La logica del diritto
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La logica del diritto

Dieci aporie nell'opera di Hans Kelsen

Luigi Ferrajoli

  1. 280 Seiten
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La logica del diritto

Dieci aporie nell'opera di Hans Kelsen

Luigi Ferrajoli

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La logica è applicabile al diritto? La produzione del diritto è vincolata alla coerenza logica con i principi costituzionali? È contraddittorio parlare di diritto illegittimo? Esistono diritti anche in assenza delle garanzie che li rendano effettivi? Qual è il rapporto tra esistenza, validità ed effettività delle norme e quale il fondamento ultimo del diritto? La giurisdizione è solo applicazione o anche creazione del diritto? Queste e altre questioni fondamentali per la teoria del diritto e della democrazia continuano ad essere poste dall'opera di Kelsen, il piÚ importante teorico del diritto del Ventesimo secolo. Luigi Ferrajoli ne ricostruisce sistematicamente le tesi, mostrandone i meriti ma anche le contraddizioni, alla luce del nuovo paradigma della democrazia costituzionale.

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Information

Jahr
2016
ISBN
9788858124314

VII.
La tesi della non applicabilitĂ 
della logica al diritto

7.1. La negazione kelseniana della logica nel diritto. Principio di non contraddizione e principio di implicazione nella produzione giuridica

