Einstein – Dalla relatività alle onde gravitazionali
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Einstein – Dalla relatività alle onde gravitazionali

Leonardo Gariboldi, AA.VV., Leonardo Gariboldi, Leonardo Gariboldi

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Albert Einstein è universalmente noto per la sua teoria della relatività, con la quale ha mostrato che lo spazio e il tempo non sono immutabili, che il tempo può rallentare e lo spazio diventare curvo. E che l'energia e la materia sono la stessa cosa. La relatività ha cambiato radicalmente il nostro modo di guardare all'universo e non cessa di essere il quadro di riferimento per nuove scoperte (come quella recente delle onde gravitazionali, da lui stesso previste). Ma il contributo di Einstein si estende molto oltre: dalla dimostrazione matematica dell'esistenza delle molecole e di nuovi stati della materia, al principio alla base del laser, fino alla scoperta della legge dell'effetto fotoelettrico, che gli valse il premio Nobel assegnatogli nel 1922.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714732
FOCUS

L’IMPORTANZA DI EINSTEIN

Per tutti, Albert Einstein è lo scienziato geniale per antonomasia. Dire “Einstein”, inoltre, equivale a dire “teoria della relatività”. Siamo pertanto certi che nessuno, nell’apprendere che Einstein è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica, venga colto di sorpresa. Chi altri, se non lui? A questo punto, verrebbe spontaneo pensare che Einstein sia stato premiato proprio per la teoria della relatività. La motivazione ufficiale, invece, recita «per i suoi servizi alla fisica teorica, e specialmente per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico». «I suoi servizi alla fisica teorica» possono voler dire tutto e il contrario di tutto, mentre è inequivocabile l’esplicito riferimento alla legge dell’effetto fotoelettrico.
L’effetto fotoelettrico – il fenomeno per cui, in condizioni opportune, la luce è in grado di far emettere una corrente elettrica da una lastra metallica da essa colpita – è alla base di molti dispositivi, dalle porte automatiche dell’ascensore ai pannelli fotovoltaici che rappresentano una parte significativa nelle nuove tecnologie di produzione delle cosiddette energie rinnovabili.
La legge dell’effetto fotoelettrico, formulata da Einstein nel 1905, si basa su un assunto rivoluzionario: la luce viene emessa e assorbita in quantità discrete, i quanti di luce (rinominati “fotoni” nel 1926). Gli studiosi di ottica prima, e di elettromagnetismo poi, avevano prodotto nell’Ottocento una potente teoria ondulatoria della luce che permetteva di descrivere con grandissima precisione i principali fenomeni ottici noti all’epoca: la riflessione, la rifrazione, la diffusione, la diffrazione e l’interferenza. Alcuni fenomeni studiati a partire dalla seconda metà del XIX secolo, però, resistevano a ogni tentativo di spiegazione secondo la teoria ondulatoria.
