Antologia
Lâira e la contesa
Ă nel celebre proemio dellâIliade che fa la sua prima comparsa sulla scena della letteratura greca il re Agamennone, figlio di Atreo e signore di Argo e di Micene, nelle sue vesti di comandante supremo dellâesercito greco allâassedio di Troia. Non Ăš unâimmagine positiva quella che viene tratteggiata allâinizio: Omero, infatti, dĂ avvio al poema raccontando come tra lâAtride e Achille sia scoppiata una contesa foriera di terribili sventure. Causa scatenante, lâoffesa inferta proprio da Agamennone a Crise, il sacerdote di Apollo giunto alle navi dei Greci per riscattare la figlia prigioniera, Criseide. Il sovrano, infuriatosi per la richiesta e non volendo restituire la giovane che ha deciso di tenere con sĂ© come concubina, caccia violentemente lâanziano sacerdote minacciandolo di morte. Di qui, la vendetta di Apollo con una pestilenza che si abbatte sullâaccampamento acheo per dieci giorni, fino a quando Achille non raduna lâesercito in assemblea e consiglia di interrogare lâindovino Calcante perchĂ© riveli finalmente il motivo dellâira divina.
Lâira cantami, dea, di Achille figlio di Peleo, lâira funesta che ha inflitto agli Achei infiniti dolori, che tante anime di eroi ha gettato nellâAde, tanti corpi ha dato in pasto a cani ed uccelli. Si compiva cosĂŹ il piano di Zeus dal momento in cui la contesa divise fra loro Agamennone, signore dei popoli, e il divino Achille.
Ma chi mai, fra gli dĂši, li provocĂČ alla rissa? Fu il figlio di Zeus e di Latona che, irato con Agamennone, seminĂČ tra lâesercito una malattia mortale; e i soldati morivano perchĂ© il figlio di Atreo aveva offeso il sacerdote Crise, che era venuto alle veloci navi dei Danai per liberare sua figlia con molti doni; avvolta intorno allo scettro dorato portava la bianca benda di Apollo, signore dellâarco, e supplicava tutti gli Achei ma soprattutto gli Atridi, condottieri di eserciti:
«Figlio di Atreo, e voi, Achei dalle belle armature, io spero che gli dÚi che in Olimpo hanno dimora vi concedano di distruggere la città di Priamo e di tornare felicemente a casa; ma liberate mia figlia, accettate i doni di riscatto e abbiate rispetto di Apollo, il signore dei dardi, figlio di Zeus».
Approvarono a una voce tutti gli Achei: il sacerdote fosse onorato, si accettassero gli splendidi doni. Ma la cosa non piacque al figlio di Atreo, Agamennone, che lo scacciĂČ brutalmente con minacciose parole: «Che non ti colga piĂč, vecchio, presso le concave navi, non osare fermarti ora e non ritornare piĂč tardi; a nulla ti serviranno lâinsegna e lo scettro del dio. Non libererĂČ tua figlia: invecchierĂ prima ad Argo, nella mia casa, lontano dalla sua patria, lavorando al telaio e dividendo il letto con me. Vattene, ora, e non mi irritare, se vuoi salva la vita».
Disse, obbedĂŹ il vecchio atterrito. In silenzio si avviĂČ lungo la riva del mare sonoro; ma poi, in un luogo appartato, fervidamente pregava Apollo, il dio sovrano, figlio di Latona dai bei capelli:
«Ascoltami, dio dallâarco dâargento, che proteggi Crisa e la divina Cilla, che regni su Tenedo, Sminteo, se ti Ăš gradito il tempio che un giorno ho costruito per te, se per te ho bruciato grasse cosce di tori e di capre, esaudisci questo mio desiderio: fa scontare le mie lacrime ai Danai con le tue frecce».
