Sisifo
eBook - ePub

Sisifo

I grandi peccatori

Alberto Camerotto, AA.VV., Alberto Camerotto, Alberto Camerotto

  1. Italian
  2. ePUB (apto para móviles)
  3. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

Sisifo

I grandi peccatori

Alberto Camerotto, AA.VV., Alberto Camerotto, Alberto Camerotto

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

Figlio di Eolo e di Enarete, Sisifo appartiene a una delle prime grandi stirpi sulla terra. Vive a Efira, città che lui stesso ha fondato, quella che poi diventerà Corinto. Qui sposa Merope, figlia di Atlante, una delle Pleiadi, che sorgono a segnare i lavori degli uomini quando è ora di mietere il frumento e tramontano quando è il tempo dell'aratura. Un giorno Sisifo vede Zeus rapire Egina, una delle dodici figlie del fiume Asopo. Dovrebbe tacere, invece rivela l'accaduto al padre Eolo. Zeus adirato gli manda per punizione Thanatos, la morte. Ma Sisifo, ed ecco la sua colpa, reagisce e la incatena, mutando gli assetti del mondo: se non muore Sisifo, non muore nessuno. Sisifo è il più astuto di tutti i mortali, ma per gli uomini è molto pericoloso sfidare il potere degli dèi. Così scenderà nell'Ade, condannato a spingere un masso su per un monte, in una pena senza fine.

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es Sisifo un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a Sisifo de Alberto Camerotto, AA.VV., Alberto Camerotto, Alberto Camerotto en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Storia y Storia dell'antica Grecia. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Editorial
Pelago
Año
2022
ISBN
9791255010333

Il racconto del mito

Sisifo nell’opera di Franz von Stuck, pittore tedesco, amante della classicità e, tra gli altri, animatore della Secessione viennese.
Sisifo nell’opera di Franz von Stuck, pittore tedesco, amante della classicità e, tra gli altri, animatore della Secessione viennese.

