1 NOTIZIA SUL TESTO
La raccolta deriva dall’ampliamento e dalla rielaborazione della seconda parte dell’Isaotta Guttadàuro ed altre poesie, uscita nell’86 per le edizioni della «Tribuna». Appare subito significativa l’insistenza con cui il poeta difende, sino dai primi contatti con l’editore, l’opportunità di pubblicare separatamente i due volumi: «Vorrei combinare con Lei [l’editore Emilio Treves – lettera del 26 marzo 1889] una edizione dei miei ultimi versi […] Io vorrei riunire le poesie quattrocentistiche in un volumetto intitolato Isottèo; e le altre, con aggiunte e trasformazioni molte, in un volume di cui troverò il titolo»; «Dividerò il libro in due volumi [lettera del 29 luglio] con emendazioni, aggiunte e soppressioni molte […]»; «[…] Vi spedirò tra giorni [lettera del 22 agosto] l’altro volume che è assai grosso e s’intitola: La Chimera. I versi dell’Isottèo non devono andare mescolati con altri: hanno troppo un carattere speciale. La Chimera raccoglie tutti i miei versi migliori; ed ha per chiusa le Terzine al poeta Andrea Sperelli, che forse avrete vedute sul “Corriere di Napoli”. Ha per prologo altre terzine inedite. È coerente come un dramma. Si comporrà, tipograficamente, di più che trecento pagine» [per 76 componimenti; mentre 58 erano le «altre poesie» di Tb ’86]. Dopo il rifiuto dell’editore, l’intenzione primitiva del poeta resta affidata, nell’edizione Treves 1890, ad alcuni segnali di decodifica: oltre alla precisazione, di cui si è detto (Qui finisce l’Isottèo) e all’EPODO, che meglio scandisce l’articolarsi dei due volumi, si introduce anche un nuovo frontespizio per La Chimera, distinta graficamente e preceduta da un’epigrafe. Tali caratteristiche, fatta eccezione per la sola veste grafica, sono conservate poi nell’Edizione Nazionale Opera Omnia del 1930 e nelle Edizioni de «L’Oleandro» del 1942, ove L’Isottèo – La Chimera sono uniti in volume col titolo Il verso è tutto (così anche nella mondadoriana Versi d’amore e di gloria, I, 1950).
Ragioni cronologiche e compositive rendono discutibile l’attestazione di coerenza: le liriche confluite nella Chimera appartengono infatti a un arco di tempo talmente ampio (1883-1889, non 1885-1888, secondo la cronologia ideale scelta dal poeta per il frontespizio) da comprendere l’eco del magistero carducciano e il gusto da ‘décor’ accanto al parnassianesimo, al preraffaellitismo, al simbolismo, alla sensualità decadente: vicino al Carducci prendono così posto il Poliziano e Lorenzo de’ Medici, Goethe e de Musset, Bourget, Shelley, Lorrain, Hugo, de Lisle, Gautier, Silvestre, Baudelaire, Flaubert, Verlaine, Régnier… L’opera «coerente come un dramma» si rivela invece la più composita delle raccolte dannunziane, al punto che ad essa e al suo autore si potrebbe agevolmente riferire il giudizio che il Morice della Littérature de tout à l’heure (stampata a Parigi nel 1889, e subito letta dal d’Annunzio) applica all’Hugo (il cui Booz endormi è oggetto di una «imitazione» del Nostro): «[…] a pris tous les partis et les a tous quitté. Il y a cent poètes en lui, qui à eux tous n’en font pas un […] il imite avec génie […]».
Paradossalmente è però proprio l’assemblaggio tematico che vede allinearsi i Rurali accanto ai Sonetti dell’anima, le Imagini dell’amore e della morte accanto ai Sonetti delle fate, all’Intermezzo melico, ai cicli Donna Francesca e Donna Clara, a suggerire e quasi a imporre una diversa possibilità di lettura. L’unità, non credibile se perseguita lungo la fittizia traccia psicologica indicata dall’autore (cui concorrono certo le aggiunte, sull’opera già in bozze, delle Imagini dell’amore e della morte e della lirica AL POETA ANDREA SPERELLI, entrambe dell’89) si ricompone se si abbandona tale direzione. È una via tentata in parte dalla Noferi, che antepone, ed è intuizione importante, il percorso tecnico-compositivo a quello tematico: «[…] quella sorta di ‘décors’ [es. IL CAVALIERE DELLA MORTE del 1883] gli nacquero per primi, costretti nel giro breve e preciso del sonetto […] poi certe cose di falso sapor classico sempre sulle tracce dei francesi [L’ANDRÒGINE, DIANA INERME, INVITO ALLA CACCIA…, del 1885] […] poi, traducendo e rimaneggiando, il mondo favoloso delle Fate e l’esperienza dell’Intermezzo melico [1886]».
