I medici nazisti
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I medici nazisti

Storia degli scienziati che divennero i torturatori di Hitler

Robert Jay Lifton

  1. 768 Seiten
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I medici nazisti

Storia degli scienziati che divennero i torturatori di Hitler

Robert Jay Lifton

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"I medici nazisti erano delle belve quando fecero ciĂČ che fecero? O erano degli esseri umani?": Ăš questa la domanda a cui si propone di rispondere questo libro, un'inchiesta sconvolgente che ha aperto una prospettiva inedita sul Terzo Reich e le sue perverse atrocitĂ . Basata su interviste a vittime e carnefici dei lager, la ricerca di Lifton penetra con rara incisivitĂ  i meccanismi psicologici che hanno reso possibile nei medici nazisti la sostituzione del dovere di guarire con quello di uccidere. Dai ritratti di medici come "l'angelo della morte" Joseph Mengele alla descrizione dei macabri esperimenti compiuti nei campi di sterminio, l'autore ricostruisce con chiarezza il processo che ha portato uomini normali a compiere atti disumani e a legittimare il genocidio degli ebrei come mezzo di risanamento biologico e razziale. Con la sua analisi, Lifton ci ricorda la dura necessitĂ  di affiancare alla condanna del male compiuto nei lager l'indagine delle spaventose ragioni che l'hanno reso possibile. PerchĂ© solo affrontando la cupa veritĂ  che quella nazista fu una crudeltĂ  specificamente umana potremo evitare che essa si ripeta in futuro.

