Apologia della storia o Mestiere di storico
a cura di Cesare Panizza
Apologia della storia di Marc Bloch di Cesare Panizza
1. La fortuna di un manoscritto incompiuto
Sono indubbiamente pochi i libri di storia che possano vantare la fortuna editoriale dellâApologia della storia o Mestiere di storico di Marc Bloch, ripubblicato innumerevoli volte e tradotto in ben 13 lingue diverse (Mastrogregori, 2001). E certo fra essi non ve ne sono altri che abbiano per oggetto di riflessione la storia stessa, materia dai piĂč giudicata ostica, âterritorioâ per soli specialisti. Non Ăš perĂČ solo per la eccezionale personalitĂ scientifica del suo autore, per la piacevolezza della sua scrittura, e neppure solo per il valore delle tesi in esso contenute, che lâApologia ha incontrato, dimostrando una longevitĂ editoriale veramente sorprendente, sempre nuove schiere di lettori. A fare di un testo incompiuto (fu pubblicato postumo â nella versione qui presentata â da Lucien Febvre nel 1949) e di cui non possediamo versioni che si Ăš autorizzati a pensare lâautore vivendo non avrebbe ancora modificato, ben piĂč che un classico sulla metodologia della storia, un libro-simbolo per piĂč generazioni di studiosi e di appassionati di storia, Ăš stato altro. Sono state le circostanze âeccezionaliâ della sua redazione â avvenuta fra il 1941 e il 1943 â e soprattutto le scelte operate dal suo autore in quei tragici anni, nella piena consapevolezza delle loro possibili, o meglio probabili, conseguenze.
SullâApologia piĂč che su altre opere si Ăš infatti proiettata lâaurea del Bloch resistente e martire della libertĂ . Deposta la penna con cui la stava scrivendo, Bloch, senza curarsi nĂ© della sua non piĂč giovane etĂ , nĂ© del fatto che la sua origine ebraica lo esponesse a rischi supplementari rispetto ai compagni di lotta, entrĂČ nelle file della resistenza francese, militando, dalla primavera del 1943, con incarichi direttivi, nellâorganizzazione clandestina Franc-Tireur. Arrestato nel marzo del 1944 nella natia Lione dagli uomini della Gestapo al comando di Klaus Barbie, fu torturato e infine fucilato dai tedeschi il 16 giugno di quellâanno, a pochi giorni di distanza, dunque, dallo sbarco in Normandia delle truppe alleate.
Le sue scelte e la sua tragica fine erano una lezione di coerenza, di una estrema e ammirevole coerenza, fra consapevolezza del valore civile della storia, inderogabilitĂ morale dellâengangement dello storico e comportamenti personali, che conferiva e conferisce tuttâora allâultima opera di Bloch un carisma che va oltre il terreno strettamente scientifico. A questo proposito valga la citazione delle parole con cui il grande medievista e dissidente polacco, Bronislaw Geremek, nel 1986 ricordĂČ Bloch alla Sorbona, in occasione del centenario della nascita, in un testo che non potĂ© leggere personalmente â lo fece Jacques Le Goff â essendogli impedito da una disposizione di polizia di lasciare il suo paese: «La vita di Marc Bloch si presenta come un messaggio sul ruolo dello storico nella cittĂ : un ruolo tuttâaltro che ovvio. Lo storico sa fin troppo del gioco politico, dello scarto tra i programmi e le realizzazioni, tra ciĂČ che si vuole e ciĂČ che si puĂČ, per non provare un certo fastidio ad impegnarsi. Sa fin troppo anche sugli abusi dellâimpiego della Storia a fini loschi, per non volere che la sua disciplina si tenga lontano da loro. Marc Bloch â Dilexit veritatem â pensava che la ricerca della veritĂ debba predisporre a difenderla e a servirla nella vita, pensava che la storia e lo storico debbano essere al servizio del vero e del giusto, della libertĂ e della fratellanza fra gli uomini» (Bronislaw Geremek, 1986).
