Lâitalia degli anni 1930-1939
Gli anni Trenta, per lâItalia, sono quelli del consolidamento del regime fascista, delle bonifiche e delle grandi opere pubbliche, delle due guerre â Etiopia e Spagna â che precedono quella mondiale e portano il Duce allâapice del consenso. Fino alla vergogna delle leggi razziali e alla follia bellica accanto a Hitler. Un decennio lungo un secolo che trasforma Montanelli da ingenuo e confuso studente universitario in inviato di guerra e grande firma del «Corriere della Sera».
Il 1930 Ăš lâanno della maggiore etĂ , del ritorno a Firenze dopo la naja a Palermo, del suo primo vero articolo e della laurea in Giurisprudenza. Lâarticolo dâesordio esce sul «Frontespizio», prestigiosa rivista di orientamento cattolico diretta da Piero Bargellini. Sâintitola âByron e il cattolicesimoâ.
«Avevo ventun anni, figurarsi quanto poco mâimportava di quei temi, perĂČ mi importava molto scrivere e sfondare nel giornalismo. E colsi lâoccasione, scegliendo un argomento adatto per la testata. Quando portai quel numero del âFrontespizioâ a mio nonno, mancĂČ poco che mi levasse il saluto: âO che diavolo Ăš codesta porcheria? Ă roba da preti. Porta via, e ripresentati quando ti faranno scrivere sulla âNazioneâ. PerchĂ© io di giornalisti conosco solo quelli che scrivono sulla âNazioneââ».
La tesi di laurea in Legge, con un anno dâanticipo sulla tabella di marcia, Ăš sulla legge elettorale fascista: la legge Acerbo del 1924 che â sostiene ereticamente Montanelli â non Ăš una riforma del sistema di voto, ma piĂč semplicemente lâabolizione delle elezioni. Infatti lâanno prima, nel â29, il Duce le ha rimpiazzate con un grottesco plebiscito: «Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio Nazionale del Fascismo?» (vittoria dei SĂŹ col 98,43 per cento). Indro ottiene il voto massimo: 110/110 cum laude.
«Quel pezzo di carta lâavevo preso per far contento il babbo, visto che non mi sarebbe mai servito a nulla nella professione. Dunque profittai della sua soddisfazione per chiedergli di finanziarmi dei corsi di specializzazione allâUniversitĂ di Grenoble, alla Sorbona e infine a Cambridge».
LĂŹ impara le due lingue e conosce un pezzo dâEuropa. Meno di un anno dopo, nel 1931, Ăš di nuovo a Firenze e si iscrive a Scienze politiche e sociali. E in un anno consegue la seconda laurea (bastano sette esami per integrare la prima), con unâaltra tesi in odor di eresia: «Analizzavo, esaltandola, la politica di dorato isolamento della Gran Bretagna. Ma anche stavolta non per antifascismo: solo per spirito ribelle».
Mino Maccari gli pubblica qualcosa sul «Selvaggio», che vende pochissimo (500 copie, pare), ma fa molto rumore tra i giovani «strapaesani» toscani. Ma la svolta, per Indro, Ăš lâincontro nel 1932 con Berto Ricci, presentatogli da Diano Brocchi, che nel 1933 lo fa collaborare con la sua rivista «LâUniversale» (mensile e poi quindicinale, 1000-1500 copie tirate, primo numero il 3 gennaio 1931, ultimo il 25 agosto 1935). Lâanno seguente lâintera redazione viene ricevuta a Palazzo Venezia dal Duce in persona. CâĂš anche Indro, che ne esce conquistato e inizia a scrivere anche per lâorgano ufficiale del regime, «Il Popolo dâItalia».
Intanto i nazisti austriaci, sobillati da Hitler, tentano di rovesciare il governo fascista filo-italiano del cancelliere Engelbert Dollfuss e di annettere il Paese alla Germania (Anschluss). Dollfuss viene assassinato, ma il putsch fallisce. Mussolini, che ancora detesta il FĂŒhrer, schiera le truppe al Brennero.