CosĂŹ pregava, e Febo Apollo lâudĂŹ. Scese dalle vette dellâOlimpo, il cuore gonfio dâira; sulle spalle portava lâarco e la faretra chiusa da entrambe le parti; risuonavano i dardi sulle sue spalle mentre avanzava in preda alla collera; veniva avanti, simile alla notte. Si fermĂČ lontano dalle navi e scagliĂČ una freccia: lâarco dâargento emise un suono sinistro; prima colpĂŹ i muli e i cani veloci, ma poi lanciĂČ il dardo acuto mirando agli uomini. Fitti e senza tregua ardevano i fuochi dei roghi. Per nove giorni volarono per il campo le frecce del dio. Il decimo giorno Achille raccolse lâesercito in assemblea. Hera, la dea dalle bianche braccia, gli ispirĂČ questo consiglio, soffriva per gli Achei che vedeva morire. Quando furono tutti raccolti e riuniti, fra di loro si alzĂČ a parlare Achille dai piedi veloci: «Figlio di Atreo, penso che ora davvero dovremo tornarcene indietro, se mai sfuggiremo alla morte, se guerra e peste insieme non piegheranno gli Achei. Interroghiamo un profeta, un sacerdote, uno che interpreta i sogni â il sogno Ăš inviato da Zeus â che ci riveli perchĂ© Febo Apollo Ăš tanto adirato â se Ăš per un voto o per unâecatombe non compiuta â e se vorrĂ accettare lâofferta degli agnelli e delle capre piĂč belle e allontanare da noi questo flagello».
La discesa nellâAde
Siamo nellâXI libro dellâOdissea, quello dedicato alla nekyia, la catabasi di Odisseo nel regno degli Inferi, laddove, su consiglio della maga Circe, lâeroe di Itaca Ăš disceso per interrogare lâindovino Tiresia sul suo futuro, sullâagognato ritorno negli amati lidi dellâisola natia, dalla moglie Penelope e dal figlio Telemaco. Lungo il cammino, egli incontra le anime di alcuni dei piĂč valorosi compagni che combatterono sotto le mura di Troia: Achille, definito come il piĂč felice degli uomini quandâera in vita e ora come il piĂč potente tra i morti e che invece preferirebbe essere un uomo qualsiasi piuttosto che trovarsi a dominare sulle ombre dei defunti; e Agamennone, con il quale Odisseo si intrattiene in un amaro dialogo sul tema del destino. LâAtride narra i fatti luttuosi che lo hanno visto protagonista, il tradimento e lâuccisione per mano della moglie Clitemnestra e del suo amante Egisto, rivelando allâeroe che lo interroga come il suo nostos fra i vivi non sarĂ ugualmente funesto: lâonesta Penelope non gli darĂ la morte.
Quando la dea Persefone ebbe disperso le anime delle donne, da una parte e dallâaltra, giunse lâanima afflitta di Agamennone figlio di Atreo. E intorno gli si stringevano quelle che insieme a lui nella dimora di Egisto incontrarono la morte e il destino. Non appena mi vide, subito mi riconobbe; e amaramente piangeva, versando lacrime fitte, e tendeva le braccia verso di me, voleva abbracciarmi. Ma non aveva piĂč la forza e il vigore di prima nelle sue agili membra. Piansi, vedendolo, provai pena nel cuore e rivolto a lui gli dissi queste parole: «Glorioso figlio di Atreo, Agamennone, signore di eroi, quale destino di morte crudele ti ha vinto? Poseidone ti ha forse travolto, insieme alle navi, dopo aver suscitato unâorrenda tempesta di venti? O a terra ti uccise gente nemica, mentre rubavi dei buoi o greggi di pecore belle? O mentre ti battevi per una cittĂ , per le sue donne?»
