Perseo
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Perseo

L'audacia dell'avventura

Simone Beta, AA.VV., Simone Beta, Simone Beta

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L'audacia dell'avventura

Simone Beta, AA.VV., Simone Beta, Simone Beta

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«L'unico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo». Per questo, soprattutto, ci ricordiamo di Perseo. Ma il suo personaggio è molto di più: se sua madre era una mortale, la bellissima Danae, suo padre era addirittura Zeus, il re degli dèi, che per averla si era trasformato in una pioggia d'oro. Un terribile oracolo – come spesso abbiamo visto nei racconti mitici – gravava su Acrisio, re di Argo: l'oracolo di Delfi infatti aveva vaticinato che se Danae, sua figlia, avesse avuto un figlio, questi lo avrebbe ucciso. Così la povera Danae venne rinchiusa in una torre, ma Zeus riuscì a possederla. Perseo nacque in questo modo, segnato dall'oracolo. Dopo aver trovato la salvezza, insieme alla madre, presso Ditti, fratello di Polidette, re di Serifo, nelle Cicladi, Perseo crebbe, protetto dagli dèi che gli fornirono gli strumenti per uccidere Medusa, e sposò l'amata Andromeda, dopo averla liberata dal mostro Ceto. Alla fine si compie anche il vaticinio, in un susseguirsi di eventi che fanno del mito di Perseo forse la prima favola moderna, ricca di tutti quei topoi che a secoli di distanza rendono queste storie intramontabili.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2022
ISBN
9791255010548