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Information

Verlag
BUR
Jahr
2021
ISBN
9788831805087
Parte Seconda

Auschwitz: la cura razziale

Introduzione alla Parte Seconda

Se i nazisti avessero dato alle loro istituzioni di «eutanasia» dei nomi conformi ai loro concetti, avrebbero potuto parlare del «Centro di Hartheim [o di Grafeneck] per l’uccisione terapeutica genetica» e, corrispondentemente, del «Centro di Auschwitz per l’uccisione terapeutica razziale».
Fu un medico nazista, Heinz Thilo, a dare ad Auschwitz un nome molto piĂč appropriato – anus mundi, «ano del mondo» – espressione con cui intese caratterizzare quello che un altro medico nazista, Johann Paul Kremer, descrisse come «il piĂč orribile di tutti gli orrori»: «l’azione... particolarmente sgradevole di gassare donne ridotte a pelle e ossa».1
Uno psichiatra polacco ha suggerito che l’espressione anus mundi rifletta con precisione la visione nazista della «necessitĂ  di ripulire il mondo», una visione «del superuomo tedesco..., di un mondo in cui non ci fosse posto per malati, storpi, persone psicologicamente immorali, contaminate da ebrei, da zingari o da altro sangue».2 Tutte queste persone, sta dicendo questo psichiatra, erano per i nazisti materiale biomedico di scarto. Ad Auschwitz, in particolare, i rifiuti umani erano specialmente gli ebrei.
BenchĂ© il campo di Auschwitz ospitasse zingari, polacchi e russi, solo gli ebrei furono sottoposti a selezioni sistematiche.a La funzione primaria di Auschwitz, una volta che essa fu ristabilita, fu infatti l’uccisione di ogni singolo ebreo su cui i tedeschi (nelle parole di Himmler) fossero riusciti a mettere le mani in qualsiasi paese.
Il medico delle SS non svolgeva primariamente un lavoro medico. La sua funzione primaria era quella di eseguire il programma istituzionale di Auschwitz, quello del genocidio sotto l’egida della medicina.3 Consideriamo le attivitĂ  del medico SS ad Auschwitz. Egli eseguiva le selezioni iniziali su vasta scala degli internati ebrei al loro arrivo al campo di Birkenau (cap. VIII). Queste selezioni venivano condotte di solito secondo la formula seguente: persone vecchie e debilitate, bambini e donne con bambini venivano selezionati tutti per la camera a gas, mentre gli adulti giovani in buone condizioni di salute venivano lasciati sopravvivere, almeno temporaneamente. L’esperienza delle vittime, con cui cominciamo, ci dĂ  il quadro piĂč fedele della realtĂ  di Auschwitz.
Compiuta la selezione, il medico saliva su un veicolo delle SS, contrassegnato di solito con una croce rossa, assieme a un tecnico medico (che faceva parte di un gruppo speciale di «disinfettori», o Desinfektoren, appartenente al SanitĂ€tsdienstgrade o SDG), e si recava a una camera a gas adiacente a uno dei crematori. In quanto FĂŒhrer, o «capo» della squadra, il medico aveva la responsabilitĂ  di controllare che il processo di uccisione venisse eseguito correttamente, anche se erano i disinfettori a introdurre nell’impianto le pallottole del gas e se l’intera sequenza finĂŹ col diventare una routine cosĂŹ abituale da richiedere ormai ben pochi interventi. Il medico aveva anche il compito di dichiarare che le persone all’interno della camera a gas erano morte, e a volte guardava attraverso uno spioncino per osservarle. Anche questo fatto divenne una routine, e infine si lasciavano semplicemente passare una ventina di minuti prima di aprire le porte della camera a gas e trasportare fuori le vittime.
I medici SS eseguivano anche altre due forme di selezione (cap. IX). In una gli internati ebrei venivano fatti schierare, con brevissimo preavviso, in vari luoghi nel campo e i loro ranghi venivano sfoltiti per lasciare spazio ai sostituti presumibilmente piĂč sani forniti dai nuovi trasporti. L’altro tipo di selezione si verificava direttamente nei blocchi medici, in una caricatura del triage. AnzichĂ© lasciar semplicemente morire le persone piĂč prossime alla morte – per usare le limitate risorse mediche disponibili nella cura di coloro che potevano essere salvati – come nel triage medico tradizionale (dando al termine il significato in cui lo avevano usato in origine i militari francesi), i nazisti combinarono il triage con l’omicidio, inviando alla camera a gas le persone giudicate molto malate o debilitate, o che richiedevano piĂč di due o tre settimane per guarire.
L’omicidio nella forma del triage medico divenne un procedimento standard delle SS, influenzato sia dalla visione della Soluzione finale sia dalle esigenze economiche della I.G. Farben. Ma un altro fattore di grande importanza fu la residua influenza esercitata nei campi dall’azione del programma di «eutanasia» 14f13. In altri termini, il principio di uccidere i vecchi, i malati e in generale le persone indesiderabili era stato dapprima stabilito in ambienti medici, esteso poi specificamente ai campi di concentramento, e poi istituzionalizzato (ancora in ambienti medici) ad Auschwitz, e solo ad Auschwitz, su una scala grandissima. Quell’influenza del programma 14f13 implicĂČ tanto la mentalitĂ  quanto la legalitĂ  di una forma medica dell’assassinio nella forma del triage, cosĂŹ che il tribunale di Francoforte poteva considerare le uccisioni conseguenti a una scelta medica come probabilmente derivate dai procedimenti del programma 14f13. In altri termini, le versioni naziste dell’«eutanasia» e la Soluzione finale vennero a convergere nei blocchi medici di Auschwitz, trasformandoli in tal modo in un fattore importante dell’ecologia dell’omicidio nel campo di sterminio di Auschwitz.4