CosĂŹ dissi, e subito egli rispose: «Divino figlio di Laerte, Odisseo ricco dâingegno, no, non fu Poseidone a travolgermi insieme alle navi dopo aver suscitato unâorrenda tempesta di venti, nĂ© sulla terra mi ha ucciso gente nemica: Egisto ha costruito il mio destino di morte, Egisto insieme alla mia sposa malvagia, dopo avermi invitato a casa, a banchetto, come si uccide un toro alla greppia. Questa Ăš stata la mia tristissima morte. E intorno a me cadevano uno dopo lâaltro i compagni, come porci dalle bianche zanne che in casa di un uomo ricco e potente vengono uccisi per una festa di nozze, o un pranzo in comune, o un ricco banchetto. Alla strage di molti guerrieri fosti presente, uccisi in duello o nella battaglia violenta: ma molto di piĂč avresti pianto vedendo quello scempio, noi che giacevamo nella sala, intorno alla grande coppa del vino e alle tavole imbandite, e tutto il pavimento fumava di sangue. Udii il grido straziante della figlia di Priamo, Cassandra, che sul mio corpo la perfida Clitemnestra uccideva. E io, dalla spada trafitto, morendo, colpivo la terra con le mie mani, ma quella cagna si allontanĂČ da me e mentre scendevo nellâAde non volle chiudermi gli occhi e la bocca. Nulla câĂš di piĂč odioso e infame di una donna che nella mente concepisce tali misfatti, come lei che un orrendo delitto tramĂČ dando la morte allo sposo. E io pensavo che sarei ritornato a casa per la gioia dei figli, dei servi. Ma lei, che conobbe la perfidia piĂč grande, di vergogna ha coperto se stessa e tutte le donne che verranno dopo, anche se oneste».
CosĂŹ disse, e io cosĂŹ gli risposi: «AhimĂš, tremendamente Zeus, signore del tuono, ha odiato la stirpe di Atreo, perseguitandola con trame di donna, fin dal principio. A causa di Elena siamo morti in tanti. E a te questâinganno ordĂŹ Clitemnestra, mentre eri lontano».
Dissi cosĂŹ, e subito lui mi rispose: «E dunque anche tu non essere buono con la tua sposa, non confidarle tutto quello che sai, dille una cosa, unâaltra nascondi. Ma a te, Odisseo, non darĂ morte la sposa: Ăš molto accorta, pensieri assennati ha nellâanimo la figlia di Icario, la saggia Penelope. Era giovane quando noi la lasciammo, partendo per la guerra; aveva al petto un bambino che ora certo siede tra gli uomini. Giovane fortunato! Il padre lo vedrĂ al suo ritorno e lui potrĂ abbracciare suo padre, cosĂŹ comâĂš giusto. Ma la mia sposa non ha lasciato che mi saziassi gli occhi guardando mio figlio; prima che lo vedessi mi ha ucciso. E unâaltra cosa ti voglio dire, tu imprimila nella tua mente: la nave, falla approdare alla tua terra di nascosto, non in modo palese: delle donne non bisogna fidarsi. Ma ora dimmi questo, e parla sinceramente: Ăš ancora vivo mio figlio, e dovâĂš, forse a Orcomeno, o a Pilo sabbiosa o presso Menelao nella grande cittĂ di Sparta? PerchĂ© certo non Ăš morto ancora, su questa terra, il divino Oreste».
CosĂŹ disse, e io cosĂŹ gli risposi: «Figlio di Atreo, perchĂ© me lo domandi? Se Ăš vivo o morto, non so; non Ăš bene fare chiacchiere inutili». CosĂŹ noi scambiavamo tristi parole, con lâanimo afflitto, versando molte lacrime.
Il sacrificio di Ifigenia
Nei seguenti versi, esempio mirabile di armonia tra forza emotiva e arte poetica, vengono narrate, nella cornice del canto dâingresso del Coro dellâAgamennone, prima delle tre tragedie componenti la trilogia eschilea dellâOrestea, le dolorose vicende riguardanti il sacrificio di Ifigenia, la figlia dellâAtride immolata allâaltare della guerra. Ă questa, infatti, la volontĂ del...