Un male strano
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Un male strano

Poesie d'amore

Ausias March, Pietro Cataldi, Cèlia Nadal Pasqual, Pietro Cataldi, Cèlia Nadal Pasqual

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Poesie d'amore

Ausias March, Pietro Cataldi, Cèlia Nadal Pasqual, Pietro Cataldi, Cèlia Nadal Pasqual

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Über dieses Buch

Ausiàs March (1400-1459) è uno dei grandi poeti lirici del suo tempo. Rispetto a Petrarca la sua concezione dell'amore è piú assoluta, piú laica, in definitiva piú moderna. Dal punto di vista della profondità di pensiero, March è un vero poeta filosofo con un'apertura di conoscenze che la cultura umanistica dei suoi tempi aveva arricchito enormemente rispetto al secolo precedente. Se March era cosí importante e famoso, come mai oggi è cosí poco conosciuto? La risposta è semplice: scriveva in catalano, una lingua che viene emarginata quando Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia hanno unificato la Spagna sotto un unico regno e scelto il castigliano come idioma ufficiale (1469). Solo tra Otto e Novecento il catalano risorge, tuttavia perseguitato durante il quarantennio franchista. La lunga minorizzazione linguistica ha emarginato March dal Parnaso della poesia europea riducendolo a oggetto di studio per specialisti. La scelta qui proposta dall'ingente corpus delle poesie di March (circa mille versi su oltre diecimila) vuole essere un modo per riportare il poeta a un pubblico piú largo. Con questo obiettivo, i curatori hanno approntato una traduzione che cerca di rispettare il piú possibile lo statuto poetico di questi testi anche usando qualche libertà, e un commento filologicamente rigoroso, che chiarisce la struttura di ogni poesia e ne suggerisce il senso piú profondo.La poesia di March si nutre di diversi apporti, dalla tradizione antica alle innovazioni europee: la lirica latina, francese e italiana; la Scolastica, i Padri della Chiesa, la Bibbia, la filosofia naturale e la trattatistica medica. Quando si parla dell'assimilazione di questi e di altri elementi, e di come l'autore ne abbia ricavato i propri tratti originali, bisogna sottolineare il modo in cui ha impresso al modello uno stile ragionativo e perfino argomentativo che ricorda le grandi canzoni d'amore di Dante; e che visto con lo sguardo dei moderni appartiene alla tradizione che sarà dei lirici che pensano: un asse della lirica alta ragionativa e qualche volta visionaria in cui stanno Blake e Coleridge, Browning, Hölderlin e Leopardi, e piú di recente Eliot e Montale; una lirica che argomenta sull'esperienza; una poesia-pensiero strutturata in nessi logici e consequenziali.
dall'introduzione di Cèlia Nadal Pasqual e Pietro Cataldi