Ve ne Ăš abbastanza per comprendere come negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale la memoria di Bloch venisse coltivata con profondo rispetto dalla âcorporazioneâ degli storici. GiĂ il 26 giugno del 1945, alla Sorbona, vi fu un primo commosso ricordo ufficiale, un tributo replicato negli anni successivi in concomitanza dellâanniversario della morte. Fu in particolare la nuova generazione di storici che si veniva raccogliendo attorno a Lucien Febvre e alle «Annales» â la ârivoluzionariaâ rivista fondata da questi e da Bloch nel 1929 nei loro anni strasburghesi â ad appropriarsene. Sono perĂČ in molti ad aver osservato come questa monumentalizzazione della figura di Bloch, divenuto una sorta di âsanto laicoâ protettore delle «Annales» (Dumoulin, 2000) oltre a essere rimasta sostanzialmente limitata al mondo accademico e a essere stata orientata da precise strategie tutte interne a esso â nel senso della costruzione di una sorta di mito delle «Annales» finalizzato a un proposito âegemonicoâ rispetto ad altri indirizzi storiografici â abbia in fondo nociuto alla comprensione e a una esatta valutazione della sua opera. In realtĂ , questâultima, compresa lâApologia, in fondo poco si prestava, se non in termini appunto generici, a legittimare i nuovi orientamenti che la rivista andĂČ assumendo, soprattutto dopo che alla direzione venne nominato Fernand Braudel, in seguito alla morte nel 1956 di Febvre. Non Ăš un caso che dopo la scomparsa del cofondatore insieme a Bloch della rivista, anche quellâimpegno ârammemorativoâ, divenuto ormai un poâ celebrativo, cominciasse a venir meno. Inoltre, se a Febvre â vero sacerdote del culto di Bloch â va indubbiamente riconosciuto il merito maggiore nella costruzione della sua immagine post-mortem, a partire dalla pubblicazione dei suoi inediti del periodo di guerra e dalla nascita della Associazione Marc Bloch, va ricordato che a muoverlo in tal senso vi fu, insieme alla pietas verso il compagno piĂč giovane di militanza storiografica, anche la pulsione a costruire in vita la propria stessa memoria. Parlando di Bloch, in fondo, il grande storico del XVI secolo parlava anche e soprattutto di sĂ©. Non era allora casuale che nel celebrarne, ricorrendo ai propri ricordi personali, le tante virtĂč scientifiche e civili, Febvre smorzasse, quando non omettesse, i molti momenti di tensione e di contrasto conosciuti dalla loro amicizia.
CosĂŹ, negli anni Settanta, quelli dei fasti della ânouvelle histoireâ, fra gli stessi storici francesi, si registrava un appannamento della presenza dellâopera di Bloch, che ora appariva ai piĂč decisamente invecchiata. Alla monumentalizzazione senza reale confronto critico con il modello di lavoro storiografico che essa rappresentava, seguiva un sostanziale oblio. Non deve stupire che nelle due opere di riflessione storiografica piĂč note di quella stagione â Paul Veyne, Comment on Ă©crit lâhistoire (1971) e Michel De Certeau, LâĂ©criture de lâhistoire (1975) â Bloch non trovasse spazio, o che venisse citato una sola volta nel testo di Georges Duby e Pierre Nora, Faire de lâhistoire (1974). Ancor piĂč clamoroso il giudizio dello stesso Duby che nella prefazione allâedizione tascabile del 1974, liquidava ingenerosamente lâApologia come unâopera francamente ormai superata.
Solo negli anni Ottanta, si avviĂČ una fase di recupero critico e propriamente storiografico dellâopera di Bloch, che coincise anche con una nuova sottolineatura del suo impegno civile e politico. Fu una riscoperta che ebbe origine contemporaneamente in Francia e nella cultura anglosassone, in cui peraltro apparve la prima biografia scientifica di Bloch (Carol Fink, 1989, A life in history) dopo quella encomiastica, a caldo, del suo collega e amico Charles-Edmond Perrin (1948). Era il âmomento Blochâ, come Ăš stato definito, in cui fortuna storiografica ed editoriale delle sue opere si intrecciarono con una rinnovata dimensione pubblica della sua memoria. A partire dagli anni Novanta si moltiplicarono infatti i riconoscimenti ufficiali. A Bloch vennero intitolate vie, scuole, corsi di studio e infine dopo una vicenda travagliata lâuniversitĂ di Strasburgo (1998), mentre sul piano editoriale, grazie soprattutto al figlio Ătienne Bloch e allâAssociazione Marc Bloch si avviava la pubblicazione di documenti e inediti di Bloch che permettevano a una nuova generazione di studiosi di confrontarsi piĂč analiticamente con la sua produzione storiografica e con la sua biografia.
