Eracle
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Eracle

L'eroe più popolare

Salvatore Nicosia, Luigi Marfé, AA.VV., Salvatore Nicosia, Salvatore Nicosia

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L'eroe più popolare

Salvatore Nicosia, Luigi Marfé, AA.VV., Salvatore Nicosia, Salvatore Nicosia

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Non legato a una città o a una stirpe, Eracle (divenuto Hercules nel pantheon romano) è in verità l'unico eroe "nazionale" dei Greci, il più popolare, il più raffigurato, il protagonista di miti innumerevoli. Dotato di una forza e di un coraggio eccezionali, va in giro da cittadino del mondo a liberare la terra dai mostri e gli uomini dalla soggezione a essi, a sterminare gli animali che devastano il territorio dell'uomo, a eliminare malfattori, sacrileghi, tracotanti, a ristabilire la giustizia violata. È un benefattore e un civilizzatore (si deve a lui l'istituzione delle Olimpiadi), ma è anche violento, distruttivo, portato all'eccesso e alla dismisura. Conosce anche le cocenti sconfitte, l'ingiusta persecuzione della dea Hera nei suoi confronti, l'abisso del dolore nel momento in cui uccide senza volerlo la moglie e i figli. La compresenza, anche varia e discorde, di tanti aspetti dell'esistenza umana trova il suo sigillo positivo nell'assunzione tra gli dèi dell'Olimpo, un destino a lui riservato, unico fra gli eroi.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714664
Categoría
History

Il racconto del mito

Le sculture che decorano i portali del Palazzo imperiale di Vienna, eseguite nel 1730 dallo scultore veneto Lorenzo Mattielli, raffigurano le fatiche di Eracle, in questo particolare impegnato a uccidere l’Idra, il mostro protagonista della seconda delle sue fatiche.
Le sculture che decorano i portali del Palazzo imperiale di Vienna, eseguite nel 1730 dallo scultore veneto Lorenzo Mattielli, raffigurano le fatiche di Eracle, in questo particolare impegnato a uccidere l’Idra, il mostro protagonista della seconda delle sue fatiche.

Una breve (ma necessaria) premessa

I Greci, portatori di un patrimonio mitico sterminato, non hanno – fortunatamente – il libro della mitologia: vale a dire che non hanno né un’ortodossia mitica né – per gli stretti legami tra i due ambiti – un’ortodossia religiosa. Questo semplice dato sta a fondamento di molti tratti costitutivi della civiltà greca: dinamismo culturale, sviluppo del pensiero filosofico e scientifico, sperimentazione innovativa, mobilità del sapere religioso ed etico, laicità della politica, appaiono essenzialmente, o in misura rilevante, riconducibili a questa assenza del libro di verità.
La mitologia come insieme di mythoi, cioè di racconti tradizionali, leggende, storie straordinarie concernenti le antiche vicende degli dèi e degli “eroi” accreditati di varia frequentazione con essi, non è né l’elaborazione di un singolo né il portato di una rivelazione, bensì una creazione collettiva che si dispiega nel tempo, un patrimonio aperto, mobile e modificabile, alla cui costituzione e riformulazione può concorrere chiunque e al quale chiunque può attingere: poeti, narratori, artisti, gruppi sociali, comunità, nonne e contastorie. Trasmessi oralmente, e passibili di modifica, integrazione e reinvenzione anche dopo che si incomincia a conferirgli una qualche stabilità fissandoli nella scrittura, assunti da autori dotti (piccoli e grandi) che di alcuni colgono e sviluppano le potenzialità poetiche, i miti sono cuore e sostanza di ogni forma di creazione artistica, verbale e visuale.
Di questo immenso patrimonio, i racconti concernenti Eracle sono una parte non irrilevante, per numero e varietà di temi, e per diffusione spaziale. Mettere ordine – logico e cronologico –, con i nostri parametri e con le nostre cognizioni geografiche, in questa stratificata congerie di racconti creati in tempi e spazi distanti, per finalità e interessi differenziati, e con significati e strumenti espressivi diversi, sarebbe impresa disperata, oltre che erronea. Vi si sono cimentati i mitografi – in primis Apollodoro, il più autorevole fra quelli a noi pervenuti –, che nel tentativo di recuperare nei vari miti eraclei un’illusoria e impossibile congruenza sequenziale, li hanno incastrati in una narrazione continua, approdando – ciascuno nel proprio sistema – a insormontabili contraddizioni, a ricostruzioni razionalizzanti, o “evemerizzanti”, e sottoposte a una “logica” che non è applicabile alla mitologia: pena il rischio di smarrirne il senso.
Per parte nostra, abbiamo dovuto procedere a una ineludibile selezione della vastissima materia, con l’obiettivo di fornire un’idea essenziale ma compiuta del personaggio e della sua saga mitica. Partiti da quello che ne è il nucleo fondamentale (le “dodici fatiche”), abbiamo sottoposto i più significativi degli altri mille labores (Virgilio, Eneide, VIII, 291) a un’aggregazione per tipologia di intervento: riservando soltanto a qualche segmento (in particolare gli eventi estremi della vita di Eracle) la narrazione continua se e in quanto consentita dalla perspicuità e concordanza delle fonti.