L’Ade

Scendere all’Ade è un bell’impegno. Certo non è cosa da tutti. I miti e i poeti antichi lo sanno dire in molti modi. È un luogo altro nel cosmo, il più lontano possibile da tutto ciò che conosciamo. Sta in un altrove per definizione, con tante potenzialità che resteranno, perfino egualitarie e democratiche. Lo chiamiamo per questo l’altro mondo, che per noi suona, ovviamente, abbastanza sinistro. Ma era così anche per gli antichi, non è un gran bel posto. Ci incuriosisce, ci affascina, ma soprattutto ci spaventa.
La geografia mitica l’altro mondo lo colloca agli estremi margini della terra, all’ultimo confine dell’Oceano: è il luogo dove ci sono le porte famose sulle quali si incontrano il giorno e la notte. In tutte le nostre rappresentazioni, senza preoccupazioni di contraddirci, può stare però più facilmente anche sotto terra e più in là ancora, nel profondo dell’abisso: qui si arriva giù giù fino al Tartaro, che, come lo chiama qualche amico filologo, è la prigione di massima sicurezza di Crono e dei Titani, fatta apposta per i nemici di Zeus e degli dèi olimpi. Da qui non si esce proprio più. Il viaggio è ancora più impegnativo: un’incudine che precipitasse nel vuoto ci impiegherebbe nove giorni e nove notti per arrivarci. Insomma, questo è il regno dei morti, il grande dominio di Plutone o Aidoneo, o noi diciamo più semplicemente di Ade. Qui è la sua reggia, che non è da meno di quella del fratello Zeus. E anche il suo potere non è meno temibile. Con questo mondo non c’è da scherzare.
Per noi mortali arrivare qui è sicuramente il viaggio più difficile, o meglio quello più brutto. Lo dice proprio Eracle, quando vede arrivare Ulisse, nei celebri versi di Omero che rappresentano l’investitura, il riconoscimento del più grande di tutti gli eroi greci per il protagonista di una nuova catabasi. Tra tutte le sue fatiche non c’è stato mai nulla di più duro di questo, della discesa agli inferi. E poi lo ripete spesso, in ogni occasione, magari per vantarsi. Questa è l’impresa per gli eroi più grandi, nel curriculum non manca mai se si vuole essere qualcuno.
Chiaramente è l’Ade il luogo dove tutti dobbiamo finire, e, almeno come sappiamo dai paradossi dell’impresa eroica di Dioniso e di Xantia nelle Rane di Aristofane, arrivarci in sé potrebbe essere facile. Le vie sono innumerevoli, ma quello che conta è che basta morire: per far prima, così recita beffardamente la commedia, si può usare uno sgabello e una corda. Certo sembra di soffocare. Oppure una via piuttosto rapida e ben battuta è quella del mortaio per pestare la cicuta. Ti viene freddo alle gambe, ma funziona. Andrà bene anche per i filosofi. O ancora, una buona via in discesa è quella di buttarsi giù da una torre, anche se ti riduci in polpette. Naturalmente bisogna avere un doppio obolo per pagare il traghetto. Altrimenti dicono che non si passa. Potrebbe essere un vantaggio.
Il difficile è, però, andarci da vivi, e soprattutto poi bisogna trovare la via del ritorno. Per arrivare tra i morti Ulisse, che è il nostro primo e più importante testimone, deve compiere un viaggio per mare, fino alle estreme correnti dell’Oceano, verso l’ignoto. Ci vollero le utili istruzioni di Circe, una dea, soprattutto una maga molto esperta, per arrivarci. E poi ci vuole di solito anche una guida. Perfino Ulisse ne sente il bisogno. È costretto a farne a meno, ma rimane poi tra le dotazioni dei viaggiatori futuri.
La geografia mitica l’altro mondo lo colloca agli estremi margini della terra, all’ultimo confine dell’Oceano: è il luogo dove ci sono le porte famose sulle quali si incontrano il giorno e la notte. In tutte le nostre rappresentazioni, senza preoccupazioni di contraddirci, può stare però più facilmente anche sotto terra e più in là ancora, nel profondo dell’abisso: qui si arriva giù giù fino al Tartaro, che, come lo chiama qualche amico filologo, è la prigione di massima sicurezza di Crono e dei Titani, fatta apposta per i nemici di Zeus e degli dèi olimpi.
Facile tutto sommato è scendere. L’abbiamo detto. Ma il problema è ritornare alla luce. Perché questo è un paese senza ritorno, di qui non c’è nessun nostos. Ecco quello che succede. L’Ade all’arrivo ha delle porte grandi, larghissime, ma diventa immediatamente pylartes, ovvero “che tiene le porte ben serrate”, giusto una volta che sei entrato: lo dice perfino Zeus, che non ha problemi come noi, non c’è nulla di più odioso delle porte di Ade. Una volta che le hai superate si chiudono per sempre. Cioè sei morto. E poi c’è Cerbero, che agisce secondo lo stesso principio e lo rende più vero: il cane mostruoso scodinzola quando arrivi, ti fa quasi le feste, ma se tenti di fare il percorso in senso contrario si scatena con le sue tre, cinquanta, cento bocche, coi suoi latrati spaventosi, che rimbombano più terribili negli antri vuoti e neri dell’altro mondo.