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Information

Verlag
EINAUDI
Jahr
2020
ISBN
9788858433461
Thema
Poesie

Commento

I

AXÍ COM CELL

Molto probabilmente è questo il canto di March che ha generato piú imitazioni e bibliografia critica (anche sull’edizione del testo, per cui cfr. la Nota al testo, p. XLIV). È il primo componimento del canzoniere secondo la tradizione manoscritta e le edizioni moderne (anche se per un certo periodo si era ritenuto che il testo di apertura dovesse essere il XXXIX). Tuttavia, oggi non si ritiene necessaria né la presenza di un testo con funzione di prologo, né l’esistenza di un ordine di autore.
La canzone I è un canto di dolore. Evocare tempi migliori in un momento di mancanza produce una sofferenza malinconica. Questa idea conta illustri precedenti, dal Boezio di De consolatione Philosophiae e dall’Ovidio delle Epistulae ex Ponto al Dante di Inferno V (come hanno già osservato Badia e Gómez - Pujol). Il motivo classico viene qui riformulato a partire dai termini della psicologia medievale e costituisce il punto di partenza del tema centrale: l’esperienza di una dinamica mentale ossessiva, basata sull’intermittenza di due movimenti contrapposti, uno di follia e di fuga dalla realtà del presente, e un altro di lucidità che permette all’io di riconoscere il ciclo perverso nel quale si trova coinvolto, anche se non di salvarsene – una condizione tipicamente marchiana e che impregna il suo discorso di un intenso sapore tragico.
Questa situazione è illuminata dalla serie di suggestive similitudini, di diversa estensione e disposte una per strofa, che avrebbero poi ispirato importanti poeti del Rinascimento spagnolo: il sognatore, il condannato a morte, la madre che dà veleno al figlio, il malato e l’eremita. Figure di una mancata o difficile adeguatezza alla realtà, di una incapacità di elaborare il male o di impedirlo; e soprattutto figure di cedimenti a un falso bene o piacere che implica l’aumento del dolore. Se da una parte è stato riconosciuto in queste figure il forte valore retorico degli exempla, dall’altra esse agiscono come segmenti e sviluppi profondamente correlabili a ciò che vive il soggetto. A questa strategia compositiva − un grande montaggio fatto di scenari, analogie, sentenze teoriche, quadretti staccati e cuciti −, collabora la tornada o congedo, in cui viene infine introdotto il tema dell’amore cortese. L’ossessione del soggetto può dunque collocarsi nelle circostanze descritte per cui l’amore vecchio e in assenza costituisce una realtà fragile e che rischia la distruzione. Allo stesso tempo, e in modo analogo alle similitudini, questo nuovo sfondo assorbe e rappresenta nel suo proprio contesto gli aspetti principali del mondo interno dell’io. Il risultato è un canto prismatico e colmo di realismo, un canto che parla dell’esperienza intrapsichica e non solo delle dinamiche psicologiche intese come un meccanismo e una successione di fatti.
1-8. La canzone si apre con la prima delle cinque similitudini che la strutturano: come uno che prova piacere nel sogno, nutrendosi di una fantasia «folle» e senza concretezza reale, cosí il soggetto si nutre di un tempo inconsistente perché già superato (vv. 1-4). Questo movimento è alla base di una patologia malinconica ed è la causa di una disfunzione della facoltà immaginativa (legata a quella della memoria), divenuta incapace di accogliere nessun «altro bene» oltre quella rievocazione del passato. L’evasione, dunque, non è solo problematica dal punto di vista morale, ma anche per quello che riguarda l’equilibrio della mente. Nonostante la fissazione nel passato, a partire dal v. 5 la prospettiva temporale si allarga: il soggetto introduce una previsione sul futuro di sofferenza che lo aspetta, e che viene infatti descritto come mancanza di bene (v. 7). Siccome nel futuro vede l’attesa di un dolore fatale (vv. 5-6), si rinchiude nel passato, che però è ormai nulla; e che tuttavia definisce come la cosa migliore che gli resta (v. 8). A questo punto, il meccanismo perverso è chiaro: l’io non è in grado di fare fronte ai suoi patimenti; l’alternativa a essi è insensata, ed egli la rivendica perciò insensatamente. 4. «l’immaginare» (l’imaginar): in posizione di réjet. Secondo i principî della filosofia medievale l’immaginazione è situata nella parte frontale del cervello e lavora al processo di interiorizzazione della realtà esterna; permette cioè la costruzione di immagini nel mondo interno a partire dalla realtà percepita dai sensi.
