Il suicidio demografico
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edoardo calogero

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L'umanità è destinata all'estinzione, o comunque ad un netto ridimensionamento, e questo avverrà tra pochi decenni, in alcune aree del pianeta sta già succedendo.
Non a causa di guerre nucleari o asteroidi giganteschi o virus letali impossibili da sconfiggere, come ipotizzato nei futuri distopici al cinema o nella letteratura bensĂŹ per la progressiva incapacitĂ  degli esseri umani a riprodursi in un habitat deteriorato dai loro stessi simili.

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Information

Jahr
2020
ISBN
9788831617628

IL SUICIDIO DEMOGRAFICO

Quanti saremo, realmente, nel 2100?











di Edoardo Calogero











In Italia, nell' Annus Domini 2019 hanno visto la luce 435mila neonati ( il numero piĂš basso della storia della Repubblica).
Una di loro è Beatrice Calogero, mia figlia,
a lei dedico questo mio studio.


































Le trasformazioni piĂš straordinarie della storia contemporanea sono quelle demografiche, anche se esse vengono quasi ignorate dai libri di testo. Quante righe occupano gli aspetti demografici, nelle centinaia di pagine di qualunque manuale di storia?
E quanti minuti ne occupano in classe, delle 60 ore annue di insegnamento della storia o di sociologia o di scienze biologiche, di medicina e altro ancora?
Eppure, il più grande cambiamento nella storia contemporanea è l’aumento della popolazione mondiale, che nel corso del Novecento è passata da 1,6 a 6 miliardi, e a 7 nel 2011.
Ciò significa che nel ventesimo secolo la nostra specie è quadruplicata di numero, dopo avere impiegato oltre 100000 anni per arrivare, poco dopo l’inizio del XIX secolo, a un miliardo di esseri umani.
Questo ha rivoluzionato la vita del pianeta sotto ogni aspetto.
Il giorno della mia nascita, il 10 Marzo 1977 sulla Terra vivevano 4188 milioni di individui. Nel momento in cui scrivo la cifra ammonta a 7740. La proliferazione di enormi megalopoli, l'inquinamento ambientale, il cambiamento climatico in atto, la perdita di ecosistemi e l'estinzione di massa di flora e fauna, la quasi totalitĂ  dei problemi che l'umanitĂ  deve oggi affrontare si devono a questo aumento troppo repentino della popolazione, insostenibile per il nostro habitat.
Vivendo in pochi anni questo cambiamento epocale io, come tutti nella mia generazione, abbiamo dato per scontato che questo andamento sarebbe continuato in eterno, salvo distopiche catastrofi in stile hollywoodiano. Ad una analisi piÚ attenta ciò si rivela quanto di piÚ lontano dalla verità. Le previsioni basate su mere proiezioni statistiche che danno il numero degli esseri umani in ulteriore aumento nel corso del secolo XXI sono errate perchè non prendono in considerazione le dinamiche epocali in atto e le loro conseguenze. In realtà il trend di aumento demografico si è già interrotto in moltissime aree del mondo e, nel giro di una generazione, si invertirà in tutto il globo. Questa è l'incredibile scoperta che ho fatto avvicinandomi allo studio di questa affascinante quanto misteriosa materia.
Torniamo ad analizzare ciò che è avvenuto nel recentissimo passato.
Cosa è successo tra il 1950 e il 2010?
“ La percentuale di popolazione urbana è salita dal 10% al 50% (e molto di più nei paesi ricchi).
Il numero di figli per donna è diminuito quasi ovunque di due e anche di tre volte.
In molte parti del mondo, il numero di figli per donna è sceso da quattro-cinque a meno di due ( in Italia, per esempio).
La durata media della vita è raddoppiata, e di conseguenza la popolazione è sempre piÚ anziana.
E’ profondamente mutata la distribuzione della popolazione mondiale. Ad esempio, la percentuale della popolazione europea su quella mondiale si è dimezzata, dal 25% al 12%, e continua a diminuire: secondo previsioni attendibili, sarà il 7,5% nel 2050;