È successo qualche rara volta che qualcuno sia tornato. Magari per un solo giorno come Protesilao, che vuole rivedere la giovane sposa Laodamia: è morto a Troia, appena sbarcato. Non ha fatto in tempo nemmeno a capire che cos’era la guerra. Orfeo con il potere straordinario della sua musica prova a riportare alla vita Euridice. Ma poi fallisce come un principiante. C’è riuscito bene Eracle, per la storia di Cerbero. E poi gli va bene anche con Alcesti, per fare un favore all’amico Admeto. Ulisse e Teseo, ormai lo possiamo dire, ci riescono seguendo le tracce di Eracle. Anche l’Enea di Virgilio non manca di fare tappa tra i morti, per poi trovare una nuova patria. Infine c’è il caso speciale di Castore e Polluce, che vanno e vengono a giorni alterni, come sa spiegare Pindaro. Ma c’è anche il mito platonico di Er, e poi ci sono i racconti satirici di Luciano di Samosata, tra i Dialoghi dei morti, il Cataplus e la Negromanzia. Menippo fa la sua esplorazione mettendo insieme le virtù di Eracle, Orfeo e Ulisse, e, meglio di tutti, con un banale espediente, ritorna senza troppi problemi sulla terra. Gli effetti li vediamo e sono notevoli. Ma l’idea fondamentale è che dall’Ade di regola non vi è ritorno alla vita. Il confine tra i morti e i vivi è naturalmente inviolabile. Anzi, dell’Aldilà – nonostante le molte credenze in proposito – nessuno può neppure avere notizia. In sostanza non ne sappiamo niente, quello che raccontiamo sono probabilmente solo invenzioni dei poeti.
A questo punto immaginiamoci una scenografia dell’Ade. Ulisse attraversa l’Oceano. Naviga sulle correnti finché la luce del sole scompare: tutto è buio nella terra dei Cimmeri, dove si trova uno degli accessi per l’Aldilà. Ogni cosa è avvolta di caligine e di nuvole. Qui il sole non sorge e non tramonta, ma vi è una perenne notte funesta. Come se Omero avesse visto le terre dell’estremo nord quando non si leva mai la luce. Il buio del regno dei morti fa impressione, ma poi in fin dei conti tornerà utile. Ha anche qualcosa di utopico nella sua dimensione egualitaria.
Chi vuole intraprendere la catabasi dovrà arrivare al lido basso e desolato, dove subito si viene invasi da una sensazione di tristezza e di nostalgia: là c’è il bosco pallido di Persefone, con gli alti pioppi bianchi e i salici che perdono i frutti. Si aprono qui gli antri senza fondo delle dimore di Ade. Scorrono i fiumi infernali, l’Acheronte, il Piriflegetonte, il Cocito, che è un ramo dell’acqua sacra dello Stige. Si leva una rupe dove si scontrano tuonando le correnti nere e tumultuose.
Nell’immaginario, sull’Acheronte o sulla più ampia e placida palude, melmosa e putrida, sta il traghetto di Caronte, naturalmente con l’imbarcadero e con tutte le fermate, per dirla con Aristofane, tra il Ristoro dagli affanni, la Piana del Lete, Tosalasino, Cerberii, la stazione della Malora, il Tenaro. Poi una volta sbarcati ci sono i giudici, Eaco, Radamanti, Minosse, con il corteggio delle Erinni e di altri mostri utili a sbrigare le questioni della giustizia. E naturalmente ci sono i sovrani di tutto il regno, Ade e Persefone.
Col tempo le cose cambiano un po’, ma altre rimangono. Almeno l’immagine dei grandi dannati resterà sempre la stessa. Perché la loro figura, le loro pene sono il simbolo stesso dell’Aldilà.
Va detto, c’è anche il luogo dei beati. A volte è un altrove collocato ben lontano da qui. Fin dai versi di Esiodo si parla delle Isole dei Beati. O anche di un Elisio. Tutti coloro che in vita sono stati pii e giusti vengono premiati e stanno in un luogo felice. V’è tutto quello che può fare la felicità. Le belle stagioni portano frutti di ogni sorta e in grande abbondanza. Vi sono sorgenti d’acqua pura. Bellissimi prati perennemente primaverili. Non ci sono gli eccessi del freddo e del caldo, non c’è inverno, non c’è estate, ma spira una dolce brezza e ovunque una tenue gradevole luce. Si passa il tempo tra le conversazioni dei filosofi, gli spettacoli dei poeti, le danze circolari, le musiche dolcissime, i canti e i banchetti armoniosi, le vivande che da sole, automata, si imbandiscono sulle tavole, senza fatica e senza spesa. Non ci sono dolori e sofferenze, ma solo piacere e gioia.
Ma a noi interessa il luogo degli empi. Può essere più o meno affollato. Per Omero senza troppe distinzioni di spazio e di ordine rispetto agli altri eroi, ci sono nella parte dei dannati solo Tizio, Tantalo e Sisifo. Poi spesso la scena si arricchisce di Issione e delle Danaidi. Più tardi, con Virgilio e la catabasi di Enea, il luogo degli empi diviene piuttosto affollato. È comprensibile. Certo con la folla si perde un po’ il senso del paradigma, ha bisogno sempre più di essere dichiarato, ma lo spettacolo è notevole. A cominciare dai suoni: gemiti strazianti, che fanno paura più che compassione, perché ormai non hanno più niente di umano, crudeli percosse, stridore di ferro, catene trascinate che lasciano intuire le macchine della tortura. Il carcere e i tormenti li dirige Tisifone.
