Apologia della storia o Mestiere di storico
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Marc Bloch, Cesare Panizza

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Apologia della storia o Mestiere di storico

Marc Bloch, Cesare Panizza

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Apologia della storia Ú un libro incompiuto. Cominciato nel 1941, nel terrore per l'invasione nazista della Francia, la sua stesura viene interrotta allorché l'autore entra nelle file della Resistenza, con un impegno e un coraggio già dimostrato in occasione della Grande Guerra. Questa scelta volontaria, che gli costerà la vita (sarà fucilato dai nazisti nel giugno del 1944) dimostra in quale misura l'amore di Bloch per il lavoro intellettuale significhi prima di tutto culto della libertà e della giustizia sociale. Libro fondamentale per la "nuova storia" francese, di cui fu esponente di spicco con Lucien Febvre, Ú ancora oggi un esempio insuperato di analisi e di riflessione sul mestiere dello storico e le sue implicazioni, profonde, con le altre discipline di studio.

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Information

Jahr
2015
ISBN
9788898137800

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Apologia della storia o Mestiere di storico

a cura di Cesare Panizza


Apologia della storia di Marc Bloch di Cesare Panizza



1. La fortuna di un manoscritto incompiuto

Sono indubbiamente pochi i libri di storia che possano vantare la fortuna editoriale dell’Apologia della storia o Mestiere di storico di Marc Bloch, ripubblicato innumerevoli volte e tradotto in ben 13 lingue diverse (Mastrogregori, 2001). E certo fra essi non ve ne sono altri che abbiano per oggetto di riflessione la storia stessa, materia dai piĂč giudicata ostica, “territorio” per soli specialisti. Non Ăš perĂČ solo per la eccezionale personalitĂ  scientifica del suo autore, per la piacevolezza della sua scrittura, e neppure solo per il valore delle tesi in esso contenute, che l’Apologia ha incontrato, dimostrando una longevitĂ  editoriale veramente sorprendente, sempre nuove schiere di lettori. A fare di un testo incompiuto (fu pubblicato postumo – nella versione qui presentata – da Lucien Febvre nel 1949) e di cui non possediamo versioni che si Ăš autorizzati a pensare l’autore vivendo non avrebbe ancora modificato, ben piĂč che un classico sulla metodologia della storia, un libro-simbolo per piĂč generazioni di studiosi e di appassionati di storia, Ăš stato altro. Sono state le circostanze “eccezionali” della sua redazione – avvenuta fra il 1941 e il 1943 – e soprattutto le scelte operate dal suo autore in quei tragici anni, nella piena consapevolezza delle loro possibili, o meglio probabili, conseguenze.
Sull’Apologia piĂč che su altre opere si Ăš infatti proiettata l’aurea del Bloch resistente e martire della libertĂ . Deposta la penna con cui la stava scrivendo, Bloch, senza curarsi nĂ© della sua non piĂč giovane etĂ , nĂ© del fatto che la sua origine ebraica lo esponesse a rischi supplementari rispetto ai compagni di lotta, entrĂČ nelle file della resistenza francese, militando, dalla primavera del 1943, con incarichi direttivi, nell’organizzazione clandestina Franc-Tireur. Arrestato nel marzo del 1944 nella natia Lione dagli uomini della Gestapo al comando di Klaus Barbie, fu torturato e infine fucilato dai tedeschi il 16 giugno di quell’anno, a pochi giorni di distanza, dunque, dallo sbarco in Normandia delle truppe alleate.