Nellâagosto del 1934 Indro Ăš di nuovo a Parigi, stavolta come redattore e poi caporedattore del settimanale fascista «La Nuova Italia». E una sera ha un incontro-scontro con Carlo Rosselli, il fuoruscito liberalsocialista che sarĂ assassinato da sicari fascisti nel 1937 col fratello Nello. Lâirriverenza di alcune sue cronache irrita il regime e gli fa perdere il posto. Ma sullo scorcio del 1934 viene assunto in cronaca da «Paris Soir». Lo ritroviamo in Norvegia, in Canada e a New York, alla famosa agenzia di stampa americana United Press, per cui pare realizzi unâintervista-scoop al re dellâautomobile Henry Ford (purtroppo introvabile). Al rientro in Italia, inaugura una rubrica al vetriolo (Colpi di sonda) su «Critica Fascista», la rivista del gerarca «illuminato» Giuseppe Bottai, che sarĂ sempre il suo santo protettore.
A Roma fervono i preparativi per la guerra dâAfrica. Indro prova a farsi inviare come vicecorrispondente in Etiopia dalla United Press, ma invano. CosĂŹ si arruola volontario e a metĂ giugno del 1935 sâimbarca in nave per Massaua. A fine mese Ăš allâAsmara, dove viene intruppato come comandante di compagnia, coi gradi di sottotenente, nel XX Battaglione eritreo, formato da ascari (mercenari indigeni) e comandato dal maggiore Mario Gonella. Una piccola Armata Brancaleone male addestrata e peggio armata, malgrado i tre mesi estivi di esercitazioni prima dello scoppio della guerra. LâEtiopia, regno del negus HailĂ© SelassiĂ© stretto fra le colonie italiane di Eritrea e Somalia e sostenuto dalla Gran Bretagna, Ăš lâultimo lembo dâAfrica lasciato libero dagli altri Stati coloniali e abbandonato dallâItalia dopo la disfatta di Adua del 1896. Il 3 ottobre le truppe italiane danno inizio alle ostilitĂ , occupando Adua e Adigrat, poi a novembre Axum e MacallĂš. La SocietĂ delle Nazioni decide il blocco economico contro Roma, con lâunico risultato di gonfiare il consenso al fascismo per lâondata popolare di revanscismo contro le «inique sanzioni» (firmate da fior di potenze coloniali) e la grande mobilitazione per lâ«autarchia» e lâ«oro alla Patria». Anche un antifascista come Benedetto Croce porta al Vittoriale la sua medaglietta dâoro di senatore.
Alla conquista dellâImpero il XX Battaglione eritreo contribuisce poco o nulla. Qualche scaramuccia e nientâaltro. Nel gennaio del 1936 Montanelli, dopo un ricovero in ospedale, lascia il fronte e inizia a lavorare allâAsmara, nelle retrovie, per il quotidiano del fascio locale «La Nuova Eritrea». E completa il libro-testimonianza XX Battaglione Eritreo, che farĂ la sua fortuna: il 7 maggio viene recensito sul «Corriere» dal mitico Ugo Ojetti, prima firma della pagina culturale. Due giorni prima le truppe italiane al comando del maresciallo Pietro Badoglio sono entrate in Addis Abeba, mettendo in fuga il Negus. E Mussolini ha annunciato dal balcone di Palazzo Venezia a una folla in delirio: «LâItalia ha finalmente il suo Impero».
Deluso dallâavventura africana, molto meno poetica e piĂč prosaica di come se lâera immaginata, Indro rientra in Italia a fine agosto del 1936. Molto meno fascista di quandâera partito, ma non ancora antifascista. «Afascista», per dirla con i suoi biografi Sandro Gerbi e Raffaele Liucci. Il suo, piĂč che fascismo, Ăš sempre stato mussolinismo. E ora Indro vede un Duce irrimediabilmente «mummificato» sul suo piedistallo di cartapesta. Umori e malumori che condivide con Leo Longanesi, a cui si lega con una fortissima amicizia personale e professionale, iniziando a collaborare al suo nuovo, sfavillante settimanale: «Omnibus», il primo rotocalco italiano, fondato il 3 aprile 1937.