In questo ritorno di interesse conversero una pluralitĂ di fattori. Fra questi, sul piano della memoria pubblica, il ri(aprirsi) della questione Vichy, una pagina a lungo dimenticata della storia contemporanea francese. Al di lĂ di certe esagerazioni nei giudizi (Ăš il caso di certe interpretazioni circa le scelte operate per esempio proprio da Febvre), di fronte alle compromissioni di alcuni intellettuali con il regime di PĂ©tain e alla scelta del âquieto vivereâ di altri, la figura di Bloch, scevro peraltro da appartenenze politiche troppo connotanti e dunque potenziale patrimonio di tutti i francesi, sembrĂČ incarnare il paradigma della dirittura morale e dellâintransigenza politica e intellettuale. Ă lecito poi chiedersi se su questo riconoscimento tardivo non abbia avuto anche una certa influenza la nuova centralitĂ che nel racconto della Seconda guerra mondiale si venne attribuendo a partire dagli anni Novanta al tema della persecuzione e dello sterminio ebraico.
Sul piano piĂč propriamente storiografico, nel recupero di Bloch concorsero invece lâaffievolirsi dei paradigmi che ne avevano determinato nei decenni precedenti lâemarginazione, e lâattacco portato da piĂč parti alla scientificitĂ della storia stessa, in una fase, contrariamente alle precedenti, segnata piuttosto da un appannamento della sua rilevanza nel discorso pubblico, da una crisi della storia che come Ăš stato spesso notato, prima di essere epistemologica Ăš innanzitutto crisi della sua funzione sociale. In questa congiuntura si collocava allora molto opportunamente anche una nuova edizione dellâApologia, che apportava nuove acquisizioni documentarie, pubblicata a cura di Ătienne Bloch, nel 1993. Nellâintrodurla, Ăš proprio Le Goff a notare â con un ravvedimento implicito rispetto alle posizioni espresse nei decenni precedenti â come da quel testo si dovesse e potesse ripartire criticamente, in omaggio a Bloch stesso. «Dunque, ritorno a Marc Bloch? Senza alcun dubbio, sarĂ un ritorno dei piĂč fecondi fra quante spesso non sono che mode, che goffamente mascherano il ritorno a una preistoria storiografica. Ma in tutta evidenza occorre prestare ancora orecchio al consiglio di Marc Bloch: âRimarrĂČ dunque fedele ai loro insegnamenti criticandoli lĂ dove io lo riterrĂČ utile, in tutta libertĂ , cosĂŹ come anchâio spero che un giorno i miei allievi mi critichino a loro voltaâ. Proprio cosĂŹ: questo libro non Ăš un punto di arrivo, ma un punto di partenza». (Le Goff, 1993).
2. Marc Bloch
Ma chi era Marc Bloch? Marc LĂ©opold Benjamin Bloch nacque a Lione nel 1886 da una famiglia ebraica originaria dellâAlsazia, emigrata allâinterno della Francia quando la regione frontaliera, in seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana del 1870-71, fu annessa al Reich tedesco. Il padre di Marc, Gustave Bloch (1848-1923), era uno stimato storico della Roma antica, per alcuni il migliore della sua generazione. Quando questi fu nominato docente di storia romana allâĂcole normale supĂ©rieure, la famiglia lasciĂČ Lione â dove Gustave insegnava alla locale universitĂ â per trasferirsi a Parigi. Il giovane Bloch crebbe dunque nella capitale negli anni dellâaffaire Dfreyfus, il noto caso giudiziario che divise lâopinione pubblica francese per piĂč di un decennio, segnando in profonditĂ , come egli stesso scrisse nellâApologia, la formazione politica e culturale della sua generazione. La vicenda si aprĂŹ nel 1894 quando il capitano dellâesercito Alfred Dreyfus, come i Bloch ebreo alsaziano, fu accusato di aver trasmesso informazioni militari ai tedeschi, e si concluse definitivamente solo nel 1906, quando Dreyfus fu definitivamente prosciolto da ogni accusa di tradimento e completamente reintegrato nei ranghi dellâesercito. Lâaffaire divenne perĂČ tale grazie alla mobilitazione degli uomini di cultura, che da allora si prese a chiamare âintellettualiâ per sottolinearne, inizialmente in termini negativi, il ruolo inedito di guida dellâopinione pubblica che essi erano venuti assumendo. Lâimpegno degli uomini di lettere fu infatti fondamentale per dimostrare lâinfondatezza dellâimpianto accusatorio contro Dreyfus, smascherando pubblicamente i pregiudizi antisemiti che lo sostenevano. Fra questi intellettuali, vi era anche Gustave Bloch, nel frattempo passato ad insegnare in Sorbona.