I medici SS condussero anche forme omicide di «epidemiologia»: i prigionieri affetti da malattie infettive – di solito tifo ma anche scarlattina o altre forme contagiose – venivano inviati nelle camere a gas, a volte assieme agli altri pazienti ricoverati nello stesso blocco medico (molti dei quali potevano benissimo non essere infetti), dopo di che si poteva procedere a una «disinfezione» totale del blocco cosĂŹ svuotato. (I medici nazisti svolsero un ruolo simile in Polonia, dove contribuirono all’adozione di misure oppressive giustificate col pretesto di controllare le epidemie, e specialmente il tifo.)5
I medici SS ordinavano l’uccisione di pazienti debilitati, e a volte la eseguivano personalmente nei blocchi medici, praticando loro iniezioni di fenolo nel circolo sanguigno o nel cuore (cap. XIV). Il metodo delle iniezioni fu particolarmente diffuso nei primi anni di Auschwitz (1941-1943), prima del pieno sviluppo delle camere a gas. Esse venivano eseguite di solito da tecnici medici o da prigionieri abbrutiti, che fungevano da sostituti dei medici. I medici SS si occuparono anche di un altro tipo di uccisioni per mezzo del fenolo, ordinate dal Dipartimento politico di Auschwitz (in realtĂ  dalla Gestapo), le cosiddette «esecuzioni occulte»: l’uccisione di prigionieri politici polacchi o, occasionalmente, di militari tedeschi o altro personale condannato a morte per varie ragioni. I medici presenziavano anche ad altre esecuzioni di prigionieri politici – di solito mediante fucilazione – per dichiarare la vittima ufficialmente morta.
In occasione di tutte queste uccisioni i medici firmavano falsi certificati di morte, attribuendo il decesso di ogni internato ad Auschwitz, o delle persone ivi condotte dall’esterno per esservi uccise, a una malattia specifica (cardiaca, respiratoria, infettiva o di qualsiasi altro genere). Gli ebrei che erano stati selezionati per l’esecuzione alla banchina, al loro arrivo, non essendo entrati nel campo non richiedevano un certificato di morte.
I dentisti SS, che lavoravano a stretto contatto con i medici, e che eseguivano anch’essi selezioni, avevano l’incarico di sorvegliare i Kommandos di detenuti che estraevano i denti d’oro e le otturazioni d’oro agli ebrei morti, dopo la loro gassificazione.
I medici SS (secondo Höss) dovevano far abortire le donne «straniere» (fremdvölkisch) trovate incinte. Sia che questa categoria comprendesse o no donne ebree (o che queste formassero una categoria separata a sé), nel caso di queste ultime gli aborti cominciarono a essere praticati in segreto da medici ebrei prigionieri nel campo, quando divenne chiaro che una diagnosi di gravidanza in una donna ebrea significava la gassificazione immediata.
Nel caso di punizioni corporali ufficiali (per esempio mediante fustigazione), i medici SS erano tenuti sia a firmare moduli che attestavano la capacitĂ  fisica del prigioniero di sopportare tale punizione sia a essere presenti durante la somministrazione della pena.
I medici SS fornivano anche una consulenza attiva per far sì che le selezioni potessero procedere senza intoppi: per esempio facendo raccomandazioni sull’opportunità di separare donne e bambini o di permettere che rimanessero assieme. Essi davano consigli anche sul numero di persone che era opportuno lasciare in vita, soppesando i benefici che il regime nazista avrebbe tratto dal lavoro svolto dagli internati di contro agli accresciuti problemi sanitari creati dal mantenere in vita persone relativamente debilitate.
Ci si appellava alla competenza tecnica dei medici anche per quanto concerneva la cremazione dei corpi, un problema grosso ad Auschwitz nell’estate del 1944, quando l’arrivo di un numero enorme di ebrei ungheresi mise in crisi la capacità dei crematori, imponendo di procedere a cremazioni all’aperto.
Le selezioni, il rituale quintessenziale di Auschwitz, compendiarono e conservarono il paradosso dell’uccisione come terapia. Le prime selezioni eseguite dal medico SS al suo arrivo al campo erano il suo rituale di iniziazione, il suo passaggio dalla vita comune all’universo di Auschwitz, e una prima evocazione del suo «sĂ© di Auschwitz».
Nei termini di richieste professionali reali, non c’era assolutamente alcun bisogno che le selezioni venissero compiute da medici: chiunque avrebbe potuto eseguire la scelta di prigionieri deboli e moribondi. Ma se si considera Auschwitz, come fecero gli ideologi tedeschi, come un’impresa sanitaria pubblica, solo i medici potevano assumersi quel compito. CosĂŹ facendo, il medico si tuffĂČ in quello che si puĂČ chiamare il paradosso dell’uccisione come terapia.
Specialmente per lui, l’uccisione divenne una condizione per la guarigione. Egli poteva provvedere alla cura medica solo se il mattatoio veniva mantenuto in piena funzione. E la sua terapia (il blocco medico) era al tempo stesso un centro di smistamento per ulteriori uccisioni. Il medico SS divenne un fautore delle uccisioni a due livelli fondamentali: da un lato quello dell’ecologia del campo (selezionando un maggior numero di prigionieri al loro arrivo e in infermeria, quando il campo era sovraffollato, quando le condizioni di igiene erano minacciate e quando la grande quantitĂ  di internati malati o deboli sottoponeva le strutture mediche a uno sforzo eccessivo e diminuiva l’efficienza del lavoro [vedi pp. 251-253]), e dall’altro in connessione con la visione biomedica generale (quella di risanare la razza nordica liberandola dal pericoloso contagio del sangue ebraico), quale che fosse il grado di intensitĂ  del suo impegno in tale visione. Il paradosso dell’uccisione come terapia era quella che il dottor Ernst B. chiamĂČ la «situazione schizofrenica». Ma tale situazione fu una condizione istituzionale duratura, la base dell’equilibrio sociale ad Auschwitz (vedi pp. 291-296).