Poi, a luglio, si trasferisce in Spagna, dove da un anno imperversa la guerra civile dopo il golpe militare nazionalista contro il Fronte popolare vincitore delle elezioni. Mussolini invia truppe volontarie a sostegno dei putschisti del generalissimo Francisco Franco. Indro segue il conflitto per «il Messaggero», oltrechĂ© per «lâIllustrazione Italiana» e «Omnibus». Ma una sua corrispondenza sulle operazioni militari a Santander sbugiarda clamorosamente le versioni ufficiali del Minculpop e provoca il suo rimpatrio forzato giĂ il 24 agosto. E soprattutto provoca la sua espulsione dal Partito e dallâAlbo dei giornalisti. Bottai gli consiglia di cambiare aria per un poâ e gli offre il posto di direttore dellâIstituto italiano di cultura a Tallinn, capitale dellâEstonia. Incarico mal pagato, infatti Indro arrotonda facendo il lettore di letteratura italiana allâUniversitĂ di Tartu. «La periferia toccata in sorte a me era lâangolo piĂč lontano, piĂč squallido e piĂč morto», scrive sconsolato. Ancora non sa che quellâautoesilio sarĂ la sua fortuna.
Da quel momento la vita di Indro sâintreccia inestricabilmente con la Storia: cioĂš con i prodromi della seconda guerra mondiale. Che, un poâ per fiuto e un poâ per fortuna, lo vedono sempre in prima linea, trasformandolo in inviato di guerra. A fine giugno del 1938 torna in Italia e finalmente, dopo vari tentativi abortiti, strappa il sospirato contratto di collaborazione al «Corriere della Sera»: 30-36 pezzi allâanno in esclusiva (ma lui nel â39 ne scriverĂ il quadruplo). «Mi mandĂČ a chiamare quel gran signore di Aldo Borelli. Mi seguiva da tempo, la recensione di Ojetti aveva lasciato il segno. Mi disse subito che, non essendo io iscritto allâalbo dal quale mi avevano cacciato, non potevo pretendere un contratto regolare di redattore o di inviato. CosĂŹ inventĂČ per me una collaborazione come âredattore viaggianteâ».
Il pezzo di esordio esce il 9 settembre: âAvventura nella prateriaâ, un racconto ambientato in Canada e scritto in prima persona. Mica male per un giornalista di trentuno anni.
Dieci giorni dopo, Mussolini annuncia le leggi razziali. E la censura sui giornali, anche sotto un direttore tollerante e aperto come Borelli, si fa sempre piĂč plumbea. Indro ha difficoltĂ persino a pubblicare un elzeviro dissacrante contro gli antichi Romani per il ratto delle Sabine (âLe Sabine erano dâaccordo?â). A novembre, vista lâaria che tira, salpa per lâAlbania, protettorato italiano che il regime si appresta ad annettere. Ci resta quattro mesi, scrivendo articoli per il «Corriere» e un nuovo libro-inchiesta, Albania una e mille. Poi, da metĂ marzo del 1939, viaggia fra la Grecia, la Romania e la Bulgaria, «dove si stanno addensando nuvoloni»: la Germania hitleriana ha appena invaso la Cecoslovacchia.
A luglio del 1939, di nuovo in Italia, segue per il «Corriere» un gruppo di duecento giovani fascisti e nazisti in partenza in bicicletta da Verona per la Germania. Il 23 agosto Hitler punta la Polonia e se la spartisce con Stalin nel famigerato «patto di non aggressione» Molotov-Ribbentrop. Mussolini, che ha appena siglato col FĂŒhrer il «patto dâacciaio», Ăš colto in contropiede: non puĂČ entrare in guerra perchĂ© lâesercito non Ăš pronto e si inventa la formula della «non belligeranza».
Il 1° settembre la Germania invade la Polonia: inizia la seconda guerra mondiale. Indro Ăš a Berlino e assiste al discorso del FĂŒhrer al Reichstag. Poi parte per il fronte e racconta sul «Corriere» lâavanzata nazista verso Danzica. Nel tragitto, ha anche un breve e burrascoso incontro a tu per tu con Hitler. Poi eccolo in Estonia e in Lituania, che appena lui arriva vengono aggredite dallâArmata rossa. Il patto nazisovietico le ha consegnate a Mosca, come pure la Finlandia.