Questa ereditĂ famigliare â il laicismo, la scelta di rimanere fedeli alla Francia e ai valori di cittadinanza repubblicani, anteponendoli allâidentitĂ ebraica â, lâesempio paterno e le contrapposizioni di quegli anni attorno allâidentitĂ stessa dei francesi (fanno o non fanno legittimamente parte gli ebrei francesi della nazione?) avrebbero lasciato una traccia duratura nella personalitĂ di Bloch. Laico, sostanzialmente agnostico, Bloch affermĂČ sempre di sentirsi innanzitutto e semplicemente francese, ma difronte al ritorno in Europa e poi in Francia dellâantisemitismo egli non negĂČ lâereditĂ ebraica che gli derivava dalle sue origini famigliari. In uno dei suoi testi piĂč significativi sotto questo profilo, la Strana disfatta, redatta allâindomani della sconfitta francese nel giugno del 1940, nel presentare se stesso, Bloch si dichiarĂČ Â«ebreo per nascita» e dopo aver ricordato la sua ostilitĂ verso lâambiguo e infondato concetto di razza scrisse di non rivendicare mai la propria origine «tranne che in un caso: di fronte a un antisemita» (pag. 6-7). Una norma di comportamento che seguĂŹ per tutta la vita. Se di ebraismo di Bloch si puĂČ parlare, come peraltro ci autorizzano a fare anche alcuni cenni contenuti nellâApologia, lo si puĂČ fare solo quindi nei termini di una tradizione religiosa e culturale secolarizzata, un patrimonio innanzitutto etico che per lui rappresentava a pieno titolo, al pari del cristianesimo, una delle componenti essenziali della cultura francese ed europea.
Dopo aver frequentato il celebre LicĂ©e Luis-le-Grand a Parigi, Bloch proseguĂŹ la sua formazione allâĂcole normale. Nel 1908, divenuto agregĂ© di storia e geografia, ottenne una borsa di studio di due semestri per un soggiorno in Germania, a Lipsia e a Berlino. Si trattĂČ di unâesperienza fondamentale che gli permise di conoscere di prima mano i progressi compiuti, specie nella medievistica, dalla storiografia tedesca, allâepoca comunemente ritenuta in Europa un modello da imitare e se possibile da superare, anche sotto il profilo dellâorganizzazione della ricerca. Al rientro in patria, iniziato lâinsegnamento nelle scuole superiori (a Montpellier e poi ad Amiens), Bloch vinse nel 1909 una borsa di studio triennale della Fondazione Thiers, nel cui ambito lavorĂČ a una vasta ricerca sulla fine del servaggio nella regione dellâĂle de France. Dopo la guerra, riducendone di molto lâimpianto originario, Bloch ne avrebbe tratta la tesi di dottorato (Rois et serf. Un chapitre dâhistoire capĂ©tienne) discussa alla Sorbona nel 1920.
