II. Lâistruzione trasmessa
Con il sistema attuale
di educazione delle ragazze,
ogni genio che nasce donna
è perduto per il benessere
della collettivitĂ .
Stendhal, De lâAmour, 1822
Stendhal sapeva che i sistemi utilizzati per selezionare e promuovere gli individui possono infliggere danni enormi alla società . La scuola è uno di questi sistemi; essa può, ancora oggi, risultare inaccessibile a giovani di talento che molto potrebbero dare alla società , oltre che a se stessi. Essa può, piÚ in generale, ostacolare la mobilità economica e sociale.
Di questo si mostrò convinto, ad esempio, il primo ministro britannico, Tony Blair. In un discorso tenuto il 26 settembre del 2000, illustrando in modo lapidario e con molta enfasi la sua semplice ricetta contro il rischio del progressivo affievolirsi delle forze favorevoli alla mobilitĂ nel suo paese, disse che essa consisteva di ÂŤEducation, education, educationÂť. Questo lascia pensare che per Blair lâistruzione non fosse una delle cause della scarsa mobilitĂ , ma la sola causa.
Non è facile dire quanto questa ricetta scaturisse da unâapprofondita analisi della situazione in Gran Bretagna, riguardo sia allâintensitĂ del fenomeno sia alle sue cause. NĂŠ è facile dire se Blair fosse influenzato dagli economisti che si erano occupati del problema. Ma è certo che la sua ricetta coincide perfettamente con la principale o forse unica raccomandazione che scaturisce dai modelli economici piĂš in voga.
In quei modelli lâistruzione, che nel linguaggio poco sfumato degli economisti diventa capitale umano, è lâanello di congiunzione tra il reddito dei padri e quello dei figli, un anello di congiunzione molto potente ma, in apparenza, anche piuttosto facile da recidere. Dunque, lâistruzione è la causa del problema ma rappresenta anche la soluzione. Dobbiamo chiederci se le cose stiano proprio cosĂŹ, soprattutto nel nostro paese.
Il capitale umano a Immobilandia
A Immobilandia, come sappiamo, il destino dei figli è strettamente dipendente dal reddito dei genitori: Dora Belli è la povera della sua generazione come lo era, in precedenza, suo padre Toni; dâaltro canto, anche Dora Gentili e Dora Brutti si trovano sullo stesso gradino dei rispettivi padri, sebbene tutte le Dora godano di un reddito assoluto piĂš elevato.
Questo stato di cose, secondo le teorie basate sul capitale umano, potrebbe essere spiegato cosĂŹ: Toni Belli, essendo povero, ha dovuto comunicare a sua figlia che non avrebbe potuto continuare gli studi oltre la scuola dellâobbligo. Viceversa, gli altri due Toni, grazie ai loro redditi piĂš elevati, hanno potuto portare le proprie figlie al diploma (Gentili) e alla laurea (Brutti). Le tre Dora sono, cosĂŹ, giunte con diverse dotazioni di capitale umano sul mercato del lavoro. Qui, secondo queste interpretazioni, vige una regola abbastanza inflessibile: a istruzione piĂš elevata corrisponde un reddito piĂš elevato. Di conseguenza, sul gradino piĂš alto ci sarĂ Dora Brutti e su quello piĂš basso Dora Belli, come giĂ accadde per i rispettivi genitori.
Dunque, per sostenere che la trasmissione della disuguaglianza avviene per il tramite del canale rappresentato dal capitale umano sono necessarie due ipotesi. La prima richiede che il capitale umano dei figli dipenda dal reddito dei loro genitori; la seconda che il reddito dei figli sia determinato dal capitale umano che essi posseggono. Sono queste le due maglie della catena della trasmissione imperniata sullâistruzione. E sono queste le due ipotesi che si trovano nei modelli di trasmissione intergenerazionale dei redditi piĂš diffusi tra gli economisti.
Tali modelli portano a formulare le seguenti predizioni: piĂš diseguali sono i redditi dei genitori, piĂš diseguali saranno le dotazioni di capitale umano dei figli; inoltre, piĂš diseguali saranno queste dotazioni piĂš ampie saranno le distanze tra i redditi dei figli; infine, nelle famiglie con piĂš figli il grado di istruzione di ciascuno di essi tenderĂ a essere piĂš basso per i vincoli che pone il reddito.
Queste distanze dipendono, in realtĂ , anche da unâaltra variabile: il rendimento del capitale umano. Guardando ai redditi delle tre Dora, desumiamo che un diploma consente di ottenere un reddito superiore di 50 rispetto a quello che si ha fermandosi alla scuola dellâobbligo; inoltre, il vantaggio economico consentito dalla laurea rispetto al diploma è esattamente dello stesso ammontare.