Per risolvere uno di questi problemi, nel dicembre del 1900 il suo connazionale Max Planck formulò l’ipotesi che l’energia delle molecole costituenti le pareti interne della cavità di un corpo nero (immaginiamolo come una sorta di forno dalle pareti opache e con una sola apertura estremamente piccola) non fosse una grandezza continua ma discreta. Si iniziò, così, a parlare di ipotetici quanti di energia; “ipotetici” perché per lo stesso Planck non erano altro che un trucco matematico non corrispondente a una reale entità fisica.
Einstein, invece, volle prendere l’ipotesi di Planck alla lettera e andò oltre: non solo l’energia delle molecole delle pareti interne del corpo nero era quantizzata, ma anche l’energia della radiazione emessa da queste molecole doveva essere discreta. Ammettendo, quindi, che esistessero i quanti di luce, Einstein poté descrivere alcuni fenomeni, come l’effetto fotoelettrico, che resistevano a ogni spiegazione con la teoria classica dell’ottica ondulatoria. Einstein evidenziò il fatto che in questi fenomeni la luce veniva assorbita o emessa dalla materia. La teoria ondulatoria classica, invece, continuava a descrivere alla perfezione i fenomeni nei quali la luce semplicemente si propaga nello spazio.
Nella fisica teorica, la proposta di Einstein dei quanti di luce pose le basi del problema del dualismo onda-corpuscolo, cioè il fatto che la luce può comportarsi, a seconda del fenomeno in gioco, o come un’onda oppure come un insieme di particelle. Il dualismo verrà in seguito esteso dal fisico e matematico francese Louis de Broglie anche a tutte le particelle elementari, diventando uno dei punti fermi della moderna visione della natura.
Intanto, fisici tra i più autorevoli si dichiararono contrari alla teoria dei quanti di luce, a iniziare dallo stesso padre dei quanti, Max Planck. Lo statunitense Robert Andrews Millikan, convinto oppositore dei quanti di luce, nel 1916 dimostrò sperimentalmente la validità della legge di Einstein ma continuò a non credere nella natura quantizzata della luce. Per ironia della sorte, il lavoro di Millikan contribuì notevolmente a orientare l’attribuzione nel 1922 del Premio Nobel a Einstein, ma anche di quello a Millikan nel 1923 «per il suo lavoro sulla carica elementare di elettricità e sull’effetto fotoelettrico».
La dimostrazione sperimentale dell’esistenza dei quanti di luce sarà data nel 1921 grazie agli esperimenti di Arthur Holly Compton, i cui risultati furono pubblicati nel 1923. Compton mostrò che, quando urtano un elettrone atomico, i quanti di luce agiscono proprio come se fossero particelle materiali dotate di energia e quantità di moto. Queste ricerche valsero anche a Compton il Premio Nobel per il 1927 «per la scoperta dell’effetto che porta il suo nome» e conclusero il lungo percorso di accettazione dei quanti di luce di Einstein da parte della comunità scientifica.