Siamo così pervenuti alla questione centrale che forma l’oggetto di questo libro e che è già stata impostata nei §§ 1.3, 2.3, 3.3, 4.2, 5.1 e 6.3: quella dell’applicabilità della logica al diritto nella cui negazione – conseguente, come si disse all’inizio del § 6.2, dalle aporie A4, A5 e A6 – consiste, a mio parere, la settima aporia della teoria kelseniana. Si sono viste, nel capitolo che precede, le relazioni logiche che intercorrono tra le norme sostanziali sulla produzione e le norme prodotte. È in questa normatività logica dei principi esterni della coerenza e della completezza che consiste l’applicabilità della logica alla produzione giuridica, a garanzia dell’effettività delle norme sulla produzione, prime tra tutte le norme costituzionali, e conseguentemente della validità delle norme prodotte.
È chiaro, a questo punto, che questa normatività logica coincide con la normatività giuridica dei principia iuris et in iure, interni al diritto, nei cui confronti i principia iuris tantum impongono coerenza e completezza. Che cosa vuol dire, infatti, che una norma sostanziale sulla produzione è normativa nei confronti della norma prodotta? Vuol dire che la sua normatività giuridica – consistendo tale norma in un significato normativo che ha per oggetto un altro significato normativo – equivale a una normatività logica, cioè al principio di non contraddizione, in forza del quale p → ¬ ¬ p, ovvero ¬(p·¬ p), o al principio dell’implicazione, in forza del quale, se p → q, allora ¬(p·¬q). Ovviamente la normatività logica vale solo nei confronti dei significati prescrittivi, e in particolare delle norme: nei rapporti tra norme costituzionali e norme di legge, tra norme di legge e prescrizioni espresse da sentenze o provvedimenti amministrativi o negozi privati, e non certo nei rapporti tra norme e fatti quali sono gli atti normativi. Un arresto di polizia illegittimo, per esempio, non è in contraddizione con le norme di legge sulle condizioni e sui limiti dell’arresto, ma è semplicemente un atto illecito e/o formalmente invalido in violazione dei relativi divieti; l’omessa prestazione sanitaria da parte dei medici di un pronto soccorso non contraddice, ma viola l’obbligo corrispondente, ed è parimenti un atto illecito per inosservanza di tale obbligo; una sentenza viziata da incompetenza o da altri vizi di forma è formalmente invalida per difformità, ma non certo per incoerenza rispetto alle norme formali sulla sua produzione.
C’è un passo di Kelsen, nella Teoria generale del diritto, che chiarisce questa differenza tra le violazioni di norme ad opera di comportamenti e le contraddizioni: “La norma prescrive il comportamento A; ma l’effettivo comportamento dell’individuo è non-A. In tal caso diciamo: il comportamento di tale individuo ‘contraddice’ alla norma. Tale ‘contraddizione’ non è, però, una contraddizione logica”223. È ovvio, dato che una contraddizione logica non può ricorrere tra proposizioni e fatti, quali sono i comportamenti. Come scrive Kelsen, essa “può prodursi soltanto fra due proposizioni che affermino entrambe un ‘dover essere’, cioè fra due norme come, ad esempio, ‘X deve dire la verità’ e ‘X non deve dire la verità’”224. Ma questo, contrariamente a quanto ritiene Kelsen, è proprio ciò che accade allorquando l’effettivo comportamento regolato da una norma è a sua volta un atto linguistico il cui significato è un’altra norma. In questo caso siamo in presenza di due proposizioni – la norma sulla produzione e la norma prodotta – che perciò ben possono essere contraddittorie, come ad esempio “tutte le manifestazioni del pensiero sono (costituzionalmente) permesse” e “non tutte le manifestazioni del pensiero sono permesse, non essendolo quelle proibite e punite (dalla legge) come reati d’opinione”, oppure l’una implicata dall’altra, come ad esempio se “qualunque fatto che abbia le caratteristiche (previste dalla legge) c1-cn è G (per esempio ‘furto’ o ‘contratto valido’ o ‘contratto invalido’)”, allora “il fatto F che (secondo il giudizio) ha le caratteristiche c1-cn è G (per esempio un ‘furto’ o un ‘contratto valido’ o un ‘contratto invalido’)”.
Negli atti giuridici precettivi abbiamo dunque entrambe le cose: un atto linguistico, cioè un comportamento la cui esistenza giuridica e la cui validità o invalidità formale come atto precettivo dipendono unicamente dalla sua forma, la quale non ha nulla a che fare con la logica ma solo con la sua conformità o corrispondenza, oppure con la sua difformità o non corrispondenza empirica con le forme predisposte dalle norme formali sulla sua formazione; e la norma, ossia il significato prescrittivo espresso dall’atto, dalle cui relazioni logiche con i significati delle norme sostanziali sulla sua produzione dipendono invece la sua validità o la sua invalidità sostanziale. Le due cose sono chiaramente connesse: in tanto un atto linguistico – una legge, o una sentenza, o un provvedimento amministrativo o un negozio privato – è abilitato a produrre come effetti i significati da esso espressi in quanto sia prodotto in una data forma, inteso con ‘forma’ i requisiti procedurali e di capacità o competenza del suo autore che ne fanno un atto appartenente alla lingua del diritto225. Ma ai fini della questione qui discussa del rapporto tra diritto e logica le due cose sono totalmente diverse, applicandosi il principio di non contraddizione e il principio di implicazione ai significati prescrittivi e non certo agli atti che li producono.
Proprio l’appiattimento delle norme sugli atti normativi è invece alla base del rifiuto kelseniano dell’idea stessa di una contraddizione o di un’implicazione tra norme di diverso livello, giudicata da Kelsen impensabile fin dalla Dottrina pura del 1934226, e comunque incompatibile con le sue identificazioni della validità delle norme con la loro esistenza e perciò con l’esistenza degli atti normativi, qui criticate come le aporie A4 e A5. Ma è chiaro che, una volta abbandonate tali indebite identificazioni, cade anche questa aporia A7, non potendosi non riconoscere a) che, indipendentemente dall’esistenza e dalla validità formale degli atti normativi, il principio di non contraddizione trova applicazione in tutti i giudizi sulla loro validità (o sulla loro invalidità) sostanziale, cioè sulla coerenza o l’incoerenza logica dei loro significati con quelli espressi dalle norme sostanziali sulla loro produzione227, e b) che il principio di implicazione trova applicazione in tutti i giudizi sull’attuazione o sull’inattuazione delle regole da queste medesime norme stabilite, cioè sulla completezza o l’incompletezza dell’ordinamento, nonché in tutti i giudizi di sussunzione dei fatti giudicati nelle norme che li prevedono. Le violazioni giuridiche delle norme sostanziali sulla produzione, perciò, sono anche vizi logici, siano esse per commissione, come la produzione di norme con esse in contrasto, oppure per omissione, come la mancata produzione di norme da esse implicate.
