Capitolo undicesimo. Il sistema internazionale dopo il 1956
1. La definizione delle regole della coesistenza competitiva
1.1. Considerazioni introduttive. Ă opinione dellâautore di queste pagine che compito dello storico sia di ricostruire, secondo un percorso logicamente compatibile con quanto le fonti suggeriscono, la trama del passato, indicando i momenti in cui il susseguirsi degli eventi acquista un ritmo piĂč o meno celere e individuando le fasi nelle quali i diversi percorsi della storia si intrecciano in nodi problematici, rispetto ai quali Ăš necessario elaborare unâesposizione che consenta di percepire ordinatamente il sovrapporsi delle linee di tendenza, la diversa importanza delle forze in gioco, le soluzioni progettate rispetto ai problemi esistenti, i risultati conseguiti dagli attori del processo politico. CosĂŹ come gli anni fra il 1946 e il 1949 segnarono la nascita dei due blocchi che, imperniati sugli Stati Uniti e sullâUnione Sovietica, avrebbero vissuto i momenti piĂč aspri della guerra fredda, gli anni fra il 1957 e il 1963 (intesi con una certa elasticitĂ di confini cronologici) segnarono il passaggio dalla fase di conflitto acuto alla fase di mutuo riconoscimento delle posizioni acquisite e al tentativo di definire regole che rendessero possibile non giĂ azioni convergenti ma almeno la percezione dei limiti entro i quali ciascuna delle superpotenze riconosceva allâaltra una sorta di potestĂ ordinativa dominante rispetto alle diversitĂ o ai conflitti interni ai blocchi rispettivi. Non si poteva certo parlare ancora di «distensione» nel senso che il termine acquistĂČ qualche tempo dopo ma si puĂČ ora capire che proprio in quegli anni, che qualcuno definĂŹ dellâequilibrio del terrore, i capi delle superpotenze percepirono a fondo lâopportunitĂ di definire in modo parallelo i confini dei propri interessi, le aspettative riguardo allâantagonista, lâattesa di comportamenti coerenti con il rispetto dei valori critici dellâavversario: in altri termini, gli elementi di un avvicinamento parallelo alla definizione delle regole di coesistenza di un sistema bipolare competitivo. Lâapparente semplicitĂ della dissezione bipolare consente unâorganizzazione e unâanalisi semplificata delle situazioni complesse. Non sempre ciĂČ Ăš esauriente e non sempre la semplificazione raccoglie la varietĂ degli elementi che confluiscono in una transizione. Questa infatti riguarda sia i temi delle relazioni dirette fra le superpotenze sia i temi correlati ai rapporti fra ciascuna di esse e i rispettivi satelliti, sino a indicare i limiti entro i quali le potenze minori potevano disporre di «influenza» allâinterno del proprio blocco o, addirittura, condizionare i comportamenti della potenza guida; e sino a indicare le esigenze supreme rispetto alle quali le motivazioni nazionali minori dovevano accettare di subordinarsi. Le superpotenze vivevano un conflitto che non aveva piĂč come posta in gioco la divisione dellâEuropa o di parti dellâAsia in zone dâinfluenza. Questo processo era terminato nel 1956 e lâimmobilitĂ occidentale rispetto alla crisi ungherese del 1956 cosĂŹ come quella sovietica rispetto alla crisi di Suez dello stesso anno avevano mostrato la coerenza con la quale gli antagonisti seguivano regole non scritte. Dopo il 1956 il conflitto o, meglio, la competizione, aveva mutato natura: riguardava i paesi di recente indipendenza e la globalizzazione del bipolarismo; riguardava la contesa missilistica e spaziale, cioĂš la capacitĂ di colpire direttamente lâavversario con armamenti propri; riguardava soprattutto la competizione nucleare, dalla quale dipendeva la capacitĂ di minacciare lâavversario in modo variamente credibile ma cosĂŹ indeterminato (almeno sino al 1963) da diffondere lâimpressione che lâecatombe nucleare potesse improvvisamente esplodere, provocando danni incalcolabili. I responsabili di entrambe le superpotenze erano proiettati verso la conquista della supremazia nucleare ma sapevano, al tempo stesso, che questa sarebbe stata prevalentemente un armamento simbolico, poichĂ© le distruzioni provocate da un conflitto nucleare non avrebbero mai retto a una pur superficiale analisi del rapporto costi/benefici. La posta in gioco era