come la piĂč bella parola della politica e della storia di questo paese, perchĂ© questa parola carica di tutto il pathos della mia nostalgia, come se ciĂČ che a nessun costo avrei voluto perdere fosse stato di fare saltare dei treni, dei tanks e degli stati maggiori tra il 1940 e il 1945, perchĂ© questa parola ha cominciato ad attrarre verso sĂ©, come una calamita, tanti altri significati, virtĂč, possibilitĂ semantiche o disseminali? Vi sto per dire quali, anche se non posso scoprire il segreto della mia nostalgia inconsolabile â che resta quindi da analizzare o che resiste allâanalisi, un poâ come lâombelico di un sogno.
Perché ho sempre sognato la resistenza? E perché ci si dovrebbe preoccupare qui di un ombelico [ombilic]?
Tutto sembra annunciare, ma non preoccupatevi troppo, una conferenza sulla parola «resistenza», uno sguardo compiaciuto e narcisista [nombrilique] su una parola molto francese, sul suo radicamento nella storia di questo paese e, peggio, sul mio amore confessato per la parola e forse per la cosa â o sulla mia resistenza allâanalisi. Non prometto di non cedere in nulla alla tentazione, ma cercherĂČ, strada facendo, di suggerire altre cose: quanto piĂč possibile poco idiomatiche, esse risponderanno, spero, sia al titolo, quindi al contratto di questo colloquio, al concetto generale di analisi, sia, prima di tutto, alla bella conferenza di Miguel Giusti.
Ripeto quindi pressappoco la mia domanda: perchĂ© sognare la resistenza? E, ci si dovrebbe ancora preoccupare dellâombelico di un sogno?
Miguel Giusti ha cominciato citando Goethe: per tirare i primi fili conduttori quanto a ciĂČ che si scioglierebbe attraverso lâanalisi, attraverso lâanĂĄlysis come scioglimento, slegamento, distacco, affrancamento, addirittura liberazione â e quindi anche, non dimentichiamolo, come soluzione. La parola greca analĂșein, Ăš risaputo, significa slegare e quindi anche sciogliere il legame. Si lascerebbe cosĂŹ rigorosamente accostare, se non tradurre, dal solvere latino (staccare, rilasciare, assolvere o prosciogliere). La solutio e la resolutio hanno allo stesso tempo il senso dello scioglimento, del legame sciolto, della liberazione, del disimpegno o del saldo (per esempio del debito) e della soluzione del problema: spiegazione o rivelazione. La solutio linguae Ăš anche la lingua sciolta.
Avendo quindi Miguel Giusti nominato il geistige Band di Goethe, mi si permetta di evocare a mia volta un grande lettore di Goethe, qualcuno che lo citava molto, come Heidegger, con il quale egli condivide almeno questo debito impagabile e contemporaneamente altri investimenti meno apparenti. Quando parla dellâombelico del sogno, a proposito del Sogno dellâiniezione fatta a Irma, Freud confessa un sentimento, un presentimento (ich ahne, dice)1. La confessione ha il suo luogo naturale in una nota aggiunta con qualche ritardo. Il tono di Freud e lo statuto di questa nota sono decisamente quelli di una confessione. Rimorso o pentimento, la nota si offre a cose fatte [aprĂšs coup] ma come tale allâanalisi. Essa prende il lettore a testimone come ci si rivolge a un confessore o a qualche destinatario transferenziale, alcuni direbbero come ad un analista, supposto che un lettore non lo sia sempre. Freud dunque presente (Ich ahne) che qualcosa eccede lâanalisi. Lâinterpretazione, la decifrazione analitica, la Deutung di tale frammento non Ăš andata abbastanza lontano: un senso nascosto (verborgene Sinn) eccede lâanalisi. Diciamo per il momento che il senso eccede lâanalisi e non che le resiste: il concetto di resistenza allâanalisi ha in effetti unâaltra portata e appartiene a un altro codice nel discorso freudiano, benchĂ©, ora ci arriviamo, esso appaia nello stesso contesto e non sia senza rapporto con questo eccesso.
