Atena
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Atena

La dea invincibile

Adele Teresa Cozzoli, AA.VV., Adele Teresa Cozzoli

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Atena

La dea invincibile

Adele Teresa Cozzoli, AA.VV., Adele Teresa Cozzoli

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Divinità guerriera dall'incredibile origine: Zeus, infatti, temendo la nascita di un figlio che avrebbe potuto divenire più potente di lui, ingoiò la prima moglie Metis, figlia di Oceano e personificazione della ragione e dell'intelligenza, incinta di Atena, che così nacque dalla testa del padre, aperta all'uopo da Efesto con un'accetta. Atena, figlia prediletta del padre degli dèi, nacque già adulta, armata di lancia e scudo, e i simboli sacri che le vennero riferiti sono la civetta e l'ulivo. La dea, per esempio, ha sempre con sé la sua civetta, o nottola, e indossa una corazza, realizzata con la pelle della capra Amaltea, chiamata egida e donatale dal padre Zeus. Platone riferisce, nel dialogo Cratilo, un'etimologia del nome che significherebbe "la mente di dio". Atena, inoltre, è legata indissolubilmente alla città di Atene, che non solo ha preso il suo nome dalla dea, ma i suoi valori religiosi, civici e politici sono rappresentati in maniera simbolica nelle vicende mitiche che la riguardano.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2022
ISBN
9791255010401
Categoría
History

Il racconto del mito

Un dettaglio della testa dell’Atena di Mirone, copia romana in marmo di un originale greco in bronzo. La statua si trova esposta presso il Liebieghaus Museum di Francoforte.
Un dettaglio della testa dell’Atena di Mirone, copia romana in marmo di un originale greco in bronzo. La statua si trova esposta presso il Liebieghaus Museum di Francoforte.