Fu in questo periodo che Bloch iniziĂČ a manifestare un certo distacco critico dalla lezione positivista in cui si era formato, anche per la decisiva influenza paterna, pur senza disconoscere il debito contratto con alcuni studiosi delle generazioni precedenti la sua (Foustel de Coulanges, Vidal de la Blache, Monod, Pfister). Alla fondazione Thiers, infatti, Bloch entrĂČ in contatto con studiosi di discipline differenti da quelle storiche, approfondendo in particolare il pensiero di Ămile Durkheim, il padre della sociologia francese, della cui portata, anche per gli storici, egli divenne pienamente consapevole. La sfida che una scienza giovane come la sociologia sembrava portare alla storia, mettendone in discussione la legittimitĂ e lâutilitĂ , non andava affatto sdegnata, ma raccolta, se non si voleva inevitabilmente consegnare la storia a un ruolo marginale. Risale a questo periodo, infatti, quella riflessione sullâimportanza della interdisciplinaritĂ per il rinnovamento della storia che caratterizzĂČ la pratica storiografica e la riflessione metodologica di Bloch, e la sua collaborazione con la rivista di Hery Berr, la RĂ©vue de sinthĂšse historique, unâimpresa culturale, nata ai margini del mondo accademico, con lâintento appunto di rinnovare la storia nella direzione di un vasto approccio interdisciplinare. Nello specifico, rimontano a quegli anni lâamicizia con il grecista Louis Gernet, il sinologo e linguista Marcel Granet, e il sociologo Maurice Halbwachs, legami forieri di stimoli fondamentali nellâindirizzare il lavoro storiografico di Bloch, contribuendo a determinarne quella peculiare attenzione al tema dei riti e dei miti, alle mentalitĂ e alle rappresentazioni collettive, che trovĂČ un esemplare successiva applicazione nei Re taumaturghi.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Bloch venne richiamato come sergente di fanteria. TerminerĂ la guerra, pressochĂ© tutta trascorsa al fronte, salvo un breve periodo in Algeria, con il grado di capitano, ricevendo quattro encomi, la Croix de guerre e la LĂ©gion dâhonneur. BenchĂ© comportasse lâinterruzione delle sua attivitĂ di ricerca, lâesperienza della guerra non fu in perdita per lo storico, avrebbe infatti esercitato su Bloch una profonda influenza, lasciando suggestioni che si ritroveranno nei suoi lavori successivi. Arrivato al fronte con la ferma intenzione di registrare nella forma piĂč oggettiva possibile, prima cioĂš che il tempo ne stravolgesse i contorni, tutto ciĂČ che avrebbe visto o gli sarebbe accaduto, Bloch vi condusse un esperimento sulla propria memoria. Ne sarebbe derivata un affinamento della capacitĂ di critica delle testimonianze, della sua riflessione sul rapporto testimone/avvenimento, a partire da una piena valutazione dei contenuti psicologici della stessa esperienza storica. Gli parve, poi, che quella guerra, isolando in condizioni di vita estreme, dal resto della societĂ piccole comunitĂ di uomini, riproducesse situazioni sociali e psicologiche proprie di epoche passate. Era il caso delle false notizie circolanti per le trincee, interessantissime per lo studioso, giacchĂ© al di lĂ della loro totale infondatezza e irrazionalitĂ rivelavano le soggiacenti rappresentazioni mentali collettive. Ne scrisse nel 1921 in La guerra e le false notizie, testo inizialmente apparso sulla rivista di Berr, poi divenuto un volume autonomo.
Fu piĂč in generale la sensibilitĂ per la relazione biunivoca che lega il passato al presente ad affinarsi in quegli interminabili quattro anni. Dalle trincee Bloch uscĂŹ con lâurgenza di lavorare alla definizione di un modo di fare storia che fosse innanzitutto utile per il presente, conferendo al mestiere di storico un rinnovato valore civile. Una preoccupazione non diversa era nutrita dal Lucien Febvre de Lâhistoire dans le monde en ruines che come Bloch aveva fatto esperienza diretta del conflitto e che sarĂ con il ritorno della pace suo collega di universitĂ , a Strasburgo, e suo principale collaboratore. Potevano dopo quella catastrofe gli storici continuare a relazionarsi come prima al loro mestiere? O non era necessaria una radicale revisione giacchĂ© con quella âabominevole strageâ era radicalmente cambiato il rapporto fra presente e passato? E come coniugare questa necessitĂ per una storia socialmente utile senza metterne in discussione la scientificitĂ , senza cioĂš compromettere lâautonomia del lavoro storico che potrebbe venire a dipendere, direttamente o indirettamente, da sollecitazioni esterne alla pura ricerca?
Nel 1919 Bloch venne nominato allâUniversitĂ di Strasburgo, la cittĂ dei suoi antenati, un luogo che pur distante da Parigi si rivelĂČ per lui estremamente stimolante. Lâateneo alsaziano, rifondato dopo la fine della guerra, era infatti oggetto di unâattenzione privilegiata allâinterno del sistema universitario francese. Si voleva crearvi un centro di irradiazione culturale in grado di favorire lâintegrazione nella nazio...