L’eroe più popolare

Nato dall’unione di Zeus, padre degli dèi e degli uomini, con Alcmena, una donna mortale, l’eroe Eracle è, in assoluto, il personaggio più popolare di tutta la mitologia greca, divinità comprese. Eroe panellenico non legato a una località della Grecia ma a tutte, protagonista non di una vicenda mitica ma di cento, testimoniato non da un solo autore ma da moltissimi, a partire da Omero, non circoscrivibile a un solo aspetto dell’esistenza umana ma a molti, Eracle attraversa tutte le epoche della grecità all’interno di una continua e ininterrotta rielaborazione, reintegrazione e reinvenzione della saga mitica che lo riguarda. Non stupisce perciò che nel grande Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae siano censiti, tra statue, busti, erme, rilievi, pitture vascolari, maschere, gemme, monete, amuleti, mosaici, di età greca e romana, raffiguranti l’eroe infante, giovinetto, maturo, invecchiato, solo o con altri uomini e dèi, nudo o equipaggiato di arco, clava e pelle di leone, come atleta, simposiaste, mystes, musikós, sacrificante, amoreggiante, avvinazzato, combattente (la maggior parte) uomini e fiere, morente, assunto in cielo, qualcosa come 4055 reperti archeologici: una popolarità e varietà che non si sognano né il padre Zeus né la di lui sposa Hera, l’irriducibile persecutrice dell’eroe (rispettivamente 1395 e 526 reperti).
A voler ridurre a unità, mutilandolo, un personaggio complesso e composito, si può isolare come suo connotato fondamentale una struttura fisica possente, una forza erculea appunto, un vigore, un coraggio e un’aggressività straordinari messi al servizio delle cause più disparate.