La città di Atena

La più famosa raffigurazione di Atena è la statua dell’Atena Parthenos (Atena Vergine), opera di Fidia, che si trovava sull’Acropoli della città di Atene all’interno del Partenone, tempio della dea, sui cui frontoni erano raffigurati, rispettivamente, su quello orientale, la nascita di Atena dalla testa di Zeus, su quello occidentale, la contesa tra la dea e Poseidone per il possesso dell’Attica, mentre il fregio era costituito dalla rappresentazione della processione in occasione delle feste Panatenee, ancora in onore della dea, durante le quali veniva consacrato il peplo intessuto per lei dalle Arrefore, le fanciulle adolescenti scelte per un periodo di tempo per servire agli ordini di Atena. Il peplo era solitamente intessuto con ricami della lotta tra Zeus e i Giganti in cui l’aiuto di Atena, per il padre, era stato fondamentale. Pausania nella sua opera, una guida sui monumenti e le tradizioni mitiche della Grecia, ci ha lasciato la descrizione di questa statua: Atena indossa una tunica lunga fino ai piedi, da cui non traspare alcuna nudità, sul petto ha inserita in avorio la testa di Medusa, mostro ucciso da Perseo con l’aiuto della dea e il cui volto pietrificava chiunque le rivolgesse lo sguardo, ha una Vittoria in mano e impugna la lancia, uno scudo giace presso i suoi piedi e vicino alla lancia c’è un serpente, il piccolo Erittonio; sulla base della statua è raffigurata la nascita di Pandora, la prima donna, a opera di Atena e di Efesto. In base ad alcune ipotesi di ricostruzione attraverso copie successive che imitano l’opera di Fidia, qualche archeologo ha anche ipotizzato che sulla lancia fosse stata scolpita una civetta ivi appollaiata. Il Partenone sorgeva probabilmente sul sito dell’antico tempio di Atena Poliade che ai tempi di Pausania, nel II secolo d.C., non esisteva più e che forse era andato distrutto nel 480 a.C. a causa dell’incendio appiccato dai Persiani durante la devastazione della città; però si raccontava che qui era stata venerata la più antica statua lignea della dea, caduta dal cielo come un’altra statua famosa di Atena, il Palladio, e che in seguito sarebbe stata probabilmente trasferita nel nuovo tempio. Poco più in là, nella sua passeggiata virtuale sull’Acropoli, Pausania incontra e descrive l’Eretteo, il tempio che era centro del culto eroico del primo re della città, legato alla dea da una strana discendenza, e che costituiva un altro luogo di venerazione molto importante dedicato ad Atena; qui tutti insieme erano celebrati i personaggi dell’antico mito attico a lei collegati, Eretteo e Cecrope, re della città, Pandroso, figlia di Cecrope, Poseidone ed Efesto. In prossimità dell’Eretteo doveva sorgere la casa delle Arrefore in cui soggiornavano queste fanciulle insieme alla sacerdotessa di Atena e, accanto, un luogo di culto per Pandroso, figlia di Cecrope, il Pandroseion. Altre statue vengono ricordate sull’Acropoli, come quella di Atena Ergane, “la lavoratrice”, con in mano fuso e conocchia, a cui gli artigiani rivolgevano le loro preghiere e in prevalenza la loro venerazione, secondo quanto attestano numerose iscrizioni votive ritrovate nell’area. Ma di statue di Atena ve ne dovevano essere altre, in cui erano raffigurati alcuni episodi mitici a lei connessi, per esempio quella che commemorava lo scontro della dea con il satiro Marsia e l’invenzione dell’aulòs, una sorta di antico flauto a due canne.
Molte divinità nella Grecia antica svolgono il ruolo di numi tutelari privilegiati in una determinata città, ma non si conserva testimonianza che in età storica alcun dio abbia dato il suo stesso nome a una polis facendola completamente propria: Argo è sacra a Hera, Olimpia a Zeus, Tebe a Dioniso, Delo ad Apollo, tuttavia questi luoghi portano un nome diverso dal dio che li protegge. Atene no, è la città di Atena, non solo ha preso il suo nome dalla dea, ma i suoi valori religiosi, civici e politici sono come rappresentati in maniera simbolica nelle vicende mitiche che la riguardano. Platone, nel progettare la sua città ideale e, quindi, anche il rinnovamento dell’educazione antica dei giovani, da lui ritenuta fallimentare, ha ben compreso e spiegato, nei libri II e X della Repubblica, le modalità attraverso cui il mito e la poesia, che lo rinarrava in varie forme, costituissero la base della formazione paideutica antica: fin da piccoli i fanciulli apprendevano dalle madri o dalle bambinaie le storie narrate nei miti e questi, raccontati con toni tra il serio e il faceto, adatto appunto ai bambini, ammaliavano come un incantesimo le giovani menti desiderose di storie fantastiche; questi miti, conosciuti