II. Fondazioni della modernitĂ giuridica
1. Il Trecento agli occhi dello storico del diritto: sconvolgimenti socio-economici e crisi di valori. Alla ricerca di un nuovo ordine giuridico
Noi siamo avvezzi a guardare al Trecento come al culmine dei secoli medievali, abbacinati dal fulgore che ci ostentano con pienezza di messaggio la storia delle arti plastiche e la storia letteraria; per me â toscano â Dante, Boccaccio, Giotto son lĂŹ a dimostrarlo. Quelli trecenteschi sono, invece, decennii che ci indicano uno scompiglio profondo, sol che si modifichi lâangolo di osservazione, puntando il nostro occhiale sulle vicende a livello strutturale, guardando a cosa avviene sul terreno della storia agraria alimentare demografica sanitaria, sul terreno basso ma determinante della vita quotidiana dellâuomo comune.
Sono decennii di guerre rovinose, di carestie, di epidemie, con la generale presenza corrosiva della fame; la protagonista occulta del secolo è la peste, che ha il suo acme fra il 1347 e il 1351 ma che devasta tutto il suo svolgersi e tutto il continente falcidiando la popolazione. Il risultato è un massiccio abbandono delle terre, una rapida eclissi delle culture agrarie, una crescente anche se sterile urbanizzazione. Al fondo di questo vortice strutturale câè una sopravvivenza diventata per lâuomo comune assai stentata, difficoltosissima, ma anche uno scossone demolitivo che comincia a percorrere la coscienza collettiva.
Non è certamente un trapasso improvviso, come una esposizione frettolosa potrebbe far credere, nĂŠ un capovolgimento brusco della clessidra storica. Nel vecchio organismo, come sempre avviene, con segni di stanchezza, fanno capo le cellule tumorali che lentamente prenderanno sempre piĂš campo e in esso trovano ancora ospitalitĂ e nutrimento. Il vecchio reca in sĂŠ il germe del nuovo, nutre la sua morte. E il Trecento appare quello che storicamente è: un tempo di transizione, dove vecchio e nuovo si mescolano, e dove si cominciano a disegnare le linee di un edificio futuro. Nessuno ha, forse, meglio di Francesco Petrarca (1304-1374) espresso lâatteggiamento di chi possiede la consapevolezza di trovarsi su un crinale; il grande poeta, ma uomo di cultura in cui giĂ cominciano ad allignare germi del prossimo rivolgimento umanistico, confessa â in una pagina dalla straordinaria luciditĂ â di vivere in un terreno di confine che lo stimola a guardare simultaneamente allâindietro e in avanti, un mondo morente e un mondo nascente: ÂŤvelut in confinio duorum populorum constitutus, ac simul ante retroque prospiciensÂť1.
Ă ovvio che la coscienza collettiva sia spinta a mettere in dubbio i pilastri portanti del vecchio ordine medievale fino a riconoscervi degli pseudo-valori. Cose e comunitĂ hanno tradito, non sono riuscite a garantire la sopravvivenza, e comincia a imporsi la necessitĂ di una rinnovazione essenziale del vecchio assetto socio-politico-giuridico puntando su valori decisamente nuovi. Il Trecento è un singolare nodo temporale: alla crisi strutturale risponde con immediatezza di sforzo costruttivo una riflessione teologica e filosofica, che cerca di disegnare unâantropologia completamente rinnovata: si punta sullâindividuo, ma gli si può dare fiducia solo se lo si libera dalle catene che per tutto il tempo medievale lo hanno tenuto prigioniero.
Il processo, che, in questo crocevia affollato di movimenti strutturali e di progetti intellettuali, si sta avviando, è un processo di liberazione. La nuova antropologia ha un carattere spiccatamente liberatorio. Liberazione dalla natura bruta, liberazione dai tanti lacci sociali, da quellâordine sociale che proteggeva il soggetto singolo e insieme lo vincolava, dalle stesse cose che avevano deluso nella loro pretesa virtĂš salvifica. Le dispute filosofiche, che arrivano ad avere pienezza di voce durante il corso del secolo, se le si colgono nel nucleo essenziale del loro messaggio, a questo mirano: isolare il soggetto dal mondo e sul mondo, riconoscèndolo capace di cercare e trovare allâinterno di sĂŠ le forze per dominare la realtĂ .
Il soggetto medievale, interpretato con fedeltĂ e puntualitĂ da Tommaso dâAquino, è un uomo intelligente, identificato soprattutto nella sua dimensione razionale, munito soprattutto della conoscenza, che lo proietta al di fuori di sĂŠ, con un gesto di umiltĂ psicologica verso il reale circostante, che lo inserisce nel reale e lo rende in qualche modo anche tributario del reale. Lâuomo nuovo, che saranno prevalentemente la teologia e la filosofia francescane a disegnare, è individuato in un soggetto che ama e vuole, un soggetto che tra le molte dimensioni psicologiche punta sulla piĂš autonoma, sulla piĂš auto-referenziale â la volontĂ â per reperirvi una identitĂ ma anche la propria cifra vincente. Tutto sembra soggettivizzarsi e risolversi allâinterno del soggetto, che afferma il suo distacco ontologico dal mondo e reclama la propria libertĂ sul mondo.