Il racconto del mito

Forse il capolavoro di Benvenuto Cellini, la statua di Perseo con la testa di Medusa, commissionata da Cosimo I nel 1545, è conservata oggi nella Loggia dei Lanzi a Firenze.
Forse il capolavoro di Benvenuto Cellini, la statua di Perseo con la testa di Medusa, commissionata da Cosimo I nel 1545, è conservata oggi nella Loggia dei Lanzi a Firenze.
Se è vero che le fantasmagoriche avventure di Perseo sono state inventate per piacere a tutti coloro che amano le storie ricche di colpi di scena, non ci si deve stupire del fatto che siano soprattutto i bambini quelli che le apprezzano in modo particolare. Questo avviene perché, nelle sue straordinarie peripezie, i bambini ritrovano tutti i personaggi e gli episodi che hanno trovato nelle favole che sono state raccontate loro dai genitori e dai nonni: l’eroe che è condannato a morire bambino ma viene salvato dalla sorte; l’eroe che, per diventare adulto, deve compiere una grande impresa; l’eroe che per compiere l’impresa viene aiutato da una fata o da un mago; l’eroe che uccide il mostro e libera la principessa; l’eroe che alla fine della storia sposa la principessa, ha tanti bambini e vive felice e contento. E tutto questo con il contorno di oggetti magici che ogni bambino vorrebbe tanto possedere o con i quali vorrebbe tanto giocare: scarpe che permettono di volare, elmi che rendono invisibili, teste che trasformano i cattivi in pietre…
Raccontiamole allora, queste avventure di Perseo. Ma, per farlo, bisogna cominciare qualche anno prima della sua nascita, perché la sua storia comincia prima ancora che l’eroe venga concepito: se fosse stato per suo nonno, infatti, Perseo non sarebbe mai nato. Acrisio (questo era il nome del nonno) era figlio di Abante, re di Argo, il quale aveva sposato Aglaia, figlia di Mantineo: dopo aver scacciato da Argo il suo fratello gemello Preto, con il quale aveva cominciato a litigare quando erano ancora entrambi nel grembo della loro madre, Acrisio era rimasto l’unico signore della città, mentre il fratello era diventato re di Tirinto, l’altra grande città dell’Argolide.
Avendo avuto dalla moglie (Aganippe secondo alcuni, Euridice secondo altri) una figlia femmina, la bellissima Danae, ma non un figlio maschio, era andato a consultare l’oracolo di Delfi per sapere se prima o poi sarebbe riuscito ad avere un erede. Ma l’oracolo, anziché rispondere alla sua domanda, gli aveva profetizzato un evento terribile: se sua figlia avesse avuto un figlio maschio, quel nipote tanto desiderato l’avrebbe ucciso.
Questa profezia rientra all’interno di una categoria che è molto frequente nel mito antico: a Laio, re di Tebe, che gli aveva chiesto se avrebbe avuto un figlio maschio, il dio Apollo aveva risposto (in modo diretto) che suo figlio l’avrebbe ucciso; a Egeo, re di Atene, che gli aveva fatto la medesima domanda, il dio aveva suggerito (ma questa volta in forma enigmatica) di non unirsi con nessuna donna durante il viaggio di ritorno da Delfi (perché – questo era il messaggio sottinteso – da quell’unione sarebbe nato un figlio che l’avrebbe ucciso). Nessuno dei due sovrani era riuscito a salvarsi dal destino che era stato preannunciato dalla Pizia, la sacerdotessa di Apollo che nel santuario di Delfi, ispirata dal dio, vaticinava il futuro a chi glielo chiedeva: dopo una notte di bagordi, obnubilato dall’ubriachezza, Laio si era unito a sua moglie Giocasta senza prendere le opportune precauzioni generando Edipo (che un giorno l’avrebbe ucciso davvero, anche se involontariamente, perché non l’aveva riconosciuto); non avendo capito il senso delle parole profetiche del dio (che l’aveva ammonito a “non sciogliere il piede rosato del suo ventre”), Egeo aveva trascorso una notte d’amore con Etra, l’affascinante figlia di Pitteo, re di Trezene, generando Teseo (che l’avrebbe ucciso, sempre in modo involontario, al suo ritorno da Creta dopo aver sconfitto il Minotauro). E nemmeno Acrisio riuscì a sfuggire al suo destino, benché avesse cercato in ogni modo di evitare che la figlia gli desse un nipote.
Per impedire che qualcuno potesse anche solo avvicinarsi a Danae, Acrisio la fece rinchiudere in una camera di bronzo o di ferro che aveva fatto costruire sotto terra (oppure, secondo un’altra versione, in una torre). Ma Zeus – che, come testimoniano altri racconti mitologici, nutriva una passione particolare per le donne mortali famose per la loro bellezza – decise di conquistare anche Danae. E ce lo confessa lo stesso signore degli dèi nel quattordicesimo libro dell’Iliade, la prima opera della letteratura greca. Racconta Omero che Zeus, sedotto da Hera (che voleva distrarlo dalle vicende della guerra tra i Greci e i Troiani, per favorire i primi a scapito dei secondi), mentre si apprestava a giacere con la moglie (apparsagli bellissima dopo che aveva indossato il magico himàs, un indumento che le era stato prestato da Afrodite, la dea dell’amore), per farle capire quanto ardeva dal desiderio le aveva confessato che prima di quel momento non aveva mai provato una passione così forte, nemmeno quando si era follemente innamorato delle donne più belle tra i mortali. E, tra queste donne, accanto ad Alcmena (madre di Eracle) e Semele (madre di Dioniso), accanto a Latona (madre di Apollo e Artemide) ed Europa (madre di Minosse e Radamanto), Zeus ricorda anche «Danae dalle belle caviglie, figlia di Acrisio, che partorì Perseo, glorioso fra tutti gli uomini» (vv. 319-20).