ed Ăš chiaramente percettibile. Tuttavia questo aspetto del nodo problematico non esaurisce lâintreccio delle questioni. Infatti ciascuna delle superpotenze doveva affrontare motivi di disagio allâinterno del proprio sistema senza lasciare, ma non sempre con successo, che questi compromettessero la loro capacitĂ dâazione globale. La situazione degli Stati Uniti era complicata ma non drammatica. Essi dovevano rielaborare le proprie relazioni con lâEuropa occidentale dopo che questa, fra il 1955 e il 1957, aveva dato vita al Mercato comune europeo. Dovevano anche affrontare i problemi derivanti dalla frattura verificatasi nel 1956 a Suez, il che poneva in campo le diverse concezioni del rapporto con il mondo coloniale: un fatto, questo, che la politica di decolonizzazione britannica avrebbe reso meno traumatico ma al quale la guerra dâAlgeria dava unâimportanza cruciale. Lâascesa al potere in Francia di de Gaulle, sebbene provocasse un temporaneo aggravamento dellâaspetto coloniale della tensione interna allâAlleanza atlantica, avrebbe posto agli Stati Uniti problemi di fondo ben piĂč importanti, collegati ai progetti globali del Presidente francese e, piĂč ancora, al suo intento di costruire davvero una forza nucleare autonoma, magari dâintesa con lâItalia e, piĂč ancora, con la Repubblica federale di Germania. La questione tedesca riacquistava cosĂŹ una valenza centrale nella politica europea degli Stati Uniti, poichĂ© la linea politica del cancelliere Adenauer, costruita sullâimpegno atlantico ma anche fortemente critica verso lâegemonismo americano in Europa e orientata verso una stretta collaborazione con la Francia di de Gaulle, indicava scenari inquietanti che, da parte americana, dovevano essere integrati in una visione globale. Le ipotesi di accordo nucleare franco-tedesche si proiettavano infatti sul piano della strategia dei rapporti con lâUnione Sovietica e non potevano essere considerate come semplici turbolenze interne al blocco occidentale. Dal suo canto, lâUnione Sovietica doveva comporre esigenze ben piĂč divergenti. In primo luogo i suoi dirigenti dovevano affrontare lâeco duratura della destalinizzazione e, piĂč ancora, la spinta di Ulbricht, il leader della Repubblica democratica tedesca, a esigere una risposta sovietica molto meno morbida di quanto apparisse rispetto ai progetti nucleari di Adenauer e rispetto al problema dei rapporti intertedeschi, reso drammatico dal persistere del flusso di emigrazioni clandestine dalla Germania orientale verso quella occidentale. Ma per i Sovietici le difficoltĂ maggiori venivano dalla situazione asiatica dove il deterioramento dei rapporti con la Repubblica popolare cinese, giĂ manifesto nel 1957-58, provocava un ridimensionamento dellâinfluenza sovietica che avrebbe di lĂŹ a poco aperto spazi importanti alla penetrazione americana, delimitando la portata degli sviluppi che nei primi anni Sessanta si profilarono nel Viet Nam. Infine lâascesa al potere nellâAmerica centrale di Fidel Castro a Cuba, se da un lato offriva ai Sovietici nuove possibilitĂ di pressione sugli Stati Uniti dallâaltro li esponeva a una verifica dei limiti entro i quali tale pressione avrebbe potuto essere esercitata. In tal senso, lâarco di tempo che va dal 1957, con il clamoroso esordio della gara spaziale, al 1958 con la seconda crisi di Berlino, al 1959-60, con i primi tentativi di dialogo diretto fra Sovietici e Americani, al 1960 ancora, come anno critico per il processo di decolonizzazione, al 1961, anno della costruzione del muro di Berlino, al 1962, anno della crisi di Cuba e al 1963, anno conclusivo della catena ininterrotta di esperimenti nucleari e della stipulazione del Trattato per la sospensione degli esperimenti nucleari nellâatmosfera, tutto questo arco di tempo, con i temi qui solo enunciati e molti altri che li accompagnarono, puĂČ davvero essere considerato come il periodo nel quale le due superpotenze, razionalizzando le situazioni interne alle rispettive zone dâinfluenza, si impegnarono nei fatti o mediante negoziati specifici a individuare le regole di convivenza in un sistema bipolare dominato dalla competizione ma impegnato a liberarsi dal complesso dellâinevitabilitĂ dellâecatombe nucleare.