In questa nota, Freud sembra dâaltronde non dubitarne un istante: questa cosa nascosta ha un senso. Questo senso appare per il momento segreto o dissimulato (verborgene Sinn), ma ciĂČ che resta ancora inaccessibile non puĂČ non essere compenetrato di senso. Il segreto inaccessibile Ăš senso, Ăš pieno di senso. In altre parole, il segreto si rifiuta per il momento allâanalisi ma, in quanto senso, Ăš analizzabile, Ăš omogeneo allâordine dellâanalizzabile. Compete alla ragione psicoanalitica. Alla ragione psicoanalitica come ragione ermeneutica. Sottolineo questo tratto e, proponendo di problematizzarlo, spero di andare incontro a Miguel Giusti, sebbene ci vada, come accade troppo spesso, di traverso. Vorrei tentare di raggiungerlo in quei paraggi in cui, prossimo a concludere, egli evocava le «voci contemporanee discordanti» che entrano e si scontrano, cito, ne «la discussione stessa sul senso della razionalitĂ , cioĂš la controversia intorno al senso, ai limiti o alle illusioni della ragione», discussione che potrebbe essere «interpretata, prosegue, come una discussione topica attraverso la quale [âŠ] si prolunga lâesercizio del dialogo con la tradizione, che Aristotele chiamava lâarte della dialettica».2
Per unâintroduzione molto provvisoria, reperiamo in un passaggio singolare della Traumdeutung certe domande che si affacciano da lontano su ciĂČ che potremmo chiamare lâanalitica, la topica e la dialettica freudiane. Non interrogherĂČ direttamente, come si fa troppo poco in Francia, ma di piĂč nellâambito analitico anglosassone, lâepistemologia implicita di Freud, i suoi modelli di analisi, di argomentazione, di dimostrazione, la sua logica della prova, la sua retorica, la sua narratica e, se volete, la sua analitica e la sua dialettica. Ma senza farlo direttamente spero di precisare, anche qui obliquamente, quale possa essere il principio di questo compito. Allâorizzonte si profilerĂ la questione di sapere se la psicoanalisi, se lâidea di analisi che le dĂ il suo nome, trovi una sistemazione adeguata nella storia della ragione, in ciĂČ che in essa Ăš in discussione tra analitica e dialettica.
Questo scrupolo analitico (rendere ragione del senso come senso, fosse anche nascosto â die verborgene Sinn, dice la nota in questione) si confonde qui con una pulsione o una parola dâordine ermeneutica. In veritĂ , con il principio di ragione stesso, laddove esso prescrive di «rendere ragione», reddere rationem, ad ogni costo. Si deve rendere. FedeltĂ al senso, dovere, debito, senso della restituzione richiesta, della restituzione del senso al senso, tutto ciĂČ appare tanto piĂč notevole in quanto Freud radicalizzerĂ presto questa annotazione. Egli procederĂ a una generalizzazione facendo un passo in piĂč. Ed Ăš qui che nominerĂ lâombelico del sogno.
Questo passo sarĂ in realtĂ un salto.
Non dirĂČ niente di nuovo su questo «Sogno dellâiniezione fatta a Irma». Il senso di questo testo, se non di questo sogno, dico proprio il senso di questo testo, se ne ha, sarĂ stato sicuramente esaurito da lungo tempo dallâenorme letteratura analitica che, nel mondo intero, lâavrĂ sottoposto a investimento e investigazione da ogni parte. PiĂč nulla di nascosto o di segreto in esso, sembrerebbe. Il mio solo alibi per sostenere lâinnocenza o la freschezza della mia modesta lettura, Ăš che Ăš appunto assorbita da altro, forse, questa lettura, che dal senso stesso â e quindi da altro che dallâanalisi, una certa analisi, qualche cosa che, in un altro senso, forse, resiste allâanalisi, a una certa analisi. Non pretenderĂČ di insegnare qui alcunchĂ© a chicchessia, ma piuttosto di ri-porre la questione del senso e dellâanalisi, di una certa determinazione del senso e dellâanalisi, e di farlo sullâesempio, sullâesempio esemplare, quanto allâanalisi, di una certa soluzione (Lösung).
Freud ha quindi appena finito di rimarcare che lâanalisi di questo frammento non Ăš stata «condotta» (gefĂŒhrt) abbastanza lontano: vi sarebbero ancora una scorta di senso e un movimento per andare piĂč lontano. Freud fa allora due osservazioni appassionanti, si direbbe anche appassionate, la cui giustapposizione ed eterogeneitĂ meriterebbero unâanalisi interminabile. Le due osservazioni sono separate nel testo originale da un punto e un trattino che spariscono nella traduzione francese, in ogni caso dalla prima traduzione, che bisogna quindi subito mettere da parte, soprattutto se ci si interessa a questo passaggio.
Dobbiamo fermarci un momento su ciĂČ che Freud suggerisce a proposito di un quadrato di donne. Nel registro della riserva di senso e dellâanalisi provvisoriamente interrotta, Freud nota curiosamente che, se portasse avanti il confronto (Vergleichung) delle tre donne, non mancherebbe di smarrirsi. PerchĂ©? Egli non lo dice, non veramente. PerchĂ© rischierebbe cosĂŹ di smarrirsi? PerchĂ© ne Ăš persino sicuro? PerchĂ© ha paura di ciĂČ di cui sembra cosĂŹ sicuro? PerchĂ© si perderebbe confrontando le tre donne? E soprattutto, che ne sa? Come puĂČ sapere che si smarrirebbe lĂ dove confessa o pretende confessare di non essere andato a vedere, non abbastanza lontano?
Proprio qui, a questo punto, non Ăš impossibile parlare di resistenza allâanalisi. Dâaltronde, nel paragrafo del testo principale cosĂŹ commentato, nel richiamo in nota, Freud aveva detto un poâ di piĂč, appena un poâ di piĂč, sulla propria resistenza, ma notando che ciĂČ che queste tre donne avevano in comune, appunto, era giĂ una certa resistenza allâanalisi. Leggiamo questo paragrafo. Tutti sanno che Freud sta analizzando il proprio sogno, un sogno che finirĂ per presentare lui stesso, in co...