9-16. Come nella prima strofa è stato descritto il movimento morboso nel quale l’io cerca un rifugio piacevole evocando il passato, in questa seconda viene descritto il modo puntuale con cui svaniscono queste evocazioni, causando come risultato un incremento di dolore. L’alienazione nel ricordo, dunque, oltre che essere inutile, è anche passeggera e controproducente (vv. 9-12). La seconda metà della strofa introduce una nuova similitudine, nella quale questo processo è paragonato alla condizione di un condannato a morte che con il tempo si è abituato all’idea e si è consolato, e poi, ricevuta una falsa notizia di grazia, muore sprovvisto di alcuna elaborazione e del tutto impreparato (vv. 13-16). Il significato della suggestiva similitudine, dunque, sembra sottolineare questo peggioramento della realtà di partenza, quella che precede l’inganno (per il condannato) e il piacere illusorio (per l’io). 16. «senza nessun ricordo» (sens un punt de recort): secondo Badia, ci si riferirebbe al ricordo dei peccati che permette al cristiano di pentirsi prima di morire. Di Girolamo legge il verso nel suo significato letterale: «senza concedergli un momento per ricapitolare la propria vita». Per Cabré e Torró significherebbe che il condannato muore avendo perduto i sensi (una tesi confermata da Pujol e Gómez). Anche Espadaler aveva inteso che la morte arriverebbe senza il pieno possesso dei sensi. Quest’ultimo tuttavia, come anche Ferraté, propone un’interpunzione alternativa, mettendo in relazione l’immagine con l’inizio della strofa successiva (vv. 17-18), e non con la precedente situazione del soggetto (vv. 11-12).
17-24. Di fatto l’io si trova bloccato in una oscillazione fra inganno e disinganno; origine del dolore crescente, cui reagisce con un grido di annichilimento. Invoca dunque la morte del pensiero, che qui deve essere considerato come centro di produzione di questa intermittenza ciclica – quella che alterna il passato, che si afferra in modo solo sfuggente, e la realtà oggettiva, che ogni volta si reimpone (cfr. i vv. 11-12). Perciò, la proiezione verso questa morte, che equivale al dormire, viene proposta ora come un’alternativa radicale, come unico terreno possibile di evasione (vv. 17-18). In un secondo movimento, il soggetto passa dal grido disperato alla descrizione lucida della propria tragedia interiore: compiange tutti quelli che, come lui, hanno il proprio pensiero come nemico a causa della sua doppia azione di sabotaggio. Questa consiste o nel riferire i dolori o nel somministrare gratificazioni perniciose (vv. 19-21). La similitudine che illustra la seconda azione è forse ancora piú macabra della precedente: in questa condizione, quando qualcuno aspira a un piacere, la risposta che riceve è come quella di una madre (che è qui il corrispettivo figurale del pensiero) incapace di negare del veleno (cioè il piacere) al proprio bambino (vv. 22-24).
