14. Il camaleonte
Il momento del cambiamento Ăš lâunica poesia.
ADRIENNE RICH
A questo punto Ăš giunto il momento di discutere in maggior dettaglio della particella regina dellâinterazione debole, la trottola fatta di nulla, la piĂč piccola entitĂ di materia immaginabile, la particella fantasma, camaleonte, mutante, croce e delizia dei fisici. Il neutrino, corresponsabile delle stravaganze dellâinterazione debole ed esso stesso artefice di sorprendenti comportamenti.
La storia del neutrino si Ăš da subito intrecciata con lo sviluppo dellâinterazione debole e le due strade si sono incontrate tante volte, producendo risultati scientifici di enorme valore e contribuendo alla nostra conoscenza delle particelle elementari. Dallâipotesi di Pauli del 1930 trascorsero venticinque anni prima della scoperta del neutrino, ma durante tutto quel tempo, i fisici non misero mai in discussione la sua esistenza, anche se la speranza di poterlo un giorno rivelare, per colpa della sua irrisoria sezione dâurto con la materia, era minima. Lo stesso Pauli, al momento della sua «disperata» ipotesi, disse: «Ho fatto una cosa terribile, che nessun fisico teorico dovrebbe fare, ho proposto lâesistenza di una particella che non potrĂ mai essere rivelata!». Tanto per dare unâidea, un neutrino da un MeV potrebbe percorrere senza interagire in alcun modo un immaginario tubo riempito di piombo lungo un anno luce, ovvero 10 000 miliardi di chilometri⊠Assurdo.
Durante la Seconda guerra mondiale il progetto Manhattan a Los Alamos rappresentĂČ un enorme sforzo organizzativo e finanziario per la realizzazione della prima bomba atomica: se intrapresa oggi, il costo totale dellâimpresa sarebbe di oltre 20 miliardi di dollari. Il progetto, perĂČ, fu anche un momento dâincontro tra i migliori ingegni dellâepoca. Tra loro Enrico Fermi, molto interessato agli aspetti di fisica fondamentale che quel progetto comportava. La prima bomba esplose al poligono di Alamogordo il 16 luglio 1945. Il risultato mostrĂČ a tutti gli scienziati presenti lâenorme energia nascosta nel nucleo atomico e anticipĂČ lâorrore che la successiva applicazione militare avrebbe riservato allâumanitĂ . Ma qualcuno riuscĂŹ a cogliere gli aspetti scientifici: si comprese che una simile esplosione era quel grande produttore di neutrini con cui poter superare la limitazione della bassa probabilitĂ dâinterazione al fine della loro prima rivelazione.
Il fisico americano Frederick Reines discusse con Fermi la possibilitĂ di installare un rivelatore di neutrini nei pressi di unâesplosione atomica per identificare questa particella per la prima volta (!). Tale ipotesi fantasiosa non ebbe seguito, benchĂ© avesse apparentemente avuto lâavallo dei militari, forse interessati a potenziali applicazioni belliche del neutrino⊠(e io sono molto felice che, per quante elucubrazioni fantascientifiche e fantamilitari siano state prodotte da allora, il neutrino rimanga a tuttâoggi una particella pacifica nella sua olimpica e aristocratica inoffensivitĂ ). In ogni caso, la determinazione di Frederick Reines fu ripagata dal fatto che alla fine fu proprio lui a scoprire il neutrino, assieme a Clyde Cowan, rivelandolo per la prima volta a metĂ degli anni cinquanta, tanti anni dopo lâipotesi di Pauli e la successiva sistemazione teorica di Fermi: la prova provata di quanto la nostra particella sia sfuggente.
Seguendo unâidea originaria di Bruno Pontecorvo, il «cucciolo» del gruppo di Fermi, una volta scartata lâipotesi poco pratica dellâesplosione atomica, Reines e Cowan compresero che uno dei reattori nucleari che allâepoca iniziavano a essere usati per applicazioni militari e per la produzione di elettricitĂ poteva rappresentare unâottima alternativa per scoprire il neutrino, e avrebbe inoltre permesso di ripetere lâesperimento piĂč volte. Oggi sappiamo che anche un modesto reattore da 1 gigawatt produce circa 1020 (100 miliardi di miliardi) antineutrini (e non neutrini) al secondo!