Le sue scelte e la sua tragica fine erano una lezione di coerenza, di una estrema e ammirevole coerenza, fra consapevolezza del valore civile della storia, inderogabilitĂ  morale dell’engangement dello storico e comportamenti personali, che conferiva e conferisce tutt’ora all’ultima opera di Bloch un carisma che va oltre il terreno strettamente scientifico. A questo proposito valga la citazione delle parole con cui il grande medievista e dissidente polacco, Bronislaw Geremek, nel 1986 ricordĂČ Bloch alla Sorbona, in occasione del centenario della nascita, in un testo che non potĂ© leggere personalmente – lo fece Jacques Le Goff – essendogli impedito da una disposizione di polizia di lasciare il suo paese: «La vita di Marc Bloch si presenta come un messaggio sul ruolo dello storico nella cittĂ : un ruolo tutt’altro che ovvio. Lo storico sa fin troppo del gioco politico, dello scarto tra i programmi e le realizzazioni, tra ciĂČ che si vuole e ciĂČ che si puĂČ, per non provare un certo fastidio ad impegnarsi. Sa fin troppo anche sugli abusi dell’impiego della Storia a fini loschi, per non volere che la sua disciplina si tenga lontano da loro. Marc Bloch – Dilexit veritatem – pensava che la ricerca della veritĂ  debba predisporre a difenderla e a servirla nella vita, pensava che la storia e lo storico debbano essere al servizio del vero e del giusto, della libertĂ  e della fratellanza fra gli uomini» (Bronislaw Geremek, 1986).
Ve ne Ăš abbastanza per comprendere come negli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale la memoria di Bloch venisse coltivata con profondo rispetto dalla “corporazione” degli storici. GiĂ  il 26 giugno del 1945, alla Sorbona, vi fu un primo commosso ricordo ufficiale, un tributo replicato negli anni successivi in concomitanza dell’anniversario della morte. Fu in particolare la nuova generazione di storici che si veniva raccogliendo attorno a Lucien Febvre e alle «Annales» – la “rivoluzionaria” rivista fondata da questi e da Bloch nel 1929 nei loro anni strasburghesi – ad appropriarsene. Sono perĂČ in molti ad aver osservato come questa monumentalizzazione della figura di Bloch, divenuto una sorta di “santo laico” protettore delle «Annales» (Dumoulin, 2000) oltre a essere rimasta sostanzialmente limitata al mondo accademico e a essere stata orientata da precise strategie tutte interne a esso – nel senso della costruzione di una sorta di mito delle «Annales» finalizzato a un proposito “egemonico” rispetto ad altri indirizzi storiografici – abbia in fondo nociuto alla comprensione e a una esatta valutazione della sua opera. In realtĂ , quest’ultima, compresa l’Apologia, in fondo poco si prestava, se non in termini appunto generici, a legittimare i nuovi orientamenti che la rivista andĂČ assumendo, soprattutto dopo che alla direzione venne nominato Fernand Braudel, in seguito alla morte nel 1956 di Febvre. Non Ăš un caso che dopo la scomparsa del cofondatore insieme a Bloch della rivista, anche quell’impegno “rammemorativo”, divenuto ormai un po’ celebrativo, cominciasse a venir meno. Inoltre, se a Febvre – vero sacerdote del culto di Bloch – va indubbiamente riconosciuto il merito maggiore nella costruzione della sua immagine post-mortem, a partire dalla pubblicazione dei suoi inediti del periodo di guerra e dalla nascita della Associazione Marc Bloch, va ricordato che a muoverlo in tal senso vi fu, insieme alla pietas verso il compagno piĂč giovane di militanza storiografica, anche la pulsione a costruire in vita la propria stessa memoria. Parlando di Bloch, in fondo, il grande storico del XVI secolo parlava anche e soprattutto di sĂ©. Non era allora casuale che nel celebrarne, ricorrendo ai propri ricordi personali, le tante virtĂč scientifiche e civili, Febvre smorzasse, quando non omettesse, i molti momenti di tensione e di contrasto conosciuti dalla loro amicizia.
CosĂŹ, negli anni Settanta, quelli dei fasti della “nouvelle histoire”, fra gli stessi storici francesi, si registrava un appannamento della presenza dell’opera di Bloch, che ora appariva ai piĂč decisamente invecchiata. Alla monumentalizzazione senza reale confronto critico con il modello di lavoro storiografico che essa rappresentava, seguiva un sostanziale oblio. Non deve stupire che nelle due opere di riflessione storiografica piĂč note di quella stagione – Paul Veyne, Comment on Ă©crit l’histoire (1971) e Michel De Certeau, L’écriture de l’histoire (1975) – Bloch non trovasse spazio, o che venisse citato una sola volta nel testo di Georges Duby e Pierre Nora, Faire de l’histoire (1974). Ancor piĂč clamoroso il giudizio dello stesso Duby che nella prefazione all’edizione tascabile del 1974, liquidava ingenerosamente l’Apologia come un’opera francamente ormai superata.