25-32. Avviene qui un passaggio di consapevolezza che rappresenta, come accade spesso in March, uno sviluppo dell’elaborazione: la soluzione alla dinamica patologica rappresentata nelle strofe precedenti sarebbe accettare il dolore del presente (v. 25) e non fuggirlo nel poco piacere che il passato può mescolargli. Infatti questo modo tossico di difendersi dal dolore reale produce, come già indicato nella seconda strofa, un piacere che presto si trasforma in un dolore di rimbalzo (v. 29), cosí che ogni piccola pausa (cioè fuga) dalla realtà del presente produce infine un grande aumento della sofferenza (v. 30). Tuttavia, l’io non trova in se stesso la forza necessaria ad abbandonare questo meccanismo, dal momento che è la stessa spirale di dolore a disattivare in lui, puntualmente, le condizioni per farlo – cosí come quando alla madre manca il senno (vv. 25-28). Negli ultimi due versi, la similitudine di questa strofa paragona la sproporzione degli effetti del comportamento dell’io, che vede raddoppiato il dolore per «un poco» (pocha part) di piacere, ed è quindi come il malato che per un solo boccone dannoso trasforma tutto il pasto in velenoso aumento del male. Il «morso ghiotto», evidentemente, corrisponde alla fuga nel passato.
33-40. La quinta e ultima similitudine occupa quasi intera la strofa che precede la tornada, lasciando al solo ultimo verso la funzione di una sentenza lapidaria: la perdita del bene chiama a gran voce il dolore (v. 40). Si tratta tuttavia di chiarire che il bene perduto è in questa canzone il bene illusorio (cioè passato), con i suoi fantasmi e i suoi funzionamenti perversi. E tale sembra il significato di questa similitudine, che confronta lo stato dell’io alla condizione di un eremita che a forza di vivere isolato ha superato la nostalgia delle persone care (vv. 33-35). Un giorno, per caso fortuito, incontra un amico che gli fa risentire i piaceri sociali di una volta, quelli che, dopo il voto di solitudine, colonizzano un tempo o piano della realtà che non è piú il suo (vv. 36-38). Per questa capacità di far risentire la perdita, una volta tornato solo, l’eremita piomba nell’angoscia (v. 39), pagando caro quel momento di felicità. Come nel caso del condannato, quest’ultimo personaggio si era dedicato per un lungo periodo (lonch temps, cfr. vv. 14 e 35) a contenere la sofferenza: un processo temporale che contrasta con il momento della caduta, che, come una dose di veleno o un morso piacevole, lascia terra bruciata al suo passaggio.
41-44. Al discorso introspettivo che struttura il canto, si aggiunge nella tornada (o congedo) un quadro d’amore cortese, con la sua codificazione sociale e la figura della donna amata (Plena de seny, «Piena di senno»). L’io le si rivolge annunciando una legge: quando l’amore è molto vecchio, l’assenza lo può distruggere. Ovviamente, l’idea di un amore “invecchiato” permette di immaginare l’esistenza di un passato (probabilmente migliore del presente). Si tratta infine di una situazione di vulnerabilità, come mostra la minaccia del verme. Di fronte a ciò, i vv. 43-44 danno le indicazioni per proteggere l’amore da questa fine: bisogna imporsi la costanza, restando fermi alle calunnie degli invidiosi − una figura che riporta ai lausengiers della cultura trobadorica, ma che ben richiama le trappole del pensiero nemico cosí come sono state raffigurate. La tornada, dunque, contiene forti legami con quanto precede. In primo luogo, perché permette di leggere nello stato psicologico dell’io l’ossessione di questo amore che ora menziona. E in secondo luogo, perché, per quanto attiene ai meccanismi compositivi, offre un nuovo contesto situazionale (quello dei riti della civiltà cortese) in cui tradurre, come già con le similitudini, la stessa dinamica ossessiva. Al di là del destino di questa soggettività, conta il suo percorso, che si svolge non solo dall’esperienza concreta alla teoria, ma anche dall’esperienza emotiva non mediata alla presa di coscienza, per quanto discontinua e fragile, in nome di un tentativo identitario che si ribella proprio alla mancanza di mediazione. Questa modalità, caratteristica del poeta, impedisce di ridurre il testo a una convenzionale canzone d’amore intrecciata a un canto penitenziale, benché esso sia anche queste due cose. 41. «Piena di senno» (Plena de seny): senhal ricorrente della poesia di March (presente in diciannove poesie). Si ritiene che i canti dedicati a lei formino un ciclo riferito a un’unica donna, caratterizzata appunto per il suo senno (cfr. anche il § 2 dell’Introduzione a p. VII).
II