1.2. I contenuti della «coesistenza competitiva». La lunga disamina dedicata, nel capitolo precedente, ai problemi della decolonizzazione, pur nella varietĂ dei casi e delle situazioni, non Ăš esauriente per se stessa e tuttavia deve trovar posto in una ricostruzione storica dei mutamenti di fondo della situazione internazionale. Dal punto di vista che in generale ispira questa ricostruzione, unâesposizione sufficientemente ampia delle azioni che alterarono in profonditĂ il quadro internazionale entro il quale si situava il conflitto bipolare, questa disamina Ăš indispensabile proprio per cogliere uno degli aspetti della svolta che viene ora esaminata. Le superpotenze (e tutti gli altri soggetti del sistema internazionale) dovettero incominciare a guardare al sistema internazionale come a un insieme costituito da un numero di attori piĂč che raddoppiato (e pochi anni dopo il 1960, piĂč che triplicato) rispetto a quello prima esistente.
Di per sĂ© questa trasformazione, pur cosĂŹ rilevante, non avrebbe forse avuto la portata che essa acquistĂČ nel modificare le relazioni internazionali se tutti (o quasi) i paesi di recente indipendenza non avessero presentato una caratteristica e un problema comuni: la caratteristica di essere paesi economicamente arretrati e il problema di far coincidere, concretizzandola, lâindipendenza con lâinizio di una fase di crescita economica. Questa, riscattando i popoli subalterni dalla schiavitĂč dellâimperialismo, doveva mettere le nuove forze politiche, che in ciascun territorio si erano assunte (o avevano ricevuto mediante libere elezioni) il compito di governare, in grado di dimostrare che la fine del colonialismo aveva portato alla fine della subordinazione politica e dello sfruttamento economico e allâinizio di unâetĂ nuova, di crescita e benessere. La decolonizzazione perciĂČ modificava in piĂč modi i termini della situazione, modi che non possono essere esaminati interamente in questa sede ma che si proiettavano inevitabilmente sul piano internazionale. Infatti lâaprirsi di un nuovo palcoscenico delle relazioni internazionali costringeva le superpotenze a modificare la forma del loro conflitto e ad ampliarne la portata. Per quanto riguarda la forma, dopo la stabilizzazione in Europa, il problema tendeva a presentarsi ora sotto aspetti diversi. Se per ora si tralasciano quelli riguardanti la competizione spaziale e nucleare che non investivano i paesi di recente indipendenza, affiorava invece il tema della cosiddetta «coesistenza competitiva», che in pratica potrebbe essere definita come capacitĂ di dimostrare che ciascuno di tali paesi avrebbe meglio risolto i problemi del proprio consolidamento grazie allâaiuto di una delle superpotenze, sia mediante lâadozione di forme dâorganizzazione politico-economica affini a quelle dellâeconomia di mercato sia, al contrario, mediante lâuniformazione ai metodi economici del cosiddetto «socialismo reale». Il conflitto bipolare diventava competizione quando affermava la necessitĂ di una scelta fra modelli di sviluppo, nellâintento del tutto trasparente che tale scelta avrebbe poi avuto conseguenze dirette in termini di influenza mondiale. PerciĂČ il confronto si spostava dallâEuropa, invadeva il Mediterraneo, si estendeva a tutto il globo (non esclusa lâAmerica Latina), coinvolgeva ogni aspetto della vita dei popoli e tendeva a integrare in un processo di interdipendenza tutti i paesi di recente autonomia, nonostante le vocazioni al non allineamento che al tempo stesso essi elaboravano come alternativa alla subordinazione e speranza di sviluppo indipendente.