Nascita e formazione

Già le vicende del suo concepimento e della sua nascita si collocano ai limiti dell’umano. Si narrava infatti che all’interno della coppia dei neosposi Anfitrione e Alcmena, lui erede del regno di Tirinto temporaneamente fuoruscito a Tebe, lei figlia appunto del re di Tebe Elettrione, fosse riuscito a insinuarsi dolosamente Zeus, non nuovo a simili comportamenti: approfittando dell’assenza di Anfitrione – impegnato in una guerra contri i Teleboi – e forte della sua facilità metamorfica, si presentò alla bellissima e ancora casta Alcmena sotto le sembianze del marito, e si giacque con lei. Non contento di questo doloso accoppiamento, ottenne anche che il Sole non sorgesse e che quella notte durasse quanto tre notti, dilatando l’amplesso a dismisura e creando così un precedente che sarà invocato da qualche poeta ellenistico per i suoi amori di scarso rilievo mitico, quando non addirittura prezzolati.
L’inopinato ritorno di Anfitrione all’alba, vittorioso sui Teleboi, e giustamente impaziente di salire sul talamo, complica la situazione: dal rinnovato amplesso, e dal duplice concepimento, l’umano e il divino, nascono due gemelli diversissimi: quanto Alceo (“il Forte”) – non ancora Eracle, ma col nome del nonno – è robusto, coraggioso e spavaldo, tanto Ificle è umanamente fragile e spaurito. La diversa condizione genetica dei due gemelli si manifestò in tutta la sua evidenza nell’episodio dei due serpenti, architettato da Hera, alla quale ancora una volta non era sfuggito il comportamento fedifrago del marito, ed era corsa ai rimedi: avendo Zeus giurato che il bimbo in quel giorno nascituro «dal suo sangue» era destinato a regnare su Argo e i popoli vicini, si era affrettata a chiedere a Ilizia, la dea dei parti a lei soggetta, di ritardare l’imminente travaglio di Alcmena accelerando quello di una certa Nicippe: ne nacque, settimino, Euristeo, cugino (in realtà cugino del padre) di Eracle, e anch’egli – sia pure alla lontana (quattro generazioni) – «sangue di Zeus»: un personaggio che, come re di Argo, Micene e Tirinto, avrà nella saga eraclea un ruolo decisamente negativo.
Non contenta di aver privato Eracle della prospettiva di un regno prestigioso, Hera pensò di procedere alla soluzione finale: la notte stessa in cui i due bimbi appena nati riposavano nella culla, fece entrare nella stanza due grossi serpenti «bramosi di avvolgerli nelle loro avide mascelle»; ma il piccolo Eracle, «sperimentando per la prima volta la lotta» (Pindaro, Nemee, I, 42-43), li stringe alla gola nella ferrea morsa delle sue mani e li strozza, facendoli trovare a terra già uccisi ai genitori prontamente accorsi. Di fronte a un simile exploit i dubbi di Anfitrione e Alcmena cedettero il passo alla rassicurante certezza; l’indovino tebano Tiresia, da loro interrogato, aprì uno squarcio nel futuro del bimbo: libererà la terra e il mare da innumerevoli mostri, aiuterà gli dèi nella loro lotta contro i Giganti, sarà assunto nell’Olimpo dove avrà come sposa la dea Hebe (“la Giovinezza”). Ai genitori non rimase che essere fieri del privilegio ricevuto, e pensare all’educazione del bimbo.
Eroe panellenico non legato a una località della Grecia ma a tutte, protagonista non di una vicenda mitica ma di cento, testimoniato non da un solo autore ma da moltissimi, a partire da Omero, non circoscrivibile a un solo aspetto dell’esistenza umana ma a molti, Eracle attraversa tutte le epoche della grecità all’interno di una continua e ininterrotta rielaborazione, reintegrazione e reinvenzione della saga mitica che lo riguarda.
Fu un itinerario a tutto campo, con qualche incidente di percorso. La madre lo educò «come una giovane pianta in un giardino» (Teocrito, XXIV, 103), il padre Anfitrione gli insegnò a guidare i carri, e per altre discipline (lotta, pugilato, tiro con l’arco) frequentò maestri all’altezza del suo rango, e con grande profitto. Non così invece nell’educazione musicale, che pure gli fu impartita dal famoso musico e cantore Lino, figlio di una Musa e fratello di Orfeo. Infatti, irritato per le percosse ricevute – segno di scarsa predisposizione musicale – Eracle uccise il maestro con un colpo di cetra in testa (i documenti figurativi hanno rimediato a questo buco nero rappresentandolo spesso in rapita esecuzione musicale con i più vari strumenti). Preoccupato da un simile comportamento, Anfitrione gli fece cambiare aria, mandandolo a fare il mandriano. Nel nuovo contesto, Eracle crebbe e completò come meglio non si poteva il suo sviluppo corporeo e culturale: statura di quattro cubiti e un piede (poco più di due metri: ma Pindaro, Istmiche, IV, 53, lo dice «piccolo di figura, ma inflessibile d’animo»), forza sovrumana, occhi saettanti un bagliore di fuoco, infallibilità nel tiro con l’arco. L’eroe è pronto per imprese degne di un grande eroe.