PREN-ME’N AXÍ

I temi di questa canzone sono l’innamoramento quale evento sconvolgente e insidioso, paragonato a una burrasca improvvisa; le difficoltà di comunicazione con l’amata provocate da questa esperienza (cioè, nel linguaggio figurato del poeta, da Amore); e infine la crescita spirituale per raggiungere un equilibrio ed essere degno di parlare alla donna. Dall’esperienza dell’amore giunge al soggetto un piacere eccessivo, ma uscirne rischia di produrre un’assenza totale di piacere: un risultato che l’io rifiuta con insistenza. Il topos dell’amore incomunicabile, che fonde l’amore-passione con i principî della fin’amor, sarà ripreso nel canto successivo, che per certi aspetti radicalizza in senso tragico e disforico la possibile conclusione ottimistica di questo. Qui risultano di grande suggestione la potente immagine marina di apertura, che rilegge in senso esistenziale il topos della navigazione, e lo scenario di purificazione e di ascesi dell’ultima strofa; non senza un possibile legame con il Dante del Purgatorio, tra il naufragio di Ulisse, la spiaggia, e la faticosa salita.
È un sistema di architetture radicali che disegnano le emozioni, e nel quale la contrapposizione di termini opposti (troppo piacere / niente piacere, gradito/sgradito, quantità/qualità, mutismo/parola) si risolve con l’affinamento, che costruisce una via di crescita dinamica e verticale, contrapposta alla conflittualità tra gli estremi. Nella conclusione, il soggetto chiede la collaborazione della donna amata, che può aprire l’armadio nel quale l’io è imprigionato (come suggerisce una delle metafore di questo piccolo capolavoro) e può nutrirlo con un pane salvifico.
1-8. Un’ampia similitudine occupa l’intera prima strofa, prolungandosi nei due versi iniziali della successiva. Il referente del paragone, cioè il soggetto, è introdotto con la prima persona, in modo svelto, nell’attacco («Mi accade come»). La similitudine ha l’apparenza di un topos ben codificato: la navigazione nel mare tempestoso. L’imbarcazione non sta navigando ma si trova all’«ancora» («in rada»; vv. 1 e 4) nel momento in cui viene sorpresa dalla burrasca; e soprattutto l’attenzione è concentrata sulla psicologia del comandante (il patró del testo originale), che, vedendo il tempo sereno (v. 3), ha affidato all’ancoraggio la sua nave con fiducia completa (v. 4), fino a credere che la nave – instabile e insicura per definizione – sia un «castello» (v. 2), cioè un habitat solido e ben difeso. Lo scatenarsi improvviso del fortunale (vv. 5-6) lo costringe a cambiare giudizio e a valutare l’opportunità di rinunciare a «resistere» ancorato e di ricoverarsi in un «porto» (vv. 7-8). Il tema è dunque l’arrivo impetuoso e imprevisto di un evento sconvolgente, sottolineato dall’allitterazione sul gruppo /temp/ ai vv. 5-6, che distrugge le insistite immagini di solidità concentrate nei versi che precedono. Si tratta di un evento che costringe a modificare strategia, e che introduce, come verrà chiarito nella strofa successiva, il tema dell’innamoramento e del suo potere. 8. «porto»: nella consueta allegorizzazione cristiana del tema, il porto raffigura la salvezza, cosí come in quella cortese può rappresentare il raggiungimento dell’oggetto d’amore. Come vedremo, qui la simbologia è piú complessa, e nella ipotesi di riparare in porto sarà riconosciuta la minaccia della rinuncia e della sconfitta; cioè la rinuncia all’amore.
9-16. I primi due versi della strofa completano l’ampia similitudine marina che si stende nella precedente, e costituiscono, come l’immagine successiva dell’armadio (vv. 11-12), un sistema metaforico variamente interpretato. Relativamente ai vv. 9-10, ha a lungo prevalso una lettura secondo la quale solo un cambio di direzione del vento potrebbe consentire l’uscita (surtir nell’originale) dell’imbarcazione dalla rada, salvandola dalla rovina. Torró ha invece acutamente proposto la lezione surgir, cioè «ancorare», attribuendo anche all’aggettivo contrari («[vento] contrario») un valore tecnico e il significato di “contrario alla navigazione” (anziché “di direzione opposta [del vento]”). La complessità dell’emozione intensa dell’amore è dunque rappresentata tanto nell’apertura del mare in tempesta quanto nell’imprigionamento dentro l’armadio. La seconda parte della strofa costruisce dunque un campo di forze che va riferito alle immagini che precedono: da una parte c’è un piacere eccessivo (sobresalt, v. 14); dall’altra l’assenza completa di piacere (desalt, v. 15). «L’eccesso di piacere» corrisponde all’esperienza dell’innamoramento come l’io la sta vivendo, il secondo al non amare, cioè alla rinuncia; e il soggetto si affretta ad aggiungere, concludendo la strofa, che non farà mai la seconda scelta, come invece ha fatto il marinaio (v. 16). L’«eccesso di piacere» corrisponde evidentemente alla tempesta, cosí come il «dispiacere» al rifugiarsi nel porto. Per uscire da questa impasse, che lo blocca (l’armadio d’amore), il soggetto sceglierà di resistere nell’amore, cercando un nuovo punto di equilibrio, cioè un percorso dinamico e in evoluzione anziché una condizione statica ed esposta come quella di partenza. La chiave liberatoria, come si potrà vedere, andrà cercata nell’intesa con la donna amata. 16. «ma un passo mio non ci si troverà»: cfr. «Non ritrarrò dall’amarti mai un passo» (LXXXVI, 5).
17-24. Confermando la conclusione già espressa nella strofa che precede, i primi quattro versi di questa escludono la rinuncia all’amore (v. 19) servendosi di un adynaton iperbolico (vv. 17-18), e d’altra parte introducono il tema della relazione comunicativa con la donna (v. 20): un modo per dire che la sua disponibilità ad accettare l’amore del soggetto è la condizione perché egli persista. Il soggetto ha fiducia di essere riconosciuto dalla donna nel suo valore (v. 21), e che questo meritato riconoscimento premi i dolori sperimentati (vv. 22-23), permettendo infine all’amore di esprimersi (v. 24). 24. «fiamme … d’amore»: metafora frequente della fin’amor, qui presentata come una promessa (fiamme che ben potrebbero manifestarsi e vedersi) e in altri casi come una minaccia (cfr. i vv. 5-6 del canto seguente, dedicati al pericolo di mantere le fiamme nascoste e invisibili).
25-32. Prosegue la trattazione del tema della strofa precedente: la possibilità che l’amore provato con costanza dal soggetto venga riconosciuto dalla donna. L’io rivendica qui l’alta qualità del proprio amore, paragonato alla forza del sole estivo, anche in assenza di un adeguato gesto di gradimento (grat) da parte dell’amata (vv. 26-28): il fatto che questo amore (ovvero, ciò che il soggetto vuole) possa essersi manifestato male (v. 25) è colpa dell’Amore (v. 29), per gli effetti che questi provoca nell’innamorato, tipicamente intimidito. La donna deve dunque odiare Amore e non il suo servo, dal momento che è quegli e non questi la causa del possibile fraintendimento (vv. 30-32).
33-40. In questa strofa conclusiva viene infine sperimentato un processo di innalzamento ch...

