L'inquadratura e la composizione in fotografia - Seconda edizione
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Alessandro Rizzitano

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L'inquadratura e la composizione in fotografia - Seconda edizione

Alessandro Rizzitano

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Über dieses Buch

Un'inquadratura sbagliata e una composizione non equilibrata rischiano di penalizzare in modo irrimediabile anche un buon soggetto ripreso con ottima luce. È soprattutto un libro da leggere e non solo un manuale da consultare. SECONDA EDIZIONE Nuova veste grafica per una lettura più agevole
Tutti i capitoli sono stati rivisti e ampliati
Tre nuovi capitoli: IL DISTURBO – L'ELOGIO DEL QUADRATO – COME IN UN FILM
35 nuove foto esemplificative
20 voci in più nel dizionario dei termini tecnici
Indice analitico
238 pagine

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Information

Jahr
2019
ISBN
9788831606806

CAPITOLO II – I PRINCIPALI ELEMENTI COMPOSITIVI

Il giusto approccio alla composizione
Che cosa inquadriamo della scena che ci troviamo davanti? Che cosa inseriamo? Che cosa escludiamo?
Questa scelta è la prima che siamo costretti a fare, e solo in alcuni casi possiamo meditarla a lungo, ad esempio quando ci accingiamo a fare una foto di un paesaggio, di un monumento, nello still life, nella foto di moda o di ritratto in studio.
Spesso però questo tempo non l’abbiamo: nella street photography, nelle foto di reportage, nella fotografia sportiva e in genere in tutte le foto con soggetti in movimento, le scene che ci accingiamo a fotografare sono in costante evoluzione e quindi la scelta di cosa inquadrare e cosa escludere deve essere fatta in tempi brevissimi, in modo quasi istintivo. La conoscenza delle regole compositive e l’esperienza che nasce dall’aver fatto migliaia di scatti, ci consentirà, nel tempo, di acquisire quegli automatismi che garantiranno quasi sempre un’inquadratura e una composizione corrette, senza doverci pensare su troppo. È come quando compriamo un’auto nuova: i comandi per accendere i fendinebbia o per attivare le quattro luci lampeggianti o lo sbrinatore del lunotto sono in posizioni diverse da quelle che avevano nella macchina precedente, e all’inizio dobbiamo cercarli per poterli azionare, ma dopo pochi giorni ne memorizziamo la posizione sul cruscotto e li attiviamo senza neanche guardare, automaticamente.
Come disporre gli elementi all’interno dell’inquadratura
Dopo avere esaminato quali sono gli strumenti che ci consentono di inquadrare, e cioè di contenere, delimitare, circoscrivere la nostra immagine fotografica, passiamo a esaminare la disposizione che gli elementi possono, e talvolta devono, assumere all’interno dell’inquadratura, e i canoni estetici, dinamici, e compositivi che regolano la struttura dell’immagine inquadrata.
Iniziamo a entrare quindi nel vastissimo argomento di quel sottile, fondamentale, affascinante campo che si occupa di analizzare gli equilibri compositivi di un’immagine.
La ricerca dell’equilibrio, o meglio di un equilibrio è prerogativa di qualunque arte: pittura, scultura, musica, e quindi anche fotografia. Dobbiamo pertanto sforzarci di comporre tutti gli elementi che concorrono a formare un’immagine in modo armonico, ben bilanciandoli tra loro, e dobbiamo provare a farlo sin dal momento dello scatto.
È vero che molte correzioni all’ampiezza dell’inquadratura si possono fare in fase di postproduzione, ma non sempre è così, soprattutto se non abbiamo avuto l’accortezza di stare un po’ larghi, prudenzialmente, al momento dello scatto: a tagliare (o a croppare, come si usa dire in gergo usando un brutto ma efficace anglicismo), c’è sempre tempo, ma è meglio non fidarsi troppo di questa certezza e tenerne conto solo per rimediare a qualche errore e non come comportamento abituale.
È bene quindi allenarsi e abituarsi a ben comporre sin dal momento dello scatto, tanto da farlo diventare un gesto automatico e istintivo, e quindi non ragionato, tenendo ben presente che equilibrio non significa necessariamente simmetria, ma ricerca di una distribuzione armonica degli elementi che compongono l’immagine all’interno del campo inquadrato. Qualcuno potrebbe dire che anche la simmetria è una forma di equilibrio compositivo, anzi forse istintivamente la potremmo considerare la più perfetta forma di equilibrio. È vero anche questo e infatti più avanti la prenderemo in considerazione, esaminando come, quando e perché può essere efficace una composizione simmetrica.
Cominciamo intanto con un principio di base: nel momento in cui ci apprestiamo a scattare una foto, dobbiamo sempre ricordarci che abbiamo il dovere di produrre un’immagine che dovrà attrarre l’osservatore, catturare la sua attenzione, trasmettere quello che noi vogliamo, e questo si può fare soltanto attraverso un approccio consapevole all’inquadratura.
Una foto attraente e memorabile è quella che presenta un oggetto/soggetto capace di imporsi subito all’attenzione di chi guarda, un polo d’attrazione chiaro e ben distinguibile (anche se questo principio di base, di per sé validissimo, può avere le sue brave eccezioni che vedremo più avanti), in equilibrio armonico con gli altri oggetti/soggetti contenuti nell’inquadratura. Dobbiamo insomma avere qualcosa da dire, e saperla dire.
Capita molto frequentemente di osservare delle fotografie che non ci dicono nulla, nelle quali non si capisce quale sia il soggetto o almeno il soggetto principale, che sembrano scattate per caso, senza intenzione e senza consapevolezza, senza aver tenuto presente un aspetto fondamentale e cioè che l’occhio umano e l’obiettivo della fotocamera vedono la realtà in modo differente: l’uno attraverso l’elaborazione che il cervello fa delle immagini (stereoscopica e tridimensionale) l’altro attraverso l’elaborazione fatta dal sensore e dal microprocessore della nostra fotocamera digitale, che ci restituisce un’immagine monoscopica e bidimensionale, perché manca la terza dimensione (profondità) dello spazio euclideo. Questo è un problema affrontato da tantissimo tempo dai pittori che hanno cercato di risolverlo applicando svariati accorgimenti tecnici: proporzioni diverse tra soggetti vicini e lontani, diagonali prospettiche, soggetti lontani più sfumati e con colori più freddi e l’iperrealistica tecnica del trompe-l’oeil.
Noi facciamo il primo passo verso questo nuovo tipo di realtà già al momento d’inquadrare modificando la nostra vista stereoscopica (fatta con entrambi gli occhi) in una vista monoscopica quando appoggiamo un solo occhio sul mirino (l’occhio dominante) e chiudiamo l’altro (anche in questo caso ci sono delle eccezioni: Henri Cartier-Bresson ad esempio spesso scattava tenendo entrambi gli occhi aperti approfittando anche del mirino decentrato della sua Leica).
Per tali motivi è indispensabile che chi vuole fotografare in modo consapevole e corretto acquisisca, con l’allenamento, l’occhio fotografico, cioè la capacità di saper isolare, estrapolare dalla realtà che stiamo osservando, gli elementi essenziali della composizione fotografica ancor prima di mettere l’occhio sul mirino, per poi riuscire a organizzarli nell’inquadratura.
L’occhio fotografico
È la capacità di saper vedere. Tutti siamo capaci di guardare, ma solo alcuni sono capaci di vedere, e pochi di vede...

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