come favole da fanciulli, erano poi gli stessi che venivano riproposti continuamente nelle preghiere durante i sacrifici, nelle feste, nei racconti dei poeti, sul palcoscenico del teatro di Dioniso, nelle raffigurazioni sui monumenti della città, cosicché essi e i valori di cui erano espressione diventavano patrimonio della loro formazione culturale, mentre, in maniera inconscia e meccanica, di generazione in generazione, si assicurava e si divulgava non solo la loro conoscenza, ma si perpetuava così anche l’osservanza morale e religiosa alle norme di comportamento simboleggiate nel mito. Insomma questa forma martellante, con cui veniva comunicato e trasmesso il racconto del mito sotto varie modalità, può essere paragonata alla pubblicità subliminale diffusa dai mezzi di comunicazione nel mondo contemporaneo; la televisione e i social (media) ci presentano messaggi in maniera ossessivamente ripetitiva o modelli di comportamento o versioni tendenziose di notizie in una forma amena o convincente al punto tale che spesso ci si trova a farli propri e a credervi in maniera del tutto inconsapevole e a comportarsi in maniera consequenziale. Ogni Ateniese, dunque, che solo partecipasse alle cerimonie religiose o passeggiasse per l’Acropoli o andasse a teatro, era continuamente esposto al ricordo di quelle vicende e di quei valori che queste riproponevano, in modo semplice e anche piacevole come può essere sentire e vedere il racconto di una favola antica o un sogno fantastico, cosicché il cittadino, fin da fanciullo, in maniera passiva e inconscia, si abituava a introiettarli e ad assimilarli come valori veri e autentici, senza elaborazione critica o possibilità di dissenso. Il mito quindi trasmette una verità come velata da elementi favolosi o fantastici; non è un caso che nei sogni spesso la realtà sia ormai del tutto irriconoscibile, quasi deformata dalla presenza di motivi o personaggi fiabeschi, che riemergono da quei racconti appunto appresi da fanciulli e che ora l’inconscio riproduce a significare il reale.
Atena indossa una tunica lunga fino ai piedi, da cui non traspare alcuna nudità, sul petto ha inserita in avorio la testa di Medusa, mostro ucciso da Perseo con l’aiuto della dea e il cui volto pietrificava chiunque le rivolgesse lo sguardo, ha una Vittoria in mano e impugna la lancia, uno scudo giace presso i suoi piedi e vicino alla lancia c’è un serpente, il piccolo Erittonio.
Ma quali miti si narravano e quali erano questi personaggi della storia di Atena? Il racconto più divertente e fedele alle raffigurazioni sui monumenti dell’Acropoli della vicenda di Atena e insieme dei primordi di Atene, ce l’ha lasciato un poeta d’età ellenistica, Callimaco, nel suo poema su Ecale, antica eroina attica. Proprio perché questo poeta ha, in un certo qual modo, voluto riprodurre nella sua narrazione esattamente quello stile, tra il serio e il faceto, con cui ogni fanciullo greco doveva aver appreso il mito da bambino, ora il poeta, giocando anche lui come un fanciullo, lo ripropone al suo lettore questa volta adulto, il quale riconosce subito e ricorda a un solo accenno, grazie anche ai toni del racconto, quegli antichi miti, compagni dei sogni e delle fantasie dalla sua tenera infanzia fino all’età matura. La narrazione delle vicende in Callimaco, infatti, è presentata da una prospettiva particolare, esattamente come se si raccontasse una favola, perché nel testo è proprio una cornacchia a narrare, come un aedo o un “cantastorie”; è la cornacchia, uccello un tempo sacro ad Atena, che racconta la propria triste storia, quella di un’amicizia interrotta con la dea per un fatale errore. Ma la storia narrata dall’uccello è anche la storia sacra di Atena e di Atene. Ascoltiamola: appollaiate sui rami nodosi di un ulivo millenario, albero sacro ad Atena, due cornacchie parlottano, quella anziana, consunta dagli anni e dalla vita, ammaestra la sua più giovane e inesperta compagna. La scena si svolge in Attica, tra Atene e la piana di Maratona, accanto all’ulivo, è visibile una piccola capanna, dimora di Ecale, la dolce e materna nonnina che durante la notte ha dato generosa ospitalità al giovane Teseo, destinato a regnare in città, prima che si accinga a catturare il toro che devasta da tempo le campagne circostanti. Si dice che sia lo stesso toro focoso di cui si sarebbe innamorata a Creta la regina Pasifae; presa da brama e insana passione, la donna, decisa a ricorrere a ogni espediente per soddisfare il suo desiderio, si sarebbe rivolta a Dedalo che le costruì una vacca lignea cava in cui si potesse nascondere per trarre in inganno l’animale e unirsi a