Inhaltsverzeichnis

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Cèlia Nadal Pasqual e Pietro Cataldi
  4. Cenni biografici
  5. Nota sulla ricezione e sulle traduzioni del canzoniere
  6. Nota alla presente traduzione
  7. Nota metrica
  8. Nota al testo
  9. Breve bibliografia ragionata
  10. Ringraziamenti
  11. Un male strano
  12. Come colui
  13. Mi accade come
  14. Piacere e amore
  15. Amore si duole
  16. Troppo dolore
  17. Il giorno ha paura
  18. Come il toro
  19. Senza il desio
  20. I desideri, tutti
  21. Per quanto mostri
  22. Compiano vele e venti
  23. A strano male
  24. Il mio volere
  25. Non guardo avanti
  26. Quando a Dio piace
  27. Se mi chiedi
  28. Per cammino di morte
  29. Chi darà mai
  30. Non dubitare
  31. Axí com cell
  32. Pren-me’n axí
  33. Alt e amor
  34. Amor se dol
  35. Sobresdolor
  36. Lo jorn ha por
  37. Sí com lo taur
  38. Sens lo desig
  39. Tots los desigs
  40. Si bé mostrau
  41. Veles e vents
  42. A mal estrany
  43. Ma voluntat
  44. No guart avant
  45. Quant plau a Déu
  46. Si·m demanau
  47. Per lo camí de mort
  48. Qual serà·quell
  49. No cal dubtar
  50. Commento
  51. Il libro
  52. L’autore
  53. Copyright
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March, A. (2020). Un male strano ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3426430/un-male-strano-poesie-damore-pdf (Original work published 2020)

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March, A. (2020) Un male strano. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3426430/un-male-strano-poesie-damore-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

March, Ausias. Un Male Strano. [edition unavailable]. EINAUDI, 2020. Web. 15 Oct. 2022.