Per gli Stati Uniti la decolonizzazione non poneva problemi di principio. Nati essi stessi dalla prima guerra anticoloniale dellâetĂ moderna, avevano sempre combattuto lâimperialismo europeo. Il principio di self-government era stato proclamato da Wilson come uno dei cardini della nuova diplomazia americana e ribadito da Roosevelt durante la seconda guerra mondiale. Come ricorda Eisenhower nelle sue memorie, gli Stati Uniti avevano combattuto due guerre mondiali senza chiedere per sĂ© alcun incremento territoriale. «Gli Stati Uniti», egli scrive, «senza nutrire progetti sulle terre e i tesori degli altri, sono stati tradizionalmente coerenti con la loro politica di anticolonialismo». Questi principi e queste formule erano tuttavia appannati dallâeffettiva egemonia economico-finanziaria esercitata dagli Stati Uniti sullâAmerica Latina e dallâinterpretazione data alla politica globalistica di Roosevelt durante la seconda guerra mondiale. Il Grand Design rooseveltiano (cfr. p. 530) molto spesso veniva interpretato quale metodo per sostituire al colonialismo diretto unâinfluenza meno visibile ma piĂč penetrante. Inoltre agli Stati Uniti veniva rimproverato lâappoggio o lâambiguitĂ che essi avevano mostrato rispetto alle lotte coloniali che coinvolgevano paesi alleati come la Gran Bretagna e la Francia. Un brano tratto da una dichiarazione di Dulles al National Security Council il 1° novembre 1956 giova a collocare in modo adeguato questo tema:
Per molti anni â diceva Dulles â gli Stati Uniti hanno camminato su una corda tesa tra lâimpegno a mantenere da un lato il loro vecchio e valido rapporto con i loro alleati inglesi e francesi e dallâaltro il tentativo di garantirsi lâamicizia e lâintesa dei paesi da poco indipendenti [...]. Non potremo camminare ancora su questa corda tesa. Se non riusciamo a affermare ora la nostra leadership su questi paesi, essi si volgeranno verso lâUnione Sovietica.
Difatti, lâUnione Sovietica, sebbene fosse rimasta nel 1960 alla testa di uno dei pochissimi sistemi di rapporti imperiali esistenti nel mondo, poteva vantare un elenco di benemerenze anticolonialistiche che risaliva ai teorici del comunismo e giungeva sino agli anni della decolonizzazione. Anche ChruĆĄÄĂ«v nel 1956, al XX Congresso del Pcus, aveva sottolineato le potenzialitĂ della nuova situazione:
In contrasto con il periodo prebellico, la maggior parte dei paesi asiatici agiscono oggi nellâarena mondiale come Stati indipendenti o Stati che sostengono risolutamente il loro diritto di svolgere una politica estera indipendente. Le relazioni internazionali si sono estese al di lĂ dei confini delle relazioni fra paesi abitati soprattutto da popolazioni di razza bianca e incominciano ad acquistare il carattere di relazioni effettivamente globali.
In effetti la rivoluzione anticoloniale riapriva mercati, riproponeva problemi di disponibilitĂ e costi delle materie prime, creava nuovi spazi di dominio, imponeva i problemi dello sviluppo economico alle due superpotenze: nessuna delle quali era amministrativamente attrezzata per affrontare con reazioni rapide situazioni di emergenza nuove. Nonostante il vigore della propaganda e della tradizione marxista-leninista e nonostante lâattenta consapevolezza chruscioviana dellâimportanza risolutiva del nuovo conflitto, il divario esistente dal punto di vista delle risorse economiche e finanziarie, della elasticitĂ dei metodi di intervento e delle posizioni di forza giĂ acquisite era perĂČ tale da precostituire, nonostante alcune illusioni della prima fase, lâesito della competizione. I Sovietici operavano sulla base di un sistema ideologico solo esternamente capace di esser tradotto in modo automatico in ideologia della liberazione. Nonostante il grande dispendio di risorse effettuato per offrire a Mosca scuole di formazione delle Ă©lite dei paesi di recente indipendenza, le posizioni sovietiche erano fragili per diverse ragioni.