lui. L’amore maledetto le era stato instillato come vendetta atroce contro il suo sposo da Poseidone; il re di Creta, Minosse, infatti prima aveva promesso in sacrificio il più bel esemplare delle sue mandrie per ottenere il sostegno del dio del mare, ma poi non aveva ottemperato al patto. Il toro, reso furioso, scampato persino alle mani dell’eroe più forte e possente mai conosciuto, Eracle, era giunto a Maratona a distruggere i raccolti e a seminare terrore. Ecale è nota a tutti i devoti campagnoli del circondario; un tempo anche lei era nobile e ricca, ma poi la carestia, per le devastazioni del toro, ha colpito la regione e anche la donna, sola per aver perso il marito e i figli, è caduta in rovina. La sua indole non è tuttavia mutata, tutti i viandanti che affamati e spossati giungano presso la sua porta, sanno di poter avere assicurato per la sera un giaciglio al coperto e una parca cena, tre tipi di olive (la “cotta dal sole”, la “minuta” selvatica, la “tuffatrice” in salamoia) e una calda pagnotta cotta sotto la cenere, vivande che certo non s’imbandiscono sulle tavole fastose dei re, ma sono piuttosto la povera colazione che il bovaro in Attica suole portarsi con sé al pascolo per rinfrancarsi dopo una dura giornata. La sera precedente, a metà del pomeriggio, prima un vortice di aria calda, che si alzava dalla terra infuocata dal sole, ha gonfiato le nubi di vento e di pioggia e poi il cielo si è del tutto oscurato, finché dense di umidità le nuvole sono scoppiate con lampi e fulmini e un torrente impetuoso d’acqua si è riversato dall’alto. Se sia stato un evento improvviso o se gli dèi avessero preparato il loro piano non è possibile saperlo. Ma il temporale ha condotto Teseo da Ecale: in viaggio verso Maratona, preso alla sprovvista, ha cercato anche lui sicuro riparo nell’unico luogo che gli è apparso all’orizzonte, la capanna di Ecale. Che felicità per la donna accogliere in casa con gli onori che sono concessi a una dimora campestre un giovane che tanto nell’aspetto le ricorda i suoi figli! Se fossero vivi, se un brutto malfattore, figlio di Poseidone, il brigante Cercione, non li avesse sfidati a combattere con lui, come era solito fare con tutti i malcapitati sulla via da Eleusi a Megara, e poi vinti e uccisi, non differirebbero molto dall’eroe. Che felicità intrattenersi con lui raccontandogli la sua vita! Perché, si sa, le labbra dei vecchi sono sempre vaganti e desiderose di raccontare il passato, per ricordarselo quando si allontana, ora che la vita è fatta solo di questo e non si ha più presente, mentre la mente ormai lenta si offusca. Finalmente Teseo all’alba ha recuperato le forze ed è partito, pronto alla sua impresa. Sarà stata l’emozione, la gioia e la tristezza insieme del ricordo, ma Ecale la mattina non si è più svegliata. Gli antichi sanno che il dono più dolce da parte degli dèi è quello di non nascere mai, oppure di addormentarsi nel fiore degli anni in un sonno perpetuo e tranquillo senza più sofferenze come Cleobi e Bitone o Endimione perché la Luna, la sua amante, lo trovi sempre bello e felice. Forse anche morire nel sonno e continuare così a sognare con la serenità nel cuore è stato per Ecale il dono concesso dagli dèi, per chi, nonostante tutto, ha conservato, nel dolore, dolcezza e pietà. Chissà. Ma Teseo della sua morte improvvisa non sa ancora nulla. Che Ecale è morta lo sanno solo quelle impiccione delle cornacchie a cui la donna non mancava di gettare le briciole di un’umile cena, perché non morissero affamate da quando l’ira di Atena aveva colpito questo uccello, un tempo suo compagno inseparabile. Da allora le cornacchie non poterono più sorvolare l’Acropoli di Atene, la dea gliel’aveva vietato; dovevano sparire dalla sua vista. Non possono perciò più neanche sbocconcellare i resti dei sacrifici dagli altari dei templi che numerosi sorgevano sull’Acropoli; se ne vanno gridando «krah, krah» e la loro indigenza, perché ogni Greco riconosce nella loro voce un significato di senso compiuto: esse gridano «ho bisogno», «krah, krah» che in greco è in stretta connessione col verbo chraomai, avere bisogno appunto. Così adesso le cornacchie si accompagnano ai Koronistaì (“Quelli che portano in giro le cornacchie”), mendicanti che vanno di porta in porta nelle città a chiedere l’elemosina, e con il loro grido di indigenza li preannunciano.