LE OPERE SCIENTIFICHE

La produzione scientifica e filosofica di Einstein comprende diverse decine di opere, anche di natura divulgativa. Andremo a vedere alcune delle opere tra le più significative, in un ordine quasi sempre cronologico, che meglio si presta a illustrarci lo sviluppo del suo pensiero in molti settori della fisica del Novecento.

LA TEORIA MOLECOLARE GENERALE DEL CALORE

Prima dell’annus mirabilis del 1905, le ricerche pubblicate da Einstein, a cominciare nel 1900 con le Conseguenze dei fenomeni di capillarità, riguardavano fenomeni intermolecolari e culminarono in una relazione sulle fluttuazioni di energia. L’opera di Einstein si poneva nel solco tracciato dalla Teoria del gas del fisico austriaco Ludwig Boltzmann con una trattazione statistica dei fenomeni termodinamici e dalla memoria dello scienziato scozzese James Clerk Maxwell Sul teorema di Boltzmann sulla distribuzione media di energia in un sistema di punti materiali.
Einstein considera un sistema fisico isolato descrivibile da un numero n di variabili indipendenti. La conoscenza di questo sistema fisico richiede di studiare come esso cambia nel tempo, per cui Einstein descrive il sistema con altrettante n equazioni che rappresentano le modalità di evoluzione nel tempo delle n variabili indipendenti. Se il sistema è di un qualche interesse dal punto di vista termodinamico, allora dobbiamo poter trovare delle formule che esprimano alcune grandezze come la temperatura o la pressione.
Una caratteristica dei sistemi isolati è che, dopo un certo intervallo di tempo, non potendo scambiare né materia né energia con l’ambiente esterno, essi diventano stazionari, cioè a livello macroscopico sembrano fermarsi: se c’è un fluido che all’inizio scorre all’interno, alla fine questa corrente si ferma; se c’è una differenza di temperatura tra le varie zone, con vari meccanismi essa diventa uniforme e non ci saranno più variazioni di temperatura; e così via. Questo a livello macroscopico, perché a livello microscopico le molecole costitutive del sistema continuano, invece, a muoversi.
Questa differenza di comportamento tra il livello macroscopico e quello microscopico di ogni sistema fisico richiedeva di accettare l’ipotesi che effettivamente la materia fosse costituita da molecole (etimologicamente “piccola massa di materia”). Nonostante la formulazione di una teoria atomica moderna da parte dell’inglese John Dalton già a partire dal 1803, e nonostante l’accumularsi di tutta una serie di evidenze empiriche a favore di una concezione atomistica della materia, non erano ancora state trovate prove definitivamente convincenti a suo favore. La teoria atomica, nel corso dell’Ottocento, si era dimostrata un utile strumento concettuale interpretativo dei fenomeni chimici, ma per la maggior parte degli scienziati non era una descrizione veritiera e realistica della natura. Ancora all’inizio del Novecento, autorevoli scienziati si opponevano vigorosamente all’ipotesi atomica.
L’opera di Einstein non si limita a usare le molecole come espediente per creare il modello di un sistema fisico, ma mira proprio a dimostrare l’esistenza delle molecole stesse provando così la verità dell’ipotesi di una struttura atomica della materia.
Per studiare i sistemi isolati, Einstein allontana la sua attenzione dal singolo sistema e suggerisce di studiare, invece, un insieme di N copie identiche del sistema e di trarre poi le conclusioni dalla media dei valori di interesse di tutti e N i sistemi considerati. Come caso particolare, Einstein studia cosa succede quando due sistemi sono messi a contatto e trova una formula che descrive la distribuzione degli stati di un sistema a contatto con un secondo sistema che contiene una quantità di energia “infinitamente” più grande.
Questa distribuzione, non sorprendentemente, mostra una dipendenza dalla temperatura del sistema infinitamente energetico. A partire da essa, Einstein riesce a dimostrare una relazione che descrive una grandezza dal nome un po’ lungo: il valor medio del quadrato della fluttuazione dell’energia (del primo sistema). “Il valor medio del quadrato” sono dettagli matematici, mentre la parola “fluttuazione” è quella che ci interessa: indica come varia il valore dell’energia da uno all’altro degli N sistemi identici che stiamo considerando. Tanto maggiore è la fluttuazione e tanto minore è la stabilità termica del sistema. La formula di Einstein della fluttuazione dell’energia contiene una costante fisica fondamentale, la costante di Boltzmann, che è pertanto determinante nella stabilità termica di un sistema fisico.