Solo negli anni Ottanta, si avviĂČ una fase di recupero critico e propriamente storiografico dell’opera di Bloch, che coincise anche con una nuova sottolineatura del suo impegno civile e politico. Fu una riscoperta che ebbe origine contemporaneamente in Francia e nella cultura anglosassone, in cui peraltro apparve la prima biografia scientifica di Bloch (Carol Fink, 1989, A life in history) dopo quella encomiastica, a caldo, del suo collega e amico Charles-Edmond Perrin (1948). Era il “momento Bloch”, come Ăš stato definito, in cui fortuna storiografica ed editoriale delle sue opere si intrecciarono con una rinnovata dimensione pubblica della sua memoria. A partire dagli anni Novanta si moltiplicarono infatti i riconoscimenti ufficiali. A Bloch vennero intitolate vie, scuole, corsi di studio e infine dopo una vicenda travagliata l’universitĂ  di Strasburgo (1998), mentre sul piano editoriale, grazie soprattutto al figlio Étienne Bloch e all’Associazione Marc Bloch si avviava la pubblicazione di documenti e inediti di Bloch che permettevano a una nuova generazione di studiosi di confrontarsi piĂč analiticamente con la sua produzione storiografica e con la sua biografia.
In questo ritorno di interesse conversero una pluralitĂ  di fattori. Fra questi, sul piano della memoria pubblica, il ri(aprirsi) della questione Vichy, una pagina a lungo dimenticata della storia contemporanea francese. Al di lĂ  di certe esagerazioni nei giudizi (Ăš il caso di certe interpretazioni circa le scelte operate per esempio proprio da Febvre), di fronte alle compromissioni di alcuni intellettuali con il regime di PĂ©tain e alla scelta del “quieto vivere” di altri, la figura di Bloch, scevro peraltro da appartenenze politiche troppo connotanti e dunque potenziale patrimonio di tutti i francesi, sembrĂČ incarnare il paradigma della dirittura morale e dell’intransigenza politica e intellettuale. È lecito poi chiedersi se su questo riconoscimento tardivo non abbia avuto anche una certa influenza la nuova centralitĂ  che nel racconto della Seconda guerra mondiale si venne attribuendo a partire dagli anni Novanta al tema della persecuzione e dello sterminio ebraico.
Sul piano piĂč propriamente storiografico, nel recupero di Bloch concorsero invece l’affievolirsi dei paradigmi che ne avevano determinato nei decenni precedenti l’emarginazione, e l’attacco portato da piĂč parti alla scientificitĂ  della storia stessa, in una fase, contrariamente alle precedenti, segnata piuttosto da un appannamento della sua rilevanza nel discorso pubblico, da una crisi della storia che come Ăš stato spesso notato, prima di essere epistemologica Ăš innanzitutto crisi della sua funzione sociale. In questa congiuntura si collocava allora molto opportunamente anche una nuova edizione dell’Apologia, che apportava nuove acquisizioni documentarie, pubblicata a cura di Étienne Bloch, nel 1993. Nell’introdurla, Ăš proprio Le Goff a notare – con un ravvedimento implicito rispetto alle posizioni espresse nei decenni precedenti – come da quel testo si dovesse e potesse ripartire criticamente, in omaggio a Bloch stesso. «Dunque, ritorno a Marc Bloch? Senza alcun dubbio, sarĂ  un ritorno dei piĂč fecondi fra quante spesso non sono che mode, che goffamente mascherano il ritorno a una preistoria storiografica. Ma in tutta evidenza occorre prestare ancora orecchio al consiglio di Marc Bloch: “RimarrĂČ dunque fedele ai loro insegnamenti criticandoli lĂ  dove io lo riterrĂČ utile, in tutta libertĂ , cosĂŹ come anch’io spero che un giorno i miei allievi mi critichino a loro volta”. Proprio cosĂŹ: questo libro non Ăš un punto di arrivo, ma un punto di partenza». (Le Goff, 1993).