Per conquistare Danae, però, Zeus dovette trasformarsi (come aveva fatto per sedurre Leda, madre di Elena, quando si era dovuto mutare in un candido cigno, o per sedurre Europa, quando aveva dovuto assumere le fattezze di un toro): dopo essersi trasformato questa volta in pioggia d’oro, colò sul grembo di Danae attraverso il soffitto, unendosi a lei. Perseo nacque quindi proprio dall’amore del re degli dèi per l’affascinante prigioniera argiva.
Per chi non credeva a questa affascinante versione, i Greci ne escogitarono un’altra, molto più realistica e cruda: a violare Danae non sarebbe stato il sommo Zeus, bensì Preto, il fratello di Acrisio, secondo una logica che aveva un significato molto concreto in un mondo cronologicamente remoto dove il conflitto per la conquista di un regno tra due fratelli in tutto e per tutto equivalenti (in quanto gemelli) doveva rimanere all’interno della famiglia, perché il potere fosse conservato nelle mani di una sola dinastia, in perfetta continuità con la situazione di partenza.
Ma la causa della gravidanza di Danae, in qualunque modo la si voglia spiegare, non ebbe alcun peso sulla tremenda decisione di Acrisio: sia che volesse evitare, una volta per tutte, il compiersi della profezia delfica, sia che volesse liberarsi del figlio dell’odiato fratello (e dalla figlia fedifraga), il re di Argo ordinò di rinchiudere Danae in una cassa insieme al piccolo Perseo, di issare la cassa su un’imbarcazione, di portarla al largo e di lasciarla in balia delle onde del mare.
Anche qui ci troviamo di fronte a uno schema narrativo tradizionale del mito (e della fiaba): il sovrano non uccide mai con le proprie mani colui che era destinato a togliergli la vita, ma lo affida al destino, sicuro che non saprà evitare la morte. Così, dopo avergli forato le caviglie, Laio aveva affidato suo figlio Edipo a un pastore che avrebbe dovuto lasciarlo morire sul monte Citerone (ma il pastore, che non aveva avuto il coraggio di abbandonarlo, l’aveva affidato a un altro pastore, che a sua volta l’aveva donato a Polibo, re di Corinto, che non aveva figli); così la regina cattiva aveva affidato Biancaneve al cacciatore perché la pugnalasse (ma il cacciatore, che non se l’era sentita di ucciderla, dopo aver catturato un piccolo cinghiale aveva portato con sé nel palazzo reale il suo cuore e i suoi polmoni, perché la regina credesse che egli aveva fatto il suo dovere).
Qui Perseo, insieme alla madre, viene esposto all’acqua, in una sorta di ordalia, così come era successo a un altro personaggio ugualmente famoso: Mosè, il cui nome significa proprio “salvato dalle acque” (le acque del Nilo, alle quali la madre l’aveva affidato per salvarlo dal Faraone). E non è il solo: poiché anche nella narrativa questa soluzione si rivela uno snodo di sicura efficacia, è proprio da qui che Emilio Salgari prenderà lo spunto per la conclusione del primo romanzo dedicato al ciclo dei corsari delle Antille, Il Corsaro nero, che finisce con la terribile condanna inflitta dal protagonista, Emilio conte di Roccabruna e di Ventimiglia (il “corsaro nero”, appunto), a Honorata Wan Guld, la donna della quale egli è innamorato ma che è anche la figlia del suo acerrimo nemico.
Per conquistare Danae, però, Zeus dovette trasformarsi (come aveva fatto per sedurre Leda, madre di Elena, quando si era dovuto mutare in un candido cigno, o per sedurre Europa, quando aveva dovuto assumere le fattezze di un toro): dopo essersi trasformato questa volta in pioggia d’oro, colò sul grembo di Danae attraverso il soffitto, unendosi a lei. Perseo nacque quindi proprio dall’amore del re degli dèi per l’affascinante prigioniera argiva.
Come era capitato a Mosè (e come capiterà anche alla bellissima Honorata, che si salverà miracolosamente raggiungendo le coste della Florida e diventando – come recita il titolo del secondo romanzo della serie – La regina dei Caraibi), anche Perseo viene salvato dalle acque: la cassa non viene inghiottita dai flutti, ma, dopo aver vagato a lungo sulle acque del Mar Egeo, approda sana e salva sulle rive dell’isola di Serifo, una delle Cicladi.
Noi non sappiamo a che cosa abbia pensato Danae, nel buio della prigione di legno. Ma possiamo immaginarlo – e qualcuno, molto prima di noi, l’ha fatto: di Simonide, un poeta vissuto a cavallo tra il VI e il V secolo a.C., ci rimane un frammento che descrive gli stati d’animo di Danae chiusa nella sua tomba galleggiante. Nella poesia la donna si rivolge a Zeus, il dio che, rendendola madre di Perseo, l’ha involontariamente condannata a una morte atroce, supplicandolo di salvarlo – cosa che il re degli dèi farà, vegliando sulla salute di suo figlio.
A Serifo la cassa viene tirata in secco da un pescatore, Ditti, il quale, dopo averla aperta, decide di allevare il bambino come se fosse suo figlio. Il fratello di Ditti, Polidette, che era il re dell’isola, si innamorò di Danae. Ma, per sposare la donna, doveva prima liberarsi di Perseo. E così gli affidò una “mission impossible”, nella speranza che il giovane morisse durante il difficile compito.
Le vicende di Serifo ci sono note in parte grazie allo storico ateniese Ferecide, vissuto nel V secolo a.C., che ce la racconta in alcuni frammenti della sua opera (purtroppo perduta) intitolata Genealogie, ma soprattutto grazie a due repertori mitologici, la Biblioteca attribuita (erroneamente) all’ateniese Apollodoro (scritta in greco) e le Fabulae di Igino (scritte in latino).