I Sovietici muovevano anzitutto da basi geopolitiche abbastanza delimitate. NellâAsia orientale la loro influenza era forte in Corea e nel Viet Nam ma era minata dal latente conflitto con la Repubblica popolare cinese. Negli Stati insulari dellâAsia sud-orientale essi erano ridotti in posizioni marginali (nonostante la presenza di guerriglieri filosovietici) dai legami delle Filippine con gli Stati Uniti e, in Indonesia, dalla polivalenza di Sukarno, che appoggiava il suo potere su un accorto insieme di forze del quale faceva parte anche il Partito comunista filo-cinese, cioĂš su una coalizione dichiaratamente neutralista, per quanto fortemente appoggiata dai Sovietici. Del resto, nel settembre 1965 un tentativo di colpo di Stato filocomunista effettuato da alcuni alti ufficiali dellâesercito fornĂŹ lo spunto per una sanguinosa reazione (con centinaia di migliaia di morti, il cui numero effettivo varia secondo il variare delle fonti) che portĂČ alla guida dellâIndonesia il generale T.N.J. Suharto e annientĂČ lâinfluenza sovietica. La Birmania che i fondatori, come U Nu, avevano voluto neutralista, era in bilico fra lâinfluenza cinese e lâautonomia. Dal 1962 il generale Ne Win, pur rassicurando i Cinesi della propria volontĂ di mantenere buoni rapporti con il governo di Pechino, si impadronĂŹ militarmente del potere che da allora tenne in modo esclusivo, come una tirannia poco benevola e impermeabile alle influenze esterne. Nel resto dellâAsia, lâUrss poteva contare su relazioni amichevoli con lâIndia, ma i problemi e la dimensione del subcontinente indiano erano tali da impedire che lâUrss potesse concepire lâaccordo con gli Indiani alla stregua di un rapporto di dipendenza con un paese di recente autogoverno al quale proporre modelli organizzativi nuovi. Con lâIndia potevano essere intrattenute dunque solo relazioni di collaborazione tecnica e diplomatica, magari in funzione anticinese, integrate solo in pochi casi da qualche tentativo di infiltrazione in singole amministrazioni statali.
Quanto al mondo islamico e piĂč in particolare al Medio Oriente, eccettuato il caso dellâAfghanistan, che fin dalla seconda metĂ del XIX secolo aveva relazioni importanti con lâimpero zarista, tutto il resto poneva i Sovietici dinanzi a considerevoli occasioni dal punto di vista dei rapporti di potenza ma anche ad altrettanti impedimenti: da quello delle diversitĂ religiose a quello delle lontananze culturali e delle diffidenze politiche. La presenza allâinterno dellâUrss di Stati con una popolazione islamica, relativamente libera nellâesercizio dei culti, era a un tempo veicolo e ostacolo allâinfluenza nella parte restante della regione. La speranza di poter sostituire allâegemonia anglo-francese nel Medio Oriente quella sovietica venne frustrata non solo dalla rapiditĂ dellâintervento americano o dalla presenza in Turchia di un regime strettamente vincolato allâOccidente per mezzo dellâAlleanza atlantica, ma anche dalla diffidenza iraniana rispetto alla pressione sovietica, e da quella dei paesi produttori di petrolio rispetto a un concorrente economico animato da progetti di mutamento politico. In pratica solo i paesi piĂč densamente popolati o piĂč direttamente toccati dallâacuirsi del conflitto israeliano-palestinese erano sensibili allâintervento sovietico. Egitto, Siria e Iraq erano i tre Stati rispetto ai quali lâUrss aveva sviluppato una tradizione di aiuti e collaborazione che, a meno di grossolani errori, avrebbe potuto dare frutti piĂč consistenti. Qualche spiraglio si apriva invece alla penetrazione sovietica nellâAmerica Latina: nel Centro-America mediante la guerriglia, nel Cile grazie alla dialettica delle forze democratiche liberamente esercitata sino al settembre 1973 e soprattutto a Cuba, divenuta, dopo il consolidamento della rivoluzione cas...