a quella data, l’Africa avrà quasi il 22% della popolazione mondiale, mentre ne aveva meno del 9% all’inizio del Novecento.
Le enormi trasformazioni sopra elencate si spiegano con il concetto-chiave di “transizione demografica”, definibile come il passaggio dal passaggio dal regime demografico tradizionale a quello moderno; ovvero da alti (cioè “naturali”) a bassi (cioè “controllati”) livelli sia di fecondità che di mortalità (soprattutto infantile).
Il regime demografico tradizionale è quello di tutte le società agrarie, dal Neolitico alla rivoluzione industriale.
Poiché le loro uniche fonti di energia motrice erano i muscoli, animali e umani (l’energia eolica e idraulica dei mulini contribuiva appena per il 2%, e quasi per nulla nell’attività predominante, l’agricoltura), i figli rappresentavano l’investimento più importante, prima come braccia da lavoro nei campi e poi, in assenza di sistemi pensionistici, come “bastone della vecchiaia”.
Le donne generavano, mediamente, 5-6 figli, circa la metà dei quali moriva in età infantile o comunque prima di arrivare all’età adulta. Proprio l’alta mortalità infantile induceva a un’alta procreazione, per cui la popolazione era composta in gran parte da giovani: la durata media della vita superava di poco i 30 anni, perché tra i molti che nascevano pochi diventavano vecchi.
Nonostante il freno rappresentato dall’altissima mortalità, le società agrarie tendevano perciò a crescere, ma in modo lento e discontinuo perché le eventuali fasi crescita sostenuta (quali ad esempio i secoli X-XIII in Europa) erano invariabilmente seguite da drammatiche fasi di calo, dovute a carestie alimentari e a epidemie di malattie infettive. Come si è crudamente osservato, i molti figli erano una “benedizione” per la singola famiglia contadina ma al contempo una “maledizione” per l’insieme della società. Periodicamente, infatti, la crescita demografica si infrangeva contro il muro invalicabile del rapporto popolazione-risorse ambientali (e contro la “legge dei rendimenti decrescenti” dei terreni messi a coltura).
La transizione dal regime demografico delle società agrarie tradizionali a quello attuale è legata a fattori – la rivoluzione agronomica, quella industriale e dei trasporti, il modello di vita urbano e processi a questi connessi, come la scolarizzazione e l’emancipazione femminile – riassumibili nel termine modernizzazione.
Come noto, essa iniziò in Inghilterra e si diffuse prima nell’Europa occidentale e in Nord America, poi nel resto d’Europa, in Giappone, Australia e Nuova Zelanda, ovvero in quelli che sono diventati i paesi economicamente avanzati del cosiddetto “Nord del mondo”. Solo in seguito, solo in parte, e con tempi e ritmi molto diversi, la modernizzazione si è estesa ai paesi poveri del cosiddetto “Sud del mondo”: Asia, Africa, America Latina.
Componente essenziale della modernizzazione, la transizione demografica si attua in due fasi. La prima fase, iniziata in Inghilterra e nel resto dell’Europa occidentale nella seconda metà del Settecento, e nell’Europa orientale e meridionale nel secondo Ottocento, provocò un intenso e prolungato aumento della popolazione.

Ciò si spiega col fatto che la natalità rimase alta ma la mortalità diminuì, per diverse cause: la scomparsa della peste, l’aumento delle risorse alimentari, poi anche le migliorate condizioni igieniche delle città (a loro volta, effetti delle rivoluzioni agricola, industriale e dei trasporti).
Con un’alta natalità e una mortalità in calo, la popolazione europea aumentò molto e rapidamente tra il secondo Settecento e il 1914, tanto che in quel periodo quasi 60 milioni di europei emigrarono verso le Americhe e l’Australia. Anche al netto di quell’enorme esodo, in un secolo e mezzo la popolazione europea passò da un quinto a un quarto della popolazione mondiale. Dall’ inizio del Novecento (anche prima, in Europa nord-occidentale; ma solo dopo la Prima guerra mondiale, nell’ Europa orientale e meridionale), iniziò la seconda fase della transizione demografica, cioè il progressivo rallentamento della crescita, fino al suo azzeramento. Va sottolineato che era il tasso di crescita a diminuire, non la popolazione in termini assoluti. Questa continuò a crescere, sia pur più lentamente, per due motivi:
1) il calo della mortalitĂ  consentiva a molte piĂš persone di vivere piĂš a lungo;
2) la minore crescita riguardava comunque una popolazione piĂš numerosa.
La crescita rallentò perché, mentre proseguiva il calo della mortalità (ora dovuto soprattutto ai progressi medico-sanitari), il modello di vita urbano-industriale portò gradualmente a rallentare anche la natalità. Infatti, mentre per i contadini i figli costituivano già dall’infanzia preziose braccia da lavoro nei campi, in città diventavano bocche da sfamare, tanto più costose quanto più si diffondeva la
scolarizzazione obbligatoria e venivano posti limiti al lavoro minorile in fabbrica.
Il calo della natalitĂ  fu anche un effetto del calo ...

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  1. IL SUICIDIO DEMOGRAFICO
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Calogero, edoardo. (2020). Il suicidio demografico ([edition unavailable]). Youcanprint. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3006659/il-suicidio-demografico-pdf (Original work published 2020)

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Calogero, edoardo. (2020) 2020. Il Suicidio Demografico. [Edition unavailable]. Youcanprint. https://www.perlego.com/book/3006659/il-suicidio-demografico-pdf.

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Calogero, edoardo (2020) Il suicidio demografico. [edition unavailable]. Youcanprint. Available at: https://www.perlego.com/book/3006659/il-suicidio-demografico-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Calogero, edoardo. Il Suicidio Demografico. [edition unavailable]. Youcanprint, 2020. Web. 15 Oct. 2022.