2. Marc Bloch

Ma chi era Marc Bloch? Marc LĂ©opold Benjamin Bloch nacque a Lione nel 1886 da una famiglia ebraica originaria dell’Alsazia, emigrata all’interno della Francia quando la regione frontaliera, in seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana del 1870-71, fu annessa al Reich tedesco. Il padre di Marc, Gustave Bloch (1848-1923), era uno stimato storico della Roma antica, per alcuni il migliore della sua generazione. Quando questi fu nominato docente di storia romana all’École normale supĂ©rieure, la famiglia lasciĂČ Lione – dove Gustave insegnava alla locale universitĂ  – per trasferirsi a Parigi. Il giovane Bloch crebbe dunque nella capitale negli anni dell’affaire Dfreyfus, il noto caso giudiziario che divise l’opinione pubblica francese per piĂč di un decennio, segnando in profonditĂ , come egli stesso scrisse nell’Apologia, la formazione politica e culturale della sua generazione. La vicenda si aprĂŹ nel 1894 quando il capitano dell’esercito Alfred Dreyfus, come i Bloch ebreo alsaziano, fu accusato di aver trasmesso informazioni militari ai tedeschi, e si concluse definitivamente solo nel 1906, quando Dreyfus fu definitivamente prosciolto da ogni accusa di tradimento e completamente reintegrato nei ranghi dell’esercito. L’affaire divenne perĂČ tale grazie alla mobilitazione degli uomini di cultura, che da allora si prese a chiamare “intellettuali” per sottolinearne, inizialmente in termini negativi, il ruolo inedito di guida dell’opinione pubblica che essi erano venuti assumendo. L’impegno degli uomini di lettere fu infatti fondamentale per dimostrare l’infondatezza dell’impianto accusatorio contro Dreyfus, smascherando pubblicamente i pregiudizi antisemiti che lo sostenevano. Fra questi intellettuali, vi era anche Gustave Bloch, nel frattempo passato ad insegnare in Sorbona.
Questa ereditĂ  famigliare – il laicismo, la scelta di rimanere fedeli alla Francia e ai valori di cittadinanza repubblicani, anteponendoli all’identitĂ  ebraica –, l’esempio paterno e le contrapposizioni di quegli anni attorno all’identitĂ  stessa dei francesi (fanno o non fanno legittimamente parte gli ebrei francesi della nazione?) avrebbero lasciato una traccia duratura nella personalitĂ  di Bloch. Laico, sostanzialmente agnostico, Bloch affermĂČ sempre di sentirsi innanzitutto e semplicemente francese, ma difronte al ritorno in Europa e poi in Francia dell’antisemitismo egli non negĂČ l’ereditĂ  ebraica che gli derivava dalle sue origini famigliari. In uno dei suoi testi piĂč significativi sotto questo profilo, la Strana disfatta, redatta all’indomani della sconfitta francese nel giugno del 1940, nel presentare se stesso, Bloch si dichiarĂČ Â«ebreo per nascita» e dopo aver ricordato la sua ostilitĂ  verso l’ambiguo e infondato concetto di razza scrisse di non rivendicare mai la propria origine «tranne che in un caso: di fronte a un antisemita» (pag. 6-7). Una norma di comportamento che seguĂŹ per tutta la vita. Se di ebraismo di Bloch si puĂČ parlare, come peraltro ci autorizzano a fare anche alcuni cenni contenuti nell’Apologia, lo si puĂČ fare solo quindi nei termini di una tradizione religiosa e culturale secolarizzata, un patrimonio innanzitutto etico che per lui rappresentava a pieno titolo, al pari del cristianesimo, una delle componenti essenziali della cultura francese ed europea.
Dopo aver frequentato il celebre LicĂ©e Luis-le-Grand a Parigi, Bloch proseguĂŹ la sua formazione all’École normale. Nel 1908, divenuto agregĂ© di storia e geografia, ottenne una borsa di studio di due semestri per un soggiorno in Germania, a Lipsia e a Berlino. Si trattĂČ di un’esperienza fondamentale che gli permise di conoscere di prima mano i progressi compiuti, specie nella medievistica, dalla storiografia tedesca, all’epoca comunemente ritenuta in Europa un modello da imitare e se possibile da superare, anche sotto il profilo dell’organizzazione della ricerca. Al rientro in patria, iniziato l’insegnamento nelle scuole superiori (a Montpellier e poi ad Amiens), Bloch vinse nel 1909 una borsa di studio triennale della Fondazione Thiers, nel cui ambito lavorĂČ a una vasta ricerca sulla fine del servaggio nella regione dell’Île de France. Dopo la guerra, riducendone di molto l’impianto originario, Bloch ne avrebbe tratta la tesi di dottorato (Rois et serf. Un chapitre d’histoire capĂ©tienne) discussa alla Sorbona nel 1920.