Ă illuminante come viene cementata questa ritrovata libertĂ : è auto-determinazione della volontĂ ed è concepita come dominium. Se si rilevasse che non siamo di fronte a qualcosa di nuovo e che giĂ nel diritto classico romano il dominium non ha soltanto una grossa valenza politica ma è strettamente collegato con la libertĂ del soggetto (a differenza delle analisi schiettamente economico-giuridiche dei medievali), ciò non sarebbe smentibile. Il nuovo, però, che si profila da questo fertile Trecento in poi, sta nella onnivalenza del dominium, che diventa la generale categoria interpretativa sia della realtĂ intersoggettiva che di quella intrasubbiettiva. Accanto alla proprietĂ delle cose del mondo esterno (dominium rerum), assistiamo alla enfatizzazione del dominium sui, della proprietĂ che ciascuno ha sulle proprie membra e sui proprii talenti, di quella proprietĂ prima che la divinitĂ ha inserito dentro ognuno a tutela della sua individuale esistenza e che, essendo contrassegnata da una formidabile forza espansiva, fa di ognuno un personaggio vocato a dominare il mondo cosmico e sociale. VolontĂ , insomma, come carattere essenziale del soggetto e garanzia della sua libertĂ ; libertĂ come dominium, lâintrasubbiettivo concepito come un insieme di meccanismi proprietarii.
Se a un lettore impaziente i discorsi sin qui fatti sono sembrati viziati di genericismo, ribatterei che è in questa nicchia di riflessioni antropologiche trecentesche (riflessioni nate in polemica con le certezze medievali) lâorigine prima di quella dimensione individualistica che sarĂ assolutamente dominante per tutta la modernitĂ ; sono, inoltre, riflessioni che ci consentono di sorprendere lâavvĂŹo di quellâaltra cifra tipizzante della modernitĂ costituita dalla commistione fra essere e avere, fra me e mio, con lâavere individuato quale contributo allo stesso essere. Ma avremo agio di riparlarne piĂš distesamente.
Unâaltra obbiezione riterrei, a questo punto, probabile e anche legittima: che si è parlato sino ad ora di storia agraria demografica sanitaria a proposito della crisi strutturale del Trecento, o di supreme scelte filosofiche a proposito del ribaltamento antropologico, ma non di diritto; e nemmeno di quella dimensione piĂš ravvicinata che è la politica. Rubando a Hegel unâimmagine che ho sempre ritenuto efficacissima e trasferèndola dalla filosofia al diritto, risponderei che questâultimo è come lâuccello di Minerva, la civetta, che non ama lâincandescenza dei meriggi assolati e attende, per levarsi in volo, che lâaccesa vicenda del giorno sia terminata. Il diritto â lâabbiamo detto molte volte â è realtĂ di radici, alligna negli strati profondi di una civiltĂ , strati dove riposano i valori di questa civiltĂ , ed emerge alla luce del sole solo dopo che, dalle inquietudini della superficie socio-economico-politica, i rivolgimenti discendono e investono le radici stesse.
Ripetiamo qui, quando stiamo analizzando una terra di confine fra diverse esperienze giuridiche, due considerazioni rilevanti per la nostra comprensione storica: che âesperienza giuridicaâ è un modo tipico di concepire, sentire, vivere il diritto, non è racchiusa e non è racchiudibile nelle leggi di un monarca o nei comandi degli organi di polizia, è invece un fatto di civiltĂ ; che lâesperienza giuridica medievale non è una inconsistente e innocua etĂ di mezzo, ma è durata secoli e secoli, è penetrata nelle coscienze, è riuscita a plasmare lentamente i suoi valori basandoli su unâantropologia assolutamente tipica. La crisi strutturale trecentesca è stata lâoccasione storicamente provvida, che ha permesso lâavvĂŹo di un rinnovamento a livello di coscienza collettiva, di una nuova visione del ruolo dellâuomo nel mondo cosmico e nella societĂ . Il rinnovamento non può che essere innanzi tutto antropologico: alla antropologia reicentrica medievale si deve sostituirne una antropocentrica, ed è proprio il movimento che filosofie e teologie volontaristiche cominciano a propugnare dal secolo XIV. Il diritto, in perfetta coerenza, verrĂ dopo, ma si nutrirĂ e si impregnerĂ di quella nuova visione.
