Antologia
La nascita a Delo
L’Inno omerico ad Apollo fu composto con ogni probabilità per le feste Delio-Pitiche istituite da Policrate, tiranno di Samo, nella seconda metà del VI secolo a.C. Nelle intenzioni di Policrate la nuova festività doveva onorare il dio celebrando i due momenti più importanti del suo mito: la nascita a Delo e la fondazione dell’oracolo di Delfi. L’Inno, di conseguenza, si articola in due sezioni (delia e pitica), legate da uno stretto rapporto di corrispondenza e simmetria.
I vv. 1-24 sono l’esordio della sezione delia. Il poeta ricostruisce il primo arrivo del nuovo dio nel palazzo di Zeus, dove gli altri dèi sono riuniti a banchetto. Il terrore che la vista di Apollo suscita in tutti ha una valenza “didattica”: allude infatti al timore che gli uomini devono provare davanti alla potenza misteriosa del dio arciere. Nei versi successivi il poeta, applicando uno schema retorico molto diffuso nella letteratura antica, si chiede – fingendosi esitante – quale tema debba cantare, tra i molti possibili. Anche qui si coglie un’allusione alla vastità dei poteri di Apollo, che controlla ogni luogo e ogni spazio. Ortigia è un altro nome di Renea, l’isoletta rocciosa (vicinissima a Delo) dove secondo la tradizione Letò avrebbe partorito Artemide.
Apollo, il dio arciere, io voglio cantare.
Davanti a lui tremano gli dèi nella casa di Zeus;
al suo arrivo, balzano in piedi
tutti dai seggi, quando tende l’arco luminoso.
Solo Letò resta accanto a Zeus, signore del fulmine:
scioglie la corda e chiude la faretra,
con le sue mani gli toglie dalle forti spalle
l’arco e lo appende alla colonna del padre,
a un chiodo d’oro; poi lo fa sedere su un trono.
Il padre gli offre nettare in una coppa d’oro,
salutando suo figlio; gli altri dèi allora
tornano ai loro posti, e si rallegra la veneranda Letò,
perché ha partorito un figlio forte, armato d’arco.
Salve, beata Letò: hai generato splendidi figli,
il signore Apollo e Artemide saettatrice;
hai partorito lei in Ortigia e lui in Delo rocciosa,
sdraiandoti sotto l’alto monte, la cima del Cinto,
vicino alla palma, lungo le acque dell’Inopo.
Come ti canterò, se mille sono i tuoi inni?
Dovunque infatti per te c’è materia di canto, Febo,
sia sulla terra nutrice di armenti sia nelle isole.
A te sono care tutte le rupi e le alte vette
dei monti eccelsi, e i fiumi che si versano in mare
e le scogliere a strapiombo e i golfi marini.a
I vv. 115-148 raccontano il parto di Letò, che dopo avere a lungo peregrinato (e avere subìto una serie di ripulse) ha infine trovato accoglienza a Delo. La nascita di Apollo è presentata come un evento cosmico: il nuovo dio rivela, fin dai suoi primi istanti di vita, una forza incontenibile, capace di sconvolgere gli equilibri preesistenti. Le dee che si prendono cura del neonato sono venute a Delo, lasciando l’Olimpo, per manifestare la loro solidarietà a Letò e darle assistenza. L’isola, gratificata dall’onore che le è stato accordato, cambia il suo aspetto: la trasformazione fisica è il simbolo di un rinnovamento profondo. Il nuovo ruolo di Delo, centro della religione apollinea, è alluso anche negli ultimi versi, che descrivono la grande festa celebrata ogni anno dagli Ioni.
Quando Ilizia, la dea che propizia il travaglio, arrivò a Delo,
Letò fu presa dalle doglie e si preparò a partorire.
Cinse con le braccia la palma, puntò le ginocchia
sul soffice prato, e sorrise la terra di sotto:
il dio uscì fuori alla luce, e le dee lanciarono un grido.
Poi, Febo divino, le dee ti lavarono con acqua limpida,
purificatrice; ti avvolsero in un drappo bianco,
sottile e puro: lo strinsero con un nastro dorato.
Apollo dalla spada d’oro non succhiò il latte materno,
ma Temi gli versò con le mani immortali il nettare
e l’ambrosia squisita: Letò era piena di gioia,
perché aveva generato un figlio forte, armato d’arco.
Ma quando fosti sazio, Febo, del cibo immortale,
i nastri dorati non contenevano più i tuoi sussulti,
né ti trattenevano le fasce; si sciolsero tutti i legami.
E subito Febo Apollo disse alle immortali:
«Mi saranno cari l’arco ricurvo e la cetra,
e rivelerò agli uomini l’infallibile volontà di Zeus».
Disse così; e poi si incamminò sull’ampia terra
Febo, l’arciere dai capelli mai recisi; erano attonite
tutte le immortali, e l’intera Delo si copriva d’oro,
contemplando il figlio di Zeus e di Letò,
piena di gioia, perché il dio fra tutte le isole e le terre l’aveva scelta
come sua casa e l’aveva preferita nel cuore:
fioriva d’oro come la cima di un monte si copre di gemme.
E tu, signore dall’arco d’argento, Apollo arciere,
ora salivi sul Cinto roccioso,
ora vagavi per le isole e in mezzo agli uomini.
Molti templi ti sono cari, e sacri boschi ricchi
di alberi, tutte le rupi e le alte vette
dei monti eccelsi, e i fiumi che si versano in mare:
ma tu, Febo, prediligi nel cuore soprattutto Delo,
dove gli Ioni dai lunghi chitoni si riuniscono in tuo onore,
insieme ai figli e alle nobili spose.b
I vv. 356-374 fanno parte della sezione pitica e descrivono l’uccisio...