Prime imprese e primo matrimonio

E difatti esercitava ancora l’attività di bovaro, ed era appena diciottenne, quando gli si presentò la prima occasione di mostrare il suo valore. Di ritorno dalla caccia, si imbatté negli araldi di Ergino, re dei Minii nella vicina Orcomeno, che venivano a riscuotere a Tebe il tributo di cento vacche all’anno, dovuto in forza di un antico patto. Approfittando di quell’incontro fortuito, Eracle mutilò gli araldi e gli appese al collo orecchie, naso e mani, che li portassero a Ergino e ai Minii come tributo. La guerra che ne seguì si risolse con la sconfitta dei Minii, l’uccisione di Ergino, e l’imposizione a Orcomeno di un tributo doppio da versare annualmente a Tebe. Fu in quella occasione che Anfitrione morì in battaglia, combattendo valorosamente, e che Creonte, re di Tebe, diede in sposa a Eracle, come riconoscimento del valore, la propria figlia maggiore Megara.
Il matrimonio si concluse tragicamente dopo pochi anni: in preda a un accesso di follia, provocato dall’implacabile Hera, Eracle uccise i suoi tre figli, e – nella versione della tragedia euripidea Eracle, incentrata su questo episodio – anche la sposa (in memoria di questa strage si celebravano a Tebe, testimone Pindaro, sacrifici e agoni annuali).
Recatosi al santuario oracolare di Apollo a richiedere un orientamento per la propria vita, ne ottenne dalla Pizia il nuovo nome da assumere: si chiamerà non più Alceo o Alcide (indicativo della discendenza), ma Heraklés, vale a dire “gloria di Hera”, o meglio – in considerazione dell’accanita ostilità della dea – “che ottenne gloria grazie a Hera”; dovrà poi stabilirsi a Tirinto/Micene presso il re Euristeo, mettersi al suo servizio e compiere le imprese che lui gli imporrà; sarà questo il suo viatico per la meritata immortalità.
Forze umane e divine si sono dunque scontrate attorno alla culla di Eracle. Anticipando la nascita di Euristeo, Hera ha fatto di costui il re del potente regno dell’Argolide; e mettendogli al servizio colui che, nei disegni di Zeus, doveva esserne il sovrano, ha ottenuto una vittoria totale sullo sposo infedele, che ha finito col far pagare carissima alla propria prole avventizia la prolungata notte d’amore con Alcmena.

Le “dodici fatiche”