Questi differenziali rappresentano, approssimativamente, il rendimento di gradi di istruzione via via piĂš elevati. Se crescesse il rendimento della laurea, il reddito di Dora Brutti â che è giĂ la piĂš ricca â crescerebbe ancora, con una duplice conseguenza: le disuguaglianze nella generazione dei figli si amplierebbero e, inoltre, la trasmissione intergenerazionale si farebbe piĂš intensa perchĂŠ ora una risorsa trasmessa (il titolo di studio, appunto) consente un reddito piĂš elevato.
Occorre verificare la soliditĂ delle due ipotesi sulle quali si fonda questa spiegazione. In questo capitolo mi occuperò dellâinfluenza del reddito familiare sul capitale umano, allâinterno di unâanalisi piĂš generale dei fattori che determinano il grado di istruzione dei figli. La discussione dellâipotesi sul ruolo assolutamente decisivo del capitale umano nel determinare i redditi è, invece, rimandata al capitolo successivo.
Lâidea che lâistruzione dei figli dipenda dal reddito familiare in questo modello dipende essenzialmente dallâipotesi che i poveri, anche se bravi, non possano accedere a forme di finanziamento che permetterebbero loro di acquisire una piĂš elevata (ma anche piĂš costosa) formazione. Ciò avviene se, come si ipotizza in questo modello, i mercati del credito funzionano in modo imperfetto e perciò non assicurano il finanziamento degli studi a coloro che da quegli studi potrebbero derivarne successi e vantaggi economici, ma che nellâimmediato non sono in grado di offrire garanzie di reddito o patrimoniali per il finanziamento richiesto.
Questa concezione può apparire ingiustificatamente restrittiva. Anche riconoscendo alla famiglia un ruolo decisivo nellâistruzione dei figli si potrebbe pensare che i fattori rilevanti siano altri.
Vi possono essere, innanzitutto, fattori di carattere genetico, la trasmissione, cioè, per via ereditaria di tratti che favoriscono o ostacolano il conseguimento di buoni risultati nella carriera scolastica. Non sono pochi coloro che ritengono decisiva la trasmissione genetica. Ad un breve approfondimento di questa importante questione è dedicato lâultimo paragrafo di questo capitolo.
Possono, poi, svolgere un ruolo i modelli culturali di riferimento della famiglia che molto probabilmente risultano collegati al livello e al tipo di istruzione dei suoi componenti. Nel modello economico trova riconoscimento un solo fattore che possiamo considerare, in senso lato, di carattere culturale: lâaltruismo dei genitori. Questâultimo è chiamato in causa perchĂŠ si assume che per investire nellâistruzione dei figli i genitori debbano rinunciare a consumare per se stessi e la misura in cui saranno disposti a farlo dipenderĂ , appunto, dal loro altruismo. Pertanto, genitori ugualmente ricchi ma diversamente altruisti avranno figli diversamente istruiti.
Inoltre, la rete di relazioni sociali in cui la famiglia è inserita può essere molto importante.
Tutti questi fattori sono scarsamente considerati nel modello economico del capitale umano, dove il reddito è decisivo e lo è perchĂŠ la mancanza di risorse monetarie costituisce il vincolo principale allâistruzione dei figli. Dunque, un reddito piĂš elevato permetterebbe di superare questo vincolo. Ma la considerazione degli aspetti genetici, dei valori culturali e delle relazioni sociali non necessariamente smentisce lâipotesi che vi sia un legame tra reddito dei genitori e istruzione dei figli. Potrebbe accadere, infatti, che siano forti le correlazioni che legano quelle variabili al reddito dei genitori e, quindi, il legame potrebbe essere confermato anche se non è allâopera soltanto il meccanismo ipotizzato nel modello economico. Per questo è particolarmente interessante esaminare quanto emerge dalle analisi empiriche sulle determinanti dellâistruzione dei figli.
Figli istruiti di genitori istruiti
La variabile con la quale il titolo di studio dei figli è maggiormente correlato è il grado di istruzione dei genitori (o quello piÚ elevato posseduto dai due genitori).
Ciò vale praticamente in tutti i paesi avanzati e, in modo particolare, in quelli europei dellâarea mediterranea, tra i quali vi è, naturalmente, lâItalia (Hertz et al. 2007; Gabriele e Raitano 2008).
Nel nostro paese lâelevata correlazione è il risultato dellâinfluenza che il titolo di studio dei genitori manifesta a ogni snodo della carriera scolastica dei figli: nella scelta della scuola media superiore da frequentare, nei successivi tassi di abbandono, nella decisione di iscriversi allâuniversitĂ e nel successo nel conseguimento della laurea, una volta iscritti.