Ora che ci apprestiamo a percorrere i sentieri della modernitĂ giuridica in Europa, dobbiamo avvertire il lettore che la ricerca di un nuovo ordine giuridico durerĂ secoli, si concreterĂ in una lenta ma progressiva crescita, dandoci un modello compiuto, un ordine ormai interamente rinnovato, solo alla fine del Settecento, quando la ventata risolutiva della rivoluzione francese spazzerĂ definitivamente il vecchiume dalle strade di Parigi e dellâEuropa continentale. Per inerzia, quellâassetto socio-politico che siamo soliti in Francia chiamare Antico Regime, ossia fino al 1789, serba ancora parecchie reliquie giuridiche medievali che si mescolano con parecchie novitĂ emergenti e sempre piĂš crescenti, ma un ordine giuridico nuovo apparirĂ netto e totale solo con la grande rivoluzione.
2. Un processo liberatorio: macro-individuo e micro-individuo quali nuovi protagonisti. Alle origini dello Stato moderno
Sul piano della coscienza collettiva, il volontarismo filosofico e teologico, che circola nella piÚ viva cultura trecentesca e che diventa anche una vera e propria teoria politica, è una prima ventata liberatoria che rompe la grande ragnatela medievale frazionandola inesorabilmente, ragnatela di relazioni fra individualità che impediva a ciascuna di esse di affermarsi in una propria posizione di indipendenza; e ciò a ogni livello, del soggetto civile, del soggetto religioso, del soggetto economico, del soggetto politico.
La nuova avventura liberatoria, che comincia nel Trecento, ha di mira la liberazione di ogni individualità prima compressa. La cifra essenziale della modernità sta tutta nella tentata riscoperta di un nuovo ordine che, mettendo da parte natura cosmica e comunità (tutto il vecchio ammasso comunitario), pretende di fondarsi su una dimensione tutta umana costituita da individualità , ciascuna delle quali è riconosciuta e rispettata nella sua libertà e nella sua carica dominativa della realtà naturale e sociale, ciascuna delle quali viene dotata di una virulenta carica psicologica.
Innanzi tutto, il soggetto fisico, un soggetto psicologicamente liberato, che non ha piĂš bisogno di rannicchiarsi allâinterno di protettivi assetti comunitarii e che sempre piĂš sente il peso di strutture ormai per lui soffocanti. La societĂ , che sino alla fine dellâAntico Regime è societĂ di societĂ , un crogiuolo complesso e complicatissimo di formazioni intermedie, è considerata per quel che ormai è effettivamente divenuta, e cioè un impedimento sia per il micro-soggetto privato sia per il macro-soggetto pubblico, un impedimento per la libera azione dellâuno e dellâaltro.
Lâindividuo fisico, psicologicamente affrancato, conquisterĂ tra breve, come vedremo, robusti capisaldi sul piano culturale, religioso, economico, giuridico, ma, poichĂŠ la sua libertà è fondata su una volontĂ dominativa e si identifica nella proprietĂ che lui ha di se stesso e dei beni esterni, sarĂ particolarmente la dimensione economica a giocare un ruolo rilevante. Protagonista dellâesperienza moderna sarĂ , infatti, lâabbiente.
Abbiamo ora accennato al macro-soggetto pubblico, una entitĂ politica parimente soffocata dalla societĂ , da una costituzione sociale ingombrante perchĂŠ nata prima e dalla quale il principe non può prescindere. Allâinizio del nostro volume abbiamo insistito su un potere politico incompiuto che non ci siamo sentiti di qualificare âStatoâ per evitare equivoci falsanti, perchĂŠ si trattava di un potere che doveva fare i conti con una realtĂ enorme, sovrastante: lâarticolatissima societĂ medievale.
Ecco. Nel Trecento anche il macro-soggetto pubblico ha qualche freccia in piĂš al suo arco. Tra le ragnatele che cominciano a essere lacerate ci sono anche quegli ampii tessuti universali di cui la civiltĂ medievale si era compiaciuta, la Santa Romana Chiesa e il Sacro Romano Impero, la prima con grosse pretese e con la forza derivante dal monopolio del sacro, il secondo ormai ridotto a creatura larvale ma che era pronto ad avanzar pretese quando sul trono imperiale sedeva un personaggio intraprendente. La dimensione politica è pienamente investita dal processo di liberazione delle individualitĂ , e dalla frantumata ragnatela prendono forma delle entitĂ politiche individue cariche di una volontĂ mai riscontrata prima. Non sono ancora degli Stati, ma degli embrioni di Stato. Siamo, però, certamente alle origini dello Stato moderno, allâinizio di un itinerario che, dâora in avanti, corre continuo verso il pieno statalismo sette-ottocentesco, che può essere adeguatamente fissato in questa immagine: sempre piĂš Stato, sempre meno societĂ .
3. Il principe e il diritto. In particolare, del regno di Francia: un laboratorio politico-giuridico della modernitĂ
Tra queste entitĂ politiche che affermano la propria indiÂvidualitĂ scrollandosi di dosso i pesanti mantelli universali spicca il regno di Francia, un vero laboratorio politico-giuridico, dove quello che sarĂ â di lĂŹ ...