L’EFFETTO FOTOELETTRICO

Quando osserviamo un qualsiasi oggetto, la luce che ci giunge da esso può avere due origini: può provenire da una sorgente (il Sole, una lampada, una candela ecc.) che ha colpito l’oggetto e viene da esso riflessa nei nostri occhi, oppure può essere prodotta ed emessa direttamente dall’oggetto (un ferro incandescente, una lampada, una stella ecc.). Lo studio della luce emessa dalla materia attirò notevolmente l’interesse degli scienziati nella seconda metà dell’Ottocento e mise in evidenza come la luce emessa dipenda dalla natura chimica della sorgente. Usando questo fatto al contrario, fu possibile eseguire l’analisi chimica di un oggetto studiando la luce che emette.
Applicando questo studio della luce alle stelle, si poté determinare così la composizione chimica delle atmosfere e delle superfici stellari, dando vita a una disciplina completamente nuova: l’astrofisica.
Tracciando un grafico che mostra l’intensità della luce emessa alle diverse lunghezze d’onda, si può osservare che i grafici per i differenti materiali mostrano un andamento a campana con delle parti mancanti caratteristiche delle particolari sostanze chimiche costituenti i materiali. Si trovò, sperimentalmente e teoricamente, un tipo particolare di oggetto che ha come grafico una curva perfetta senza parti mancanti: il corpo nero. Con corpo nero si intende un oggetto perfettamente nero, cioè che assorbe tutta la luce che cade su di esso. Dato che non può riflettere neanche il minimo raggio di luce, un corpo nero non può essere visto illuminandolo, ma solo grazie alla luce che emette di per sé. Nasce da qui l’interesse per lo studio della radiazione di corpo nero.
Tutti i corpi colorati di nero con cui abbiamo a che fare nella vita quotidiana in realtà non sono perfettamente neri ma riflettono quantità più o meno grandi di luce. Per poter studiare in un laboratorio la radiazione di corpo nero occorre quindi usare alcuni accorgimenti: bisogna riuscire a intrappolare al suo interno tutta la luce che cade su di esso. Per esempio, si può costruire un forno dalle pareti opache con un’apertura estremamente piccola. Tutta la luce che entra attraverso il forellino rimbalza all’interno del forno ed è estremamente improbabile che riesca a uscire dallo stesso forellino; con il tempo verrà assorbita dalle pareti del forno scaldandolo. La cavità interna del forno, pertanto, si comporta come un corpo nero visto che tutta la radiazione che la colpisce entrando dal forellino non può essere rinviata all’esterno. La luce che esce dal forellino è invece luce che viene emessa dalle pareti della cavità ed è pertanto la radiazione di corpo nero.
Usando le teorie allora a disposizione – l’elettromagnetismo, la termodinamica, la meccanica statistica – e i dati sperimentali, i fisici erano convinti di riuscire a trovare un modello teorico soddisfacente del comportamento del corpo nero. Era, al più, solo una questione di tempo. Lo studio del corpo nero, invece, resistette a ogni tentativo di darne una spiegazione basata sulla fisica classica. A dicembre del 1900, Max Planck pubblicò un articolo nel quale spiegava come ottenere la formula che descrive lo spettro luminoso del corpo nero a patto di assumere che l’energia delle molecole della cavità potesse assumere soltanto valori discreti: i quanti di energia.
Per Planck si trattava soltanto di un assunto matematico non corrispondente alla realtà fisica; era semplicemente un modo per far tornare i conti. Non appena emessa dalle molecole con energia quantizzata, la radiazione tornava a comportarsi secondo la teoria classica dell’elettromagnetismo di Maxwell fondendosi a formare un ente fisico continuo, l’onda elettromagnetica.
Il 18 marzo 1905 Einstein invia alla rivista Annalen der Physik, per la pubblicazione, la memoria Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce in cui prende in considerazione i fenomeni di generazione e trasformazione della luce e li distingue da quelli di propagazione. Nel caso della propagazione, si possono osservare una serie di comportamenti della luce (la propagazione rettilinea, la rifrazione, la riflessione, la diffusione, la diffrazione, l’interferenza) che sono perfettamente descritti dalla teoria classica dell’ottica ondulatoria, che considera la luce come formata da un ente fisico continuo, un’onda elettromagnetica. Nel caso, invece, della generazione e della trasformazione della luce, la teoria classica è incapace di fornire una spiegazione soddisfacente di fenomeni come la radiazione di corpo nero.
La soluzione di questi problemi, secondo Einstein, passa per l’accettazione del fatto che l’energia della luce si distribuisce nello spazio non in modo continuo ma «in un numero finito di quanti di energia, localizzati in punti dello spazio».
Ciò che Planck aveva limitato all’atto dell’emissione dalle pareti del corpo nero, viene esteso da Einstein a tutta la durata di vita della luce dalla sua emissione fino al suo assorbimento. Ogni quanto di energia luminosa viene generato o assorbito nella sua interezza e mai suddividendosi in parti o aggregandosi ad altri quanti.
Einstein considera la radiazione monocromatica (cioè caratterizzata da una sola lunghezza d’onda oppure – il che è lo stesso – da una sola frequenza), di debole intensità, contenuta in un dato volume iniziale V1. Passando a occupare un volume diverso V2, si ha la variazione di una particolare grandezza termodi...

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