A proposito di Bruno Pontecorvo, il fisico pisano che negli anni cinquanta suscitĂČ un enorme clamore internazionale a seguito dellâimprovvisa decisione di emigrare di nascosto in Urss, va detto che Ăš stato indubbiamente uno dei principali attori sulla scena della fisica del neutrino. Ebbi il grande piacere di conoscerlo nellâestate del 1984, in occasione di una conferenza internazionale al jinr di Dubna, lâistituto per le ricerche nucleari a cento chilometri da Mosca, situato lungo le calme sponde del Volga. Fu uno dei momenti che segnarono la mia vita di ricercatore, dandomi un forte incoraggiamento a lavorare sulla fisica del neutrino. Ancora oggi ricordo con emozione quellâincontro. Eravamo una decina, noi fisici non sovietici, o comunque non del blocco dellâest, a partecipare alla conferenza e per questo fummo accolti con tutti gli onori dal direttore del jinr, lâaccademico Alexander Baldin. Il direttore ci fece visitare con orgoglio le apparecchiature e i laboratori del centro di ricerca. Molte delle strutture erano fatiscenti ma i colleghi sovietici ce la mettevano davvero tutta per lavorare secondo gli standard internazionali.
Fig. 14.1 â Lâincontro con Bruno Pontecorvo a Dubna nel 1984.
Qualche giorno dopo fui approcciato da alcuni fisici russi che mi dissero che il professor Pontecorvo voleva incontrarmi. Al momento la cosa mi lasciĂČ basito, non riuscivo a credere che il grande Pontecorvo potesse interessarsi a un giovane ricercatore italiano. Poi capii che in effetti il professore aveva certo voglia di scambiare quattro chiacchiere dal vivo con un compatriota, una cosa non proprio comune nellâUnione Sovietica dellâepoca. Lâincontro avvenne dopo un paio di giorni. Mi fecero entrare in un elegante salone e dopo qualche minuto, preceduto da alcuni accompagnatori, sopraggiunse Pontecorvo, che mi accolse con grande gentilezza. Parlammo del piĂč e del meno, di fisica ma anche della situazione politica italiana. La malattia da cui era affetto rendeva difficili i suoi movimenti e le sue parole ma lâincontro fu bellissimo e cordiale (Fig. 14.1). Solo quando gli dissi che stavamo preparando un esperimento al cern che avrebbe potuto cercare le oscillazioni di neutrino mostrĂČ un cenno di malcelato orgoglio dicendo: «⊠Quelle le ho inventate io!». Ma ora torniamo allâidea di Reines e Cowan.
Sorsero subito due formidabili problemi sperimentali. Il primo, al quale ho giĂ accennato, era dato dalla bassissima sezione dâurto (anti)neutrino-materia, lâaltro, altrettanto difficile da risolvere a quellâepoca, era quello di avere un modo non ambiguo per affermare che si era proprio osservato un neutrino o, meglio, lâeffetto della sua interazione con il rivelatore. Ammesso che uno dei tantissimi antineutrini del reattore di Hanford nello stato di Washington, scelto da Reines e Cowan per il loro fondamentale esperimento, avesse potuto finalmente interagire con la materia del rivelatore, che tipo di segnale si sarebbero dovuti attendere? Lâidea fu di realizzare un esperimento sensibile al processo inverso del decadimento ÎČ, che procede attraverso una reazione di corrente carica debole: Îœ + p â n + e+. Essa descrive lâinterazione di un antineutrino prodotto dal reattore nucleare con un protone tra i tanti che costituiscono il bersaglio del rivelatore. Questa collisione dĂ luogo a un neutrone e a un positrone. Lo scambio del bosone W trasforma i membri dei relativi doppietti: lâantineutrino in positrone, e un quark u del protone in un d, creando cosĂŹ un neutrone, come illustrato dal diagramma in Fig. 14.2. Il problema della rivelazione del neutrino diventa allora quello di identificare il neutrone prodotto in coincidenza con il positrone. In assenza o comunque nella non dominanza di altri processi similmente probabili e con analoga segnatura, quelli che i fisici chiamano eventi di «fondo», si ha la firma dellâavvenuta interazione di un neutrino e quindi la sua rivelazione. Il modo dettagliato in cui si effettua lâidentificazione di un positrone e di un neutrone esula dai nostri obiettivi. Basti dire che il positrone appena prodotto si annichila con un elettrone del rivelatore producendo due fotoni, mentre il neutrone Ăš assorbito da un nucleo atomico eccitandolo e costringendolo in seguito a diseccitarsi emettendo un fotone energetico. Lâosservazione dellâantineutrino si traduce quindi nella piĂč accessibile rivelazione di tre fotoni con particolari caratteristiche temporali, cinematiche e topologiche.
Fig. 14.2 â Diagramma del decadimento ÎČ inverso, il processo che ha permesso la scoperta del neutrino, o meglio, dellâantineutrino.
Lâesperimento Poltergeist, cosĂŹ battezzato forse per sottolineare la natura evanescente della particella, fu quindi realizzato e i primi risultati arrivarono pochi mesi dopo nellâestate del 1953. Purtroppo il neutrino mostrĂČ di nuovo la sua riluttanza a farsi osservare e, a causa di un fondo sperimentale troppo alto, il segnale della sua interazione non fu convincente. Dopo il primo tentativo fallito, Reines e Cowan ci riprovarono, sistemando questa volta il ...