Ma, prima che Apollodoro (o chi per lui) la riassumesse, tra il I e il II secolo d.C., nel suo manuale, l’arrivo di Perseo nelle Cicladi era stato messo in scena dai grandi poeti tragici ateniesi del V secolo a.C. Purtroppo le loro tragedie sono andate perdute: sappiamo che Sofocle ed Euripide composero entrambi una Danae; Euripide scrisse anche una tragedia intitolata Ditti. Di queste tre tragedie ci rimangono solo pochi frammenti: della Danae sofoclea (che probabilmente metteva in scena le vicende anteriori alla partenza della protagonista dalla nativa Argo) ce ne restano appena due (di cui uno è una frase di Acrisio, che giustifica la sua decisione dicendo che la nascita del figlio di Danae equivale alla sua rovina); di quella euripidea ne possediamo una ventina (che tuttavia ci dicono molto poco su come il poeta tragico avesse costruito il suo dramma); altrettanti ce ne rimangono del Ditti, messo in scena nel 431 a.C. insieme alla ben più famosa Medea.
Eschilo, il più antico dei tre tragici, compose invece il dramma satiresco Diktyolkoi, un titolo che significa I pescatori con la rete. La caratteristica peculiare di questo genere teatrale era costituita dall’inserimento, nelle vicende drammatiche del mito (in questo caso l’arrivo di Danae a Serifo e le insistenti pretese matrimoniali di Polidette), di un elemento comico, che era rappresentato dalla presenza, sulla scena, di un coro di satiri, personaggi metà uomini e metà animali (la parte inferiore del corpo era di natura caprina), guidati da Sileno, figlio di Pan e compagno di avventure del dio Dioniso (il Bacco dei Romani). Nel primo dei due frammenti papiracei che ci sono rimasti, il più breve (una ventina di versi), abbiamo il dialogo di due personaggi, Ditti e (molto probabilmente) Sileno, che discutono sull’identità del misterioso oggetto che è rimasto impigliato nelle maglie di una rete da pesca e che deve essere trascinato a riva (la cassa che contiene Danae con il figlioletto Perseo); nel secondo, il più lungo (circa settanta versi), il vecchio Sileno cerca di tranquillizzare Danae promettendo a lei e al piccolo Perseo una vita tranquilla e serena, lontana da Argo.
Prima di raccontare l’impresa di Perseo, vale la pena di sottolineare una curiosa variante romana di questo mito greco. Nell’Eneide di Virgilio l’arca di Danae non approda infatti nelle Cicladi: dopo avere a lungo vagato nel Mediterraneo, «spinta dal Noto impetuoso», la cassa si ferma sulle rive del Lazio. Qui i «coloni di Acrisio» (un’allusione agli abitanti di Argo che avevano accompagnato la cassa) fondano la città di Ardea; uno degli antichi sovrani della città, Dauno (il cui nome richiama quello di Danae), sarà il padre di Turno, il guerriero italico che cercherà invano di opporsi all’arrivo di Enea (7.409 ss.).
Il difficile compito che Perseo deve affrontare per ordine del geloso Polidette assomiglia ad altre analoghe imprese ordinate ad altri eroi della mitologia classica: senza scomodare Eracle, l’Ercole dei Romani, che ne deve compiere addirittura dodici per obbedire agli ordini di suo fratello Euristeo, possiamo ricordare le avventure che affronta Teseo per dimostrare al re Egeo che è davvero suo figlio (sì, è proprio il ragazzo che Egeo ha avuto dopo la notte d’amore con Etra a Trezene) oppure quelle che compie Giasone con gli Argonauti (culminate nella conquista del vello d’oro) per conto dello zio Pelia, che aveva usurpato il trono di suo padre Esone.
Qual è l’ardua impresa che Polidette affida a Perseo? Tagliare la testa di Medusa, una delle Gorgoni. Non si trattava certo di uno scherzo: le Gorgoni erano tre creature mostruose che avevano la testa ricoperta di serpenti; le loro bocche erano dotate di zanne affilate come quelle di un cinghiale; avevano le mani di bronzo e, grazie alle ali d’oro, erano perfino in grado di volare. Inoltre, come se non bastasse, tramutavano in pietra coloro che esse guardavano negli occhi. Due di loro, Stenno ed Euriale, erano immortali; la terza, Medusa, era invece mortale – ed era proprio la testa di Medusa che Polidette aveva chiesto al ragazzo che, con la sua presenza, ostacolava il suo amore.
Questo, almeno, secondo la versione più nota – perché dalla Biblioteca di Apollodoro veniamo a sapere che una simile missione impossibile sarebbe stata suggerita dallo stesso Perseo. Polidette aveva chiesto alla cerchia dei suoi amici più fedeli (della quale faceva parte anche il giovane figlio di Danae) un contributo per il regalo di nozze che aveva intenzione di fare alla bella Ippodamia, figlia di Enomao, re di Pisa (una città del Peloponneso); tra il serio e il faceto, Perseo gl...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Simone Beta
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Luigi Marfé
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Perseo

APA 6 Citation

Beta, S. (2022). Perseo ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3475939/perseo-laudacia-dellavventura-pdf (Original work published 2022)

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Beta, Simone. (2022) 2022. Perseo. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3475939/perseo-laudacia-dellavventura-pdf.

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Beta, S. (2022) Perseo. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3475939/perseo-laudacia-dellavventura-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Beta, Simone. Perseo. [edition unavailable]. Pelago, 2022. Web. 15 Oct. 2022.