Possiamo quindi affermare che i rapporti tra norme di diverso livello sono rapporti, per quanto riguarda i loro significati prescrittivi, al tempo stesso logici e giuridici in forza del carattere logico della normatività giuridica e del carattere normativo della logica deontica. I principi logici iuris tantum impongono infatti la coerenza e la completezza nei confronti dei principi giuridici iuris et in iure, a garanzia di quella che ho chiamato la “sfera del non decidibile che” e “che non”. È in questa coerenza e in questa completezza rispetto ai principi costituzionali che consiste la logica della legislazione. Precisamente, il principio di coerenza o di non contraddizione stabilisce ciò che non può essere deciso, cioè l’insieme dei limiti o divieti nei quali consistono le garanzie primarie negative correlative ad aspettative negative come sono, in particolare, i diritti di libertà o di immunità. A sua volta, il principio di completezza o di implicazione stabilisce ciò che non può non essere deciso, cioè, da un lato l’insieme dei vincoli od obblighi nei quali consistono le garanzie primarie positive correlative ad aspettative positive come sono, in particolare, i diritti sociali e, dall’altro, gli obblighi in capo ai giudici dell’annullamento o della condanna nei quali consistono le garanzie secondarie o giurisdizionali correlative alle aspettative positive quali sono l’annullabilità degli atti invalidi e la responsabilità per gli atti illeciti228. L’osservanza del principio di non contraddizione consiste nel rispetto delle norme sopraordinate, mentre la sua violazione si manifesta in antinomie, cioè nell’invalidità delle norme prodotte, censurabili, ad opera della giurisdizione, sulla base del principio di legalità, costituzionale o ordinaria. L’osservanza del principio di completezza consiste invece nell’introduzione, ad opera della legislazione, delle garanzie primarie e secondarie imposte dai diritti stabiliti, mentre la sua violazione si manifesta in lacune.
È così che la teoria, e precisamente i principi logici e teorici iuris tantum, realizzano, per usare le parole di Kelsen, l’“unità del sistema”229. Ma la realizzano non certo come un dato, bensì come un obiettivo, grazie al ruolo di correzione del diritto illegittimo vigente da essi imposto alla legislazione e alla giurisdizione, nonché al ruolo critico e progettuale da essi assegnato alla scienza giuridica in contrasto con l’ulteriore aporia A8 della sua pura descrittività di cui parlerò nel prossimo capitolo. Alla legislazione spetta il compito di colmare le lacune, introducendo le garanzie primarie in attuazione del principio di completezza. Alla giurisdizione spetta invece, quale funzione di garanzia secondaria in attuazione del principio di legalità, il compito di eliminare le antinomie applicando il principio di non contraddizione nei giudizi che hanno per oggetto le norme, come sono i giudizi di legittimità sostanziale e, più in generale, il compito di accertare e riparare le violazioni giuridiche applicando il principio di implicazione nei giudizi che hanno per oggetto gli atti, siano essi illeciti o invalidi, come sono i giudizi di merito. È in questi due principi, quello di non contraddizione e quello di implicazione, che consiste la logica della giurisdizione. Sempre la motivazione in diritto di una pronuncia giudiziaria consiste nell’argomentazione di una tesi sull’incompatibilità o meno di una norma inferiore con una norma sostanziale superiore, oppure sull’implicazione o meno tra una qualificazione normativa in astratto e una qualificazione operativa in concreto del fatto sottoposto al giudizio.
Entrambe queste applicazioni della logica al diritto sono state invece negate fermamente da Kelsen, soprattutto nell’ultima fase del suo pensiero. L’errore che è alla base di questa negazione, commesso da Kelsen e dietro di lui da buona parte del dibattito che ne è seguito, consegue da quelle qui criticate come le aporie A4, A5 e A6, cioè dall’identificazione della validità della norma con la sua esistenza, dall’ambivalenza sintattica generata dal fatto che tale esistenza è tutt’uno con quella dell’atto normativo di cui la norma è il senso e dalla conseguente rimozione della dimensione statica e sostanziale dall’orizzonte della teoria. Ne è prova il fatto che il sillogismo giudiziario viene concepito da Kelsen in termini puramente dinamici, cioè come un’inferenza in forza della quale “la validità della norma individuale”, di cui condizione necessaria e sufficiente è l’atto normativo da cui la norma è prodotta, “deve scaturire logicamente dalla validità della norma generale” oltre che “dalla verità dell’asserzione” circa il fatto sottoposto a giudizio230.
È chiaro che una simile inferenza è priva di senso, dato che, ovviamente, “la validità della norma individuale non è implicita nella validità della norma generale, alla quale corrisponde”231. Nel sillogismo giudiziario, infatti, non è in questione la validità delle norme, ma la verità di ciò che in base alle norme viene detto. L’inferenza deduttiva che in esso interviene non consiste nell’implicazione, supposta e criticata da Kelsen nei passi sopra ricordati, “se la tale norma generale è valida, allora è valida anche la norma individuale che ad essa corrisponde”: per esempio, “se la norma generale del codice penale sul furto è valida, allora è valida anche la condanna di Tizio, che ad essa corrisponde, per il furto da lui commesso”. Nessun giudice ragiona in questo modo. La forma del sillogismo giudiziario, nella parte consistente in una deduzione, al pari di quella di qualunque altro sillogismo deduttivo, è la forma di un’inferenza tra proposizioni assertive, cioè tra premesse assunte e conclusioni dedotte come vere: “se è vero che, come dice la norma N, tutti i fatti identificati dalle caratteristiche c1-cn integrano il reato di furto, allora è anche vero che, se è provato e perciò ritenuto vero che il fatto F possiede le caratteristiche c1-cn, allora F è un furto”; che è una forma di inferenza non diversa da quella esibita dal sillogismo “se è vero che, come dice Tizio, tutti gli asini volano, allora è anche vero che, se A è un asino, allora esso vola”.
Insomma, è l’accertamento della verità processuale della tesi che afferma o che nega una violazione giuridica, cioè l’illiceità o l’invalidità di un atto, che forma il tratto distintivo degli atti giurisdizionali; la cui validità, diversamente da quella di qualunque altro atto giuridico di tipo pre...