Fu in questo periodo che Bloch iniziĂČ a manifestare un certo distacco critico dalla lezione positivista in cui si era formato, anche per la decisiva influenza paterna, pur senza disconoscere il debito contratto con alcuni studiosi delle generazioni precedenti la sua (Foustel de Coulanges, Vidal de la Blache, Monod, Pfister). Alla fondazione Thiers, infatti, Bloch entrĂČ in contatto con studiosi di discipline differenti da quelle storiche, approfondendo in particolare il pensiero di Émile Durkheim, il padre della sociologia francese, della cui portata, anche per gli storici, egli divenne pienamente consapevole. La sfida che una scienza giovane come la sociologia sembrava portare alla storia, mettendone in discussione la legittimitĂ  e l’utilitĂ , non andava affatto sdegnata, ma raccolta, se non si voleva inevitabilmente consegnare la storia a un ruolo marginale. Risale a questo periodo, infatti, quella riflessione sull’importanza della interdisciplinaritĂ  per il rinnovamento della storia che caratterizzĂČ la pratica storiografica e la riflessione metodologica di Bloch, e la sua collaborazione con la rivista di Hery Berr, la RĂ©vue de sinthĂšse historique, un’impresa culturale, nata ai margini del mondo accademico, con l’intento appunto di rinnovare la storia nella direzione di un vasto approccio interdisciplinare. Nello specifico, rimontano a quegli anni l’amicizia con il grecista Louis Gernet, il sinologo e linguista Marcel Granet, e il sociologo Maurice Halbwachs, legami forieri di stimoli fondamentali nell’indirizzare il lavoro storiografico di Bloch, contribuendo a determinarne quella peculiare attenzione al tema dei riti e dei miti, alle mentalitĂ  e alle rappresentazioni collettive, che trovĂČ un esemplare successiva applicazione nei Re taumaturghi.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Bloch venne richiamato come sergente di fanteria. TerminerĂ  la guerra, pressochĂ© tutta trascorsa al fronte, salvo un breve periodo in Algeria, con il grado di capitano, ricevendo quattro encomi, la Croix de guerre e la LĂ©gion d’honneur. BenchĂ© comportasse l’interruzione delle sua attivitĂ  di ricerca, l’esperienza della guerra non fu in perdita per lo storico, avrebbe infatti esercitato su Bloch una profonda influenza, lasciando suggestioni che si ritroveranno nei suoi lavori successivi. Arrivato al fronte con la ferma intenzione di registrare nella forma piĂč oggettiva possibile, prima cioĂš che il tempo ne stravolgesse i contorni, tutto ciĂČ che avrebbe visto o gli sarebbe accaduto, Bloch vi condusse un esperimento sulla propria memoria. Ne sarebbe derivata un affinamento della capacitĂ  di critica delle testimonianze, della sua riflessione sul rapporto testimone/avvenimento, a partire da una piena valutazione dei contenuti psicologici della stessa esperienza storica. Gli parve, poi, che quella guerra, isolando in condizioni di vita estreme, dal resto della societĂ  piccole comunitĂ  di uomini, riproducesse situazioni sociali e psicologiche proprie di epoche passate. Era il caso delle false notizie circolanti per le trincee, interessantissime per lo studioso, giacchĂ© al di lĂ  della loro totale infondatezza e irrazionalitĂ  rivelavano le soggiacenti rappresentazioni mentali collettive. Ne scrisse nel 1921 in La guerra e le false notizie, testo inizialmente apparso sulla rivista di Berr, poi divenuto un volume autonomo.
Fu piĂč in generale la sensibilitĂ  per la relazione biunivoca che lega il passato al presente ad affinarsi in quegli interminabili quattro anni. Dalle trincee Bloch uscĂŹ con l’urgenza di lavorare alla definizione di un modo di fare storia che fosse innanzitutto utile per il presente, conferendo al mestiere di storico un rinnovato valore civile. Una preoccupazione non diversa era nutrita dal Lucien Febvre de L’histoire dans le monde en ruines che come Bloch aveva fatto esperienza diretta del conflitto e che sarĂ  con il ritorno della pace suo collega di universitĂ , a Strasburgo, e suo principale collaboratore. Potevano dopo quella catastrofe gli storici continuare a relazionarsi come prima al loro mestiere? O non era necessaria una radicale revisione giacchĂ© con quella “abominevole strage” era radicalmente cambiato il rapporto fra presente e passato? E come coniugare questa necessitĂ  per una storia socialmente utile senza metterne in discussione la scientificitĂ , senza cioĂš compromettere l’autonomia del lavoro storico che potrebbe venire a dipendere, direttamente o indirettamente, da sollecitazioni esterne alla pura ricerca?
Nel 1919 Bloch venne nominato all’UniversitĂ  di Strasburgo, la cittĂ  dei suoi antenati, un luogo che pur distante da Parigi si rivelĂČ per lui estremamente stimolante. L’ateneo alsaziano, rifondato dopo la fine della guerra, era infatti oggetto di un’attenzione privilegiata all’interno del sistema universitario francese. Si voleva crearvi un centro di irradiazione culturale in grado di favorire l’integrazione nella nazio...

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