Ma veniamo alle motivazioni. Perché scendere nell’altro mondo da vivi? Eroi, poeti e anche qualche filosofo, tutti devono fare i conti con questa domanda. Ci sono di mezzo la verità, la conoscenza, e il nostro paradigma spettacolare, i grandi dannati c’entrano da vicino con questa domanda. Forse si scende nell’Aldilà proprio per vedere lo spettacolo delle loro torture. Spiegano in maniera chiara qualche verità che sulla terra non riusciamo a capire. Insomma, abbiamo bisogno di sapere.
Per Omero senza troppe distinzioni di spazio e di ordine rispetto agli altri eroi, ci sono nella parte dei dannati solo Tizio, Tantalo e Sisifo. Poi spesso la scena si arricchisce di Issione e delle Danaidi. Più tardi, con Virgilio e la catabasi di Enea, il luogo degli empi diviene piuttosto affollato.
La causa del viaggio, ragione della grande impresa sta sempre allora in questo: si arriva all’Ade alla ricerca di una risposta a un dubbio, a una aporia. La parola Aletheia, ossia la verità, è presente dappertutto. Sull’Ade e sull’acqua dello Stige giurano gli dèi e gli uomini. Si sa, a questo giuramento non si può sfuggire. La menzogna qui è bandita. Quando si superano l’Acheronte e il Cocito si giunge nella pianura della verità. Se ci fosse un cartello sarebbe scritto Pian del Vero. È il luogo del giudizio. Qui ci sono i giudici Minosse e Radamanti, e non è assolutamente possibile sfuggire al loro esame, vedono tutto. Neppure le arti retoriche servono a qualcosa, sebbene non siano cosa disprezzabile neanche qui.
Ripensiamo a Ulisse, e con lui a tutti gli altri che sono arrivati quaggiù. Proprio questo è il senso del viaggio, l’eroe deve conoscere la verità sul suo destino. E anche qualcosa di più. Chi sulla terra vuole capire, chi vuole sapere il senso delle cose, deve percorrere altre vie, altri sentieri. È l’alterità che è importante. L’Ade è il luogo per imparare qualcosa della verità. Questa, allora, è l’inchiesta che rimane a Ulisse per poter finalmente tornare in patria. Se ne ricorderà il Menippo di Luciano per la verità della satira. Per Tiresia, il celebre indovino che nell’Aldilà ti dice quello che ti serve, si insiste proprio su questo: è la persona giusta, che ha i pensieri a posto, ben saldi anche dopo la morte, è l’unico in grado di dire la verità. Solo lui può dare a Ulisse, come a qualsiasi altro, le risposte alle domande che contano: egli è l’eroe del nostos, ciò che gli serve conoscere è la via, la lunghezza del viaggio, come riuscirà a ritornare. Verrà a sapere anche di più di quello che cercava.
Allora si scende nell’Aldilà per vedere, per conoscere e per poi raccontare. Questo lo dice bene già Omero. Quelli che vengono dopo imparano. Come per Ulisse, anche per il filosofo Parmenide è la ricerca della verità ciò che interessa. Vale lo stesso per il mito di Er, a nome di Socrate e di Platone. Il soldato che tutti credevano morto ha visto la piana della verità, ha visto quello che succede agli uomini, alle loro anime, alle loro vite. E anche il Menippo di Luciano, secoli dopo, scenderà nell’Aldilà per trovare le risposte alle sue aporie insolubili sulla terra. Se ne torna con qualche verità semplice e preziosa, che serve per la vita.
A spiegare com’è fatto questo luogo di verità si può allora riprendere l’etimologia fantasiosa, ma per l’appunto a suo modo veritiera, del Cratilo di Platone. Il nome di Ade non viene dall’invisibile (aides), ma dalla possibilità di vedere e di conoscere (eidenai). Questo è proprio il senso dello spettacolo. La lunga teoria dei morti, la serie straordinaria degli incontri diviene esperienza, diviene il fondamento della conoscenza. Come possibilità eccezionale che in altro modo non è data. Per questo, come potremo verificare anche nel buio dell’Aldilà, il verbo del vedere, il bell’aoristo di eidon, si trasforma in modulo formulare che dà il senso a tutto il percorso. È in sé un paradosso, ma è così. Uno schema che ritorna nella storia millenaria delle discese agli inferi. L’obiettivo fondamentale del viaggio sembra essere proprio lo spettacolo eccezionale dei grandi dannati. Bastano anche i tre di Omero. Intanto riconosci il luogo e sai subito dove ti trovi. Ma soprattutto è il monito che funziona, è la potenza della metonimia: anche con la semplice immagine di un supplizio si impara subito e, per sempre, cosa significa vivere sulla terra, quello che si può fare e quello che è meglio non fare.