Inhaltsverzeichnis

  1. Premessa
  2. I. Il «Sollen»: una formula ellittica e un’indebita generalizzazione
  3. II. Due tesi anti-positivistiche
  4. III. I diritti fondamentali: una nozione estranea alla teoria kelseniana
  5. IV. La confusione tra validitĂ , esistenza ed efficacia e la negazione del diritto illegittimo
  6. V. Ambivalenze sintattiche: atti e norme, persone e ordinamenti
  7. VI. La rimozione della dimensione statica e sostanziale degli ordinamenti
  8. VII. La tesi della non applicabilitĂ  della logica al diritto
  9. VIII. La logica del diritto e l’illusione di una scienza giuridica puramente descrittiva
  10. IX. La democrazia politica come autogoverno e la giurisdizione come fonte di diritto
  11. X. La concezione solo formale della democrazia odierna
  12. Edizioni originali delle opere di Hans Kelsen citate in questo libro
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Ferrajoli, L. (2016). La logica del diritto ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3460496/la-logica-del-diritto-dieci-aporie-nellopera-di-hans-kelsen-pdf (Original work published 2016)

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Ferrajoli, Luigi. (2016) 2016. La Logica Del Diritto. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3460496/la-logica-del-diritto-dieci-aporie-nellopera-di-hans-kelsen-pdf.

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Ferrajoli, L. (2016) La logica del diritto. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460496/la-logica-del-diritto-dieci-aporie-nellopera-di-hans-kelsen-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Ferrajoli, Luigi. La Logica Del Diritto. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2016. Web. 15 Oct. 2022.