Si provi ora a puntare l’obiettivo direttamente sulla valenza strutturale degli imprestiti e derivazioni letterarie. Diviene immediatamente possibile tracciare una storia del ‘Verlaine della Chimera’, dalla fase di preziosismo decorativo (i Poèmes saturniens per gli Idillii 1885-86) alla musicalità surreale e sfumata (Fêtes galantes, La bonne chanson, Jadis et Naguère per Intermezzo melico – fine ’85 – fine ’86), alla sensualità mistica incline alla metafora sacramentale, allo psicologismo enfatico (Jadis et Naguère e Sagesse per Donna Francesca, 1886), alle esperienze decadenti e patetiche (ancora Sagesse accanto a Romances sans paroles per i Sonetti dell’anima, 1888). Altrettanto agevole è seguire la traccia del ‘Flaubert della Chimera’, dall’opulenza verbale e scenografica (La tentation de saint Antoine e Salammbô per i cicli Donna Francesca e Donna Clara, gli Idillii, i Sonetti d’Ebe degli anni 1885-1886) al decorativismo (di nuovo la Tentation per i Sonetti delle fate 1886) e alla sensualità sadica (la chimera del sonetto proemiale, 1887), sino alla scomparsa della fonte, anch’essa significativa, dopo le composizioni del 1886-1887 (di influsso flaubertiano si potrà riparlare solo a proposito delle ultime composizioni dell’Intermezzo 1894 (PRELUDIO, PAMPHILA, il ciclo delle Adultere, LA MORTE DEL DIO, QUALIS ARTIFEX PEREO!).
Si propone quindi una storia della poesia, e dell’ispirazione, attraverso la storia delle letture, l’evolversi dell’archetipo letterario nella diacronia del testo. È utile all’assunto una attenta ricognizione del Tosi: «[…] son XVIIIe siècle est celui de Gautier, des Goncourts et de Verlaine; sa Renaissance italienne de sang et de luxure est celle de Théodore de Banville et peut-être même celle de Péladan; son Moyen Age est emprunté au Jean Lorrain de la Forêt bleue; l’Antiquité romaine, néronienne et héliogabalesque, sort de Mademoiselle de Maupin et de Théodore de Banville; l’Orient biblique et l’Orient païen se souviennent de Hugo, de Gautier, de Hérédia et surtout de La tentation de Saint Antoine». E non sarà certo privo di significato il ritrovamento, nell’opera del Morice delle medesime predilezioni e dei medesimi accostamenti, nel passaggio tra parnassianesimo e simbolismo, sino alle ‘presenze’ delle pagine conclusive (quell’Henri de Régnier così influente, poi, nella gestazione del Poema paradisiaco).
Ma occorre, a questo punto, fare attenzione anche al contesto in cui si situano le liriche, allo sfondo che le semantizza e ne trasforma i livelli connotativi, al rapporto tra microstruttura e architettura generale dell’opera. I raggruppamenti episodici delle altre poesie di Isaotta Guttadàuro 1886 (nell’ordine: Sonetti delle fate, Sonetti d’Ebe, Rurali, Booz addormentato, Idillii, Intermezzo melico, Donne, Epilogo al Michetti, Epodo al Cellini e al Salvadori) acquistano, mutate le ragioni del sistema complessivo, funzioni talmente diverse da risultare a volte diametralmente oppositive. Il ciclo Donne, ad esempio, che nell’Isaotta chiude la raccolta, sottolineandone il carattere decorativo, la letterarietà falso-antica, appena inficiata dal facile simbolismo dell’EPODO al Salvadori, nella Chimera riceve dalla disposizione quasi proemiale e dall’accostamento ai sonett...