Ma perché Atena ha punito con tale violenza quest’uccello un tempo suo amico? E ha voluto invece innalzare come inseparabile compagna al suo fianco la civetta cui brillano gli occhi al calare delle tenebre, mentre di giorno, accecata, danzerebbe incerta e stordita, un volatile che è spesso oggetto di scherno per i fanciulli, quando crudeli nei loro giochi la catturano e la liberano alla luce del sole? Così si diverte a contrapporre la civetta alla cornacchia, l’intelligenza alla povertà, il poeta ellenistico. Tanto ora ama la sua civetta Atena da assumerne anche un ricordo nel suo stesso appellativo, Glaucopide Atena, “dallo sguardo di civetta”, dagli occhi lucenti del colore del mare che vedono come quelli della civetta più lontano di tutti nell’oscurità, esattamente come la dea dall’intelligenza abile e scaltra anche nelle difficoltà sa vedere lontano, ed è previdente. Il motivo lo conosce bene la vecchia cornacchia, che l’ira della dea porta impressa vivida nella memoria insieme al ricordo di quei giorni in cui il suo destino si compì. E così lo racconta alla sua compagna. Che questa storia, dunque, le sia d’ammonimento e la giovane maldestra non corra in volo precipitosa ad annunciare a Teseo la cattiva notizia della morte di Ecale. I messaggeri di sciagure non hanno mai avuto da nessuno una favorevole accoglienza: anche il corvo presto lo saprà. Per il candido piumaggio l’uccello potrebbe ancora gareggiare con il biancore del latte o della spuma del mare, ma un giorno incapperà pure lui nell’ira di un dio; sgradito ad Apollo, per avergli rivelato il tradimento della ninfa Coronide con un semplice uomo, a monito della sua disgrazia, diventerà per volere del dio nero come la pece, e tutti, quale funesto nunzio di disgrazie, lo scanseranno con orrore. Era molto giovane allora la vecchia cornacchia, quando ben otto generazioni prima accade tutto – questo volatile ha infatti una vita molto lunga, la sua estensione copre e abbraccia molte stirpi di uomini in successione –, dai tempi di Egeo e di Teseo indietro a quelli di Cecrope svariate ne corrono infatti, è tutta la storia più antica dell’Attica. Erano i primordi del mondo, gli dèi contendevano per la supremazia sulle terre e Poseidone, da maschio arrogante, anziano fratello di Zeus, scese a contesa più volte con le dee, con Hera per Argo, e con la giovane nipote Atena, prediletta dal padre, per il possesso dell’Attica. Atena, dea vergine, non è certo tenera come un fresco virgulto, non si fa intimorire dalle pretese di un dio ed è pronta a lottare per ciò che ritiene suo di diritto. Gareggiavano dunque per chi potesse meglio beneficare la regione e acquistarne il potere. Un dio senza chi lo veneri non è nulla, meglio se ha culto in una città destinata a diventare famosa e potente, perché maggiore sarà il suo prestigio. Ecco che un lago salato miracolosamente fa emergere sull’Acropoli della città Poseidone, proprio laddove ancora oggi, a quanto ci racconta Pausania, nell’Eretteo si conserva un pozzo di acqua salmastra; pozzi simili si trovano sulle rocche di molte città antiche della Grecia, ma questo è particolare perché, oltre al fatto che accanto è visibile l’impronta del tridente, si ode il rumore delle onde marine quando soffia il vento da sud. Invece Atena non pensa a dare spettacolo, fa nascere la sacra pianta dell’ulivo, che santa protegga la città e se bruciata rinasca ogni volta più forte di prima, nel giro di un sol giorno, perché le sue radici sono resistenti e non muoiono mai, come si narra che sia accaduto appunto dopo l’invasione e l’incendio dell’Acropoli da parte dei Persiani; esso sarà venerato come il sacello centrale del suo tempio. Un dono sì questo che può veramente competere con la vite creata da Dioniso e con la spiga di Demetra. L’ulivo dà un frutto che si mangia e si beve, con la sua spremitura in Grecia si unge l’atleta e si purifica il morto, mentre i suoi rami accompagnano il feretro. Ramoscelli d’ulivo si portano ai vincitori delle gare che si svolgono in occasione del...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Adele Teresa Cozzoli
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Adele Teresa Cozzoli
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Atena

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Cozzoli, A. T. (2022). Atena ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3470947/atena-la-dea-invincibile-pdf (Original work published 2022)

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Cozzoli, Adele Teresa. (2022) 2022. Atena. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3470947/atena-la-dea-invincibile-pdf.

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Cozzoli, A. T. (2022) Atena. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3470947/atena-la-dea-invincibile-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Cozzoli, Adele Teresa. Atena. [edition unavailable]. Pelago, 2022. Web. 15 Oct. 2022.