E anche qui Montanelli arriva tra i primi a raccontare lâincredibile resistenza finnica (3,5 milioni di abitanti contro i 180 dellâUrss): una guerriglia epica che durerĂ cento giorni. Le sue corrispondenze sulla «Guerra dâinverno», combattuta tra i fiordi e le pianure coperte di neve e di ghiaccio traboccano di empatia per gli eroici fanti finlandesi che guizzano sugli sci, mimetizzati con tute bianche e guidati dal vecchio maresciallo Carl Mannerheim, eroe della guerra dâindipendenza dalla Russia del 1918. E Indro, con le sue cronache asciutte ma appassionate che escono ogni giorno sul «Corriere», quasi sempre in prima pagina, trasforma i lettori dellâalgido quotidiano della borghesia milanese in sfegatati tifosi del Davide finnico contro il Golia staliniano. E anche un poâ in tifosi suoi. Mentre lâEuropa esplode, il giovane «redattore viaggiante» Ăš promosso a «inviato speciale» e ormai consacrato a «grande firma».
Anni Quaranta.
1930-1939 Racconti e immagini
Nei suoi tumultuosi e vorticosi anni Trenta, Montanelli conosce Mussolini e sâimbatte in Hitler. Ma sono altri tre gli incontri «eretici» di quel decennio che segneranno la sua vita e la sua carriera: Berto Ricci, fondatore e direttore de «LâUniversale», che morirĂ sul fronte libico nel 1941; Carlo Roddolo, collaboratore della stessa rivista e poi volontario come lui in Etiopia, dove cadrĂ allâinizio del 1937; e Leo Longanesi, giornalista, scrittore, artista, pittore, illustratore, editore, ma soprattutto artigiano dellâeditoria.
Dicembre 1930, Palermo.
Berto Ricci. «Berto era fiorentino, insegnava matematica in un istituto tecnico di Prato, era approdato al fascismo dallâanarchia molto tardi, intorno al 1930, aveva quattro anni piĂč di me. Era, dei âragazzi di Mussoliniâ, come ci chiamavamo allâepoca noi giovani intellettuali fascisti, il piĂč idealista. Con la sua vita e con âlâUniversaleâ, fu lâultimo a tentare di cambiare il mondo, cioĂš a illudersi di poter davvero incidere nella societĂ italiana. Sognava che il fascismo potesse completare il Risorgimento incompiuto e âfare gli italianiâ, cioĂš forgiare un italiano antico e nuovo, intorno a unâetica che si avvicinava molto allo stoicismo. E che lui seguĂŹ fino alle estreme conseguenze, andando a morire in Africa nel 1941. Eravamo molto legati. Per me, oltrechĂ© un amico, Berto era anche maestro di vita e consigliere spirituale. La prima fronda, noi giovani fascisti, la facemmo lĂŹ, nella redazione squattrinata dellââUniversaleâ, dove discutevamo molto e lavoravamo gratis».
Lâassetto ideologico de «lâUniversale» Ăš un guazzabuglio piĂč di umori e malumori che di elaborazioni politiche, tipico della gioventĂč irrequieta di quegli anni turbolenti. Come Montanelli riconoscerĂ anni dopo:
«Era un giornale frondista, che predicava il ritorno alla âprima oraâ e la necessitĂ della âterza ondataâ. Attaccava tutte le autoritĂ costituite, accusandole di eterodossia borghese e di antirivoluzionarismo. Voleva la rivoluzione permanente, il sangue, il tribunale del popolo, il monopolio di Stato per tutte le imprese, il corporativismo e il proletariato. Reclamava, con la violenza dei venti anni, qualcosa che si potrebbe riassumere nelle seguenti piccolezze: soppressione della borghesia mediante una riforma economica intesa alla statizzazione di tutte le imprese, sia agricole che industriali; alleanza con la Russia comunista con...