Lâeffetto del cumularsi di queste differenze è notevole e si manifesta, al termine del processo, nella ben piĂš elevata probabilitĂ di laurearsi che hanno i figli dei laureati. Con riferimento a coloro che sono nati negli anni â70, si osserva che il 65% dei figli di laureati conseguono la laurea, mentre ciò avviene per il 31% dei figli di diplomati, per il 16% di chi ha un padre con istruzione secondaria inferiore e soltanto per il 10% di chi ha un padre con un titolo di studio ancora inferiore (Gabriele e Raitano 2008). Questo, naturalmente, vuol dire che percentuali molto alte di figli di non laureati si fermano a stadi precedenti del percorso formativo e questo fatto è sufficiente di per sĂŠ a giustificare lâaffermazione che lâistruzione dei figli è fortemente dipendente da quella dei padri.
Osservare le dinamiche di questi fenomeni su orizzonti temporali lunghi aiuta a comprendere se questa dipendenza sia sempre stata forte o se vi sono state fasi, nella storia del nostro paese, durante le quali essa si è attenuata.
Se si confrontano le generazioni nate tra il 1915 e il 1919 con quelle nate tra il 1975 e il 1979 emerge che il numero di anni medi di istruzione è molto cresciuto, passando da 4,4 a 11,4. Queste tendenze si iscrivono perfettamente in una delle ÂŤrivoluzioniÂť avvenute nel mondo occidentale nel secolo scorso: secondo lâOcse, tra inizio e fine secolo il numero medio di anni dedicato a istruirsi è passato da circa 8 a 18 anni in Usa; da 7 a 16 in Francia; da poco piĂš di 5 a circa 15 in Giappone. Dâaltro canto, gli iscritti allâuniversitĂ sono passati da 500 mila a oltre 100 milioni.
Cambiamenti di queste dimensioni non sono privi di effetti sul fenomeno che a noi interessa. Il 31,4% dei nati nel periodo 1915-1919 non possedeva alcun titolo di studio â e questo serve anche a ricordarci che non è passato moltissimo tempo da quando eravamo un paese di analfabeti. Oggi â e mi riferisco per la precisione ai nati tra il 1975 e il 1979 â la percentuale di analfabeti è praticamente azzerata. Tra il 1915 e il 1975 coloro che avevano soltanto la licenza elementare sono scesi dal 52,1% al 2,8%, mentre i possessori di diploma sono cresciuti, quasi parallelamente, dal 4,2 al 50,8%.
Un fattore decisivo in questi sviluppi è stato, certamente, lâeffettivo rispetto della scuola media dellâobbligo; infatti, i dati assumono un ben diverso andamento a partire dai primi anni â60.
Mentre si svolgevano questi processi lâinfluenza del titolo di studio dei padri su quello dei figli si è, naturalmente, indebolito: molti genitori con titoli di studio bassi hanno visto i propri figli diplomarsi o anche, ma meno di frequente, laurearsi. Ciò ha determinato una sorta di mobilitĂ assoluta ascendente nellâistruzione e ha fatto sĂŹ che le distanze tra i figli dei poco istruiti e quelli dei diplomati o laureati si riducessero rispetto a quelle che vi erano tra i rispettivi genitori. Il freno esercitato dallâistruzione dei genitori si è, dunque, allentato e ciò trova puntuale conferma nellâabbassamento del coefficiente di trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza nei titoli di studio. Nel 1910 a ogni anno in piĂš di istruzione del padre corrispondevano 0,66 anni in piĂš di istruzione dei figli; nel 1975 questo coefficiente era piĂš che dimezzato, essendo pari a 0,315 (Checchi et al. 2006).
Questo allentamento è, in larga parte, dovuto allâintroduzione della scuola dellâobbligo, che certamente ha costituiÂto un potente fattore di mobilitĂ nella parte bassa della distribuzione. Ma è anche dovuto sia alla tendenziale crescita dei redditi, che ha permesso a famiglie poco istruite di affrontare i costi di una prolungata istruzione dei propri figli, sia allâattrattiva, almeno in alcune fasi, dei rendimenti promessi da unâistruzione piĂš elevata. Un ruolo non secondario può avere avuto anche lâaffermarsi, in determinati periodi, di modelli culturali che riconoscevano un valore elevato, e non soltanto per motivi economici, allâistruzione. In breve, il vincolo dellâistruzione familiare non sempre è stato ugualmente stringente e non sempre è stato di decisiva importanza.
Oggi il problema principale riguarda il conseguimento della laurea da parte di chi proviene da famiglie di non laureati. Il fenomeno non è di origine recente. Confrontando i nati nella seconda metĂ degli anni â10 con i nati nella seconda metĂ degli anni â70, risulta che la quota di laureati è cresciuta ma non in modo impressionante: dal 2% al 10,1%. La significativa mobilitĂ intergenerazionale nei titoli di studio che si è avuta nel nostro paese si è, sostanzialmente, fermata alle soglie dellâuniversitĂ .
Il fatto che solo una piccola percentuale dei figli di non laureati si laurei ha molteplici conseguenze negative: frena la mobilitĂ verso lâalto, impedisce che si riduca la disuguaglianza nei titoli di studio e tiene basso il numero dei nostri laureati. A questâultimo pr...