Non si poteva perĂČ permettere ai prigionieri di metter fine da sĂ© alle loro sofferenze: il suicidio violava la logica del paradosso dell’uccisione come terapia. In effetti il suicidio compiuto apertamente, come quello di lanciarsi contro un reticolato elettrificato, era considerato una violazione grave della disciplina e diventava spesso oggetto di inchieste minuziose. (I suicidi di prigionieri a Treblinka furono descritti da un commentatore come la «prima affermazione di libertà», e avrebbero contribuito a una significativa ribellione dei prigionieri in quel campo.)6 Una sottomissione piĂč graduale alla morte, come nel caso dei MuselmĂ€nner, poteva essere tollerata o addirittura incoraggiata perchĂ© non sembrava sfidare il controllo nazista sulla vita e la morte. Il paradosso dell’uccisione come terapia, per essere interiorizzato dal «sĂ© di Auschwitz», richiedeva un controllo esclusivo della vita e della morte da parte dei perpetratori nazisti.
La parola-chiave nel rovesciamento della guarigione-uccisione Ăš Sonderbehandlung, o «trattamento speciale», trasferita qui dalla prassi nazista e in particolare dal progetto 14f13 (vedi pp. 193-195). Abbiamo visto come quest’eufemismo per indicare l’uccisione suggerisce una qualche affinitĂ  con la terapia medica, facendo pensare a un’assoluta legalitĂ . (Nell’uso burocratico generale, «speciale» [sonder-] era l’opposto di «normale»: treni speciali e treni normali, tribunali speciali e tribunali normali eccetera) Speciali procedimenti erano ritenuti necessari in risposta a condizioni speciali. La parola non solo toglieva ogni implicazione negativa alle uccisioni e aiutava a trasformarle in un’attivitĂ  di routine, ma, nello stesso tempo, infondeva in esse una prioritĂ  quasi mistica al «sĂ© di Auschwitz» nell’eseguirle. L’uccisione assumeva un certo senso di necessitĂ  e di adeguatezza, accentuata dall’aura medica, oltre che militare, che la circondava.
La Sonderbehandlung faceva parte dell’imperativo mistico di uccidere tutti gli ebrei; e una volta che Auschwitz ebbe raccolto quell’imperativo, ogni ebreo che arrivava o che era giĂ  internato nel campo potĂ© essere sentito dal «sĂ© di Auschwitz» del medico nazista come destinato alla morte e, psicologicamente parlando, giĂ  morto. L’uccisione di chi Ăš giĂ  morto non dev’essere sentita necessariamente come un omicidio. E poichĂ© gli ebrei, per molto tempo le vittime designate dei nazisti, venivano percepiti piĂč in generale come portatori di morte, o veicolo della corruzione della morte, essi divennero «doppiamente morti». Esattamente come non si poteva uccidere chi era giĂ  morto, non si poteva procurare loro alcun danno comunque se ne mutilasse il corpo nella sperimentazione medica. Gli esperimenti sull’uomo eseguiti da medici nazisti (cap. XV), pur essendo marginali a questioni di ecologia, furono in pieno accordo con la visione biomedica piĂč generale del regime.
Per esercitare la loro funzione di regolazione dell’ecologia di Auschwitz, i medici SS avevano bisogno del concreto lavoro medico dei medici prigionieri, i quali avevano a loro volta bisogno dei medici SS per avere l’autorizzazione a compiere tale lavoro: per mantenere in vita altri prigionieri e per rimaner vivi essi stessi. Da questa situazione derivarono nei medici prigionieri profondi conflitti circa il loro rapporto con l’ecologia di Auschwitz e con i loro padroni delle SS quando essi (i medici prigionieri) si sforzarono di non partecipare alle selezioni (cap. XI) e cercarono di conservare una funzione genuinamente terapeutica (cap. XII). Fra questi medici prigionieri ci furono antagonismi, oltre a qualche esempio di stretta identificazione con le misure mediche naziste (cap. XIII). Le fila venivano tirate perĂČ dai medici SS, i quali, pur non riuscendo a sottrarsi a conflitti interiori considerevoli, riuscirono ad adattarsi al sistema di Auschwitz quanto bastava per conservarne le uccisioni col crisma della legittimazione medica (cap. X). Il loro adattamento implicĂČ il processo che chiamerĂČ Â«sdoppiamento», processo che permise loro di compiere le selezioni per la camera a gas senza vedere in se stessi degli assassini.
A conclusione della Parte Seconda esaminerĂČ con...

Inhaltsverzeichnis

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa
  4. I medici nazisti
  5. Introduzione. «Questo mondo non Ú questo mondo»
  6. Parte Prima. «Vite indegne di vita»:la cura genetica
  7. Parte Seconda. Auschwitz:la cura razziale
  8. Parte Terza. La psicologia del genocidio
  9. Poscritto. Portare testimonianza
  10. Note
  11. Ringraziamenti
  12. Copyright
Zitierstile fĂŒr I medici nazisti

APA 6 Citation

Lifton, R. J. (2021). I medici nazisti ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3427866/i-medici-nazisti-storia-degli-scienziati-che-divennero-i-torturatori-di-hitler-pdf (Original work published 2021)

Chicago Citation

Lifton, Robert Jay. (2021) 2021. I Medici Nazisti. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3427866/i-medici-nazisti-storia-degli-scienziati-che-divennero-i-torturatori-di-hitler-pdf.

Harvard Citation

Lifton, R. J. (2021) I medici nazisti. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3427866/i-medici-nazisti-storia-degli-scienziati-che-divennero-i-torturatori-di-hitler-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Lifton, Robert Jay. I Medici Nazisti. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2021. Web. 15 Oct. 2022.