Fra le sue innumerevoli imprese, un gruppo di dodici fu raffigurato nelle dodici metope del grande tempio di Zeus a Olimpia (ultimato nel 457 a.C.) favorendo, fra divergenze e incongruenze, la formazione di una sorta di canone (le cosiddette Dodici fatiche, in realtà “prove, imprese” – in coerenza con il significato del termine greco áthloi), che appare costituito solo in epoca ellenistica, ed enucleato con un certo ordine presso autori tardi. Sono imprese che Eracle, secondo la tradizione, compì al servizio di Euristeo, che gliele impose come prove difficili e quasi impossibili, ma che l’eroe riuscì sempre a trasformare in gesta gloriose. Alcune isolatamente sono note già a Omero, altre sono rappresentate nell’arte dell’VIII secolo prima ancora che nella letteratura, alcune sono ben documentate e popolarissime, altre appena accennate presso poche fonti, e poco raffigurate. Nel complesso, si ha l’impressione che queste dodici prove costituiscano il nucleo originario e più antico nell’ambito della debordante mitologia eraclea.
1. Il Leone di Nemea. La prima impresa di questo ciclo, e la più famosa a giudicare dalle innumerevoli rappresentazioni iconografiche, è l’uccisione del leone che abitava, cibandosi di uomini e animali, nel bosco di Nemea sacro a Zeus, dove lo aveva insediato la stessa Hera. Non si trattava di un normale leone, ma di una fiera invulnerabile, nata da Tifone ed Echidna, o dalla Luna, secondo altri. Eracle si mise alla sua ricerca, e lo trovò verso sera che rientrava, sporco di sangue, nella sua grotta a due uscite; sperimentata l’inefficacia dei dardi che non penetravano nel corpo del leone, lo seguì dentro la sua stessa grotta, dopo averne bloccato l’uscita secondaria, e lo uccise stringendogli con un braccio il collo in una morsa senza scampo. Procedette quindi a scuoiarlo, e a sistemarsi sulle spalle la pelle con la testa a fauci spalancate a guisa di elmo, quasi a volerne trasferire a sé la forza e l’invulnerabilità. Già equipaggiato di arco e frecce (dono di Apollo), l’originale “vestizione del guerriero” si completerà con la clava, che egli si procurerà sradicando con le sue mani un fronzuto oleastro sul monte Elicona. Gli capiterà occasionalmente di doversi servire di scudo e spada, ma sarà quella la “divisa” sua più caratteristica.
Il corpo del leone andò a consegnarlo, secondo i patti, a Euristeo. Il ricordo di questa, che è concordemente considerata la prima delle fatiche di Eracle, si è perpetuato per volontà di Zeus nella costellazione del Leone.
2. L’Idra di Lerna. Mostro acquatico dotato di un corpo informe e nove teste di serpente, otto ricrescenti al taglio, e una immortale, viveva a poca distanza da Argo nella palude di Lerna, luogo inquietante di acque sotterranee che veniva indicato come uno degli ingressi agli Inferi, e come il posto in cui le cinquanta Danaidi (tranne una) avevano consumato la decapitazione dei loro rispettivi mariti. Alla ricerca dell’idra, portatrice di un veleno così potente da uccidere con il solo alito, Eracle mosse in compagnia del fido Iolao, il figlio del fratello “debole” Ificle, che fungeva in questa e in altre avventure da compagno-aiutante dello zio. Dopo averla stanata a colpi di frecce infuocate dalla sua dimora nella palude, dovette affrontare, oltre a lei, un enorme granchio che gli si era attaccato al piede e lo tormentava. Se ne libera schiacciandolo (andrà a finire tra le stelle, come Cancro, per volontà di Hera riconoscente), e incomincia a mozzare le teste all’idra; ma poiché queste ricrescevano doppie, moltiplicandosi, escogitò di farle cauterizzare a Iolao, appena tagliate, con tizzoni ardenti; quella immortale, una volta staccata, la seppellì e vi collocò sopra un grande masso. Nel fiele del corpo squartato intinse le proprie frecce rendendole velenose: un atto che nel tempo avrà per lui conseguenze nefaste.
Eracle crebbe e completò come meglio non si poteva il suo sviluppo corporeo e culturale: statura di quattro cubiti e un piede (poco più di due metri: ma Pindaro, Istmiche, IV, 53, lo dice «piccolo di figura, ma inflessibile d’animo»), forza sovrumana, occhi saettanti un bagliore di fuoco, infallibilità nel tiro con l’arco. L’eroe è pronto per imprese degne di un grande eroe.
3. La Cerva di Cerinea. Come terza prova, Euristeo pretese che Eracle gli portasse viva una cerva sacra ad Artemide, straordinaria perché aveva le corna, e ancor più perché le aveva d’oro. Artemide l’aveva avuta in dono da Taigete, una Pleiade che la dea aveva sottratto alle mire di Zeus trasformandola temporaneamente in cerva, e che tornata al suo stato naturale si era disobbligata donandole quell’animale straordinario. Dimorava nei pressi di Cerinea (Acaia), ed era così veloce che nessuno poteva raggiungerla. Eracle la inseguì per un anno intero, fino al paese degli Iperborei, nell’estremo Nord (secondo altri la catturò, con minore escursione, per sfinimento, o con l’ausilio di una freccia non mortale). E fu proprio da quel paese «al di là dei soffi del freddo Borea» che Eracle portò con sé, oltre alla cerva, la pianta di oleastro perché fosse, a Olimpia «non fiorente di alberi belli» (Pindaro, Olimpiche, III, 31-32 e 23), la materia della corona olimpica nei giochi da lui istituiti.
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Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Salvatore Nicosia
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Luigi Marfé
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Eracle

APA 6 Citation

Nicosia, S., & Marfé, L. (2021). Eracle ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3165652/eracle-leroe-pi-popolare-pdf (Original work published 2021)

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Nicosia, Salvatore, and Luigi Marfé. (2021) 2021. Eracle. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3165652/eracle-leroe-pi-popolare-pdf.

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Nicosia, S. and Marfé, L. (2021) Eracle. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3165652/eracle-leroe-pi-popolare-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Nicosia, Salvatore, and Luigi Marfé. Eracle. [edition unavailable]. Pelago, 2021. Web. 15 Oct. 2022.