Sisifo. Una pena spettacolare

La storia comincia per noi da Omero. Ma è sicuramente più antica.
Sono paradigmi. I grandi dannati sono lì per sempre. Sono lo spettacolo ultimo dell’ultimo viaggio. Già forse nelle mitologie d’oriente: anche Gilgamesh li aveva visti molto tempo prima. Al fondo del viaggio nell’Aldilà Ulisse, che qui fa da esploratore per tutti, vede lui: Sisifo.
È uno spettacolo, inquietante, tremendo, faticoso anche alla vista, che si impone nelle formule come sulla pietra calcarea dell’Heraion del Sele. È lì per sempre. Sappiamo che quella di Sisifo è una storia che parla delle cose più importanti e difficili, ci ricorda qualcosa che vale per tutti: è lo scontro destinato alla sconfitta per ogni uomo, quello con la morte. Ma quello che vediamo con gli occhi di Ulisse è altro. È tutta forza visiva ed esemplare nell’iterazione che sta in quel verbo degli occhi che rimarrà per sempre in questa esperienza del viaggio oltremondano. Nella frase epica è l’oggetto del vedere che conta, subito lui, Sisifo, e poi c’è la formula che conclude il verso e resta lì nel suo ritmo della chiusa. Sono le sofferenze dure, atroci, fatte per imporre una reazione, per una resistenza che è proporzionale al supplizio e alla forza degli eroi.
Questa sofferenza Sisifo ce l’ha addosso, diventa la sua essenza. Sisifo rimane fissato in quel gesto, in quello sforzo perenne, come ci siamo accorti da Omero in poi. E quel che conta è anche nella potenza aspettuale, per la quale vale la pena conoscere il greco antico anche tremila anni dopo. È l’azione che continua, che si ripete, che si estende nel tempo e nello spazio, che non sembra avere la possibilità di una fine. Qui non la può più avere. In effetti la morte è un tempo senza tempo, infinito. Sono degli emata panta, «tutti i giorni», in una totalità senza conclusione. Qualsiasi esistenza oltre il confine della morte non può avere che questi tratti.
È un macigno enorme già nel suono della parola che lo annunzia, che schiaccia e opprime questo dannato eroico, il quale si oppone a questa oppressione, resiste con tutta la tensione del suo corpo, con le sue due braccia e le mani protese sostiene il peso mostruoso. Sì, proprio mostruoso, ciò che è oltre la normale possibilità di comprensione della natura umana. Supera le nostre categorie, eppure Sisifo deve farci fronte. Vuole farci fronte. E non è lo scontro di un momento, come di solito è nelle imprese degli eroi. Anche se noi non lo possiamo capire, è un ergon senza fine, un paradosso logico.
Contro il macigno della sua pena eterna si puntella, e si aggrappa, con le mani e con i piedi. Tutta la sua figura, tutto il disegno completo del suo essere si mette in gioco senza requie. Spinge verso l’alto la pietra, nelle sillabe e nei suffissi aspri ripetuti si percepisce lo sviluppo dell’atto, che comincia, continua, e continua ancora. Il quadro dell’azione è un colle, una china in salita, ripida quanto basta. Lo spazio ha una forma, ha apparentemente un termine. C’è una cima, sulla quale nella normalità ha termine la fatica che da mortali conosciamo. Che ogni cosa sulla terra abbia una fine è forse un bene. Ti lascia comunque una speranza. Dovrebbe valere almeno il pensiero che una volta morti non c’è più nulla che ti possa fare del male, neppure un mostro come Cerbero può spaventarti con le tre teste e con i suoi latrati assordanti.
Sappiamo che quella di Sisifo è una storia che parla delle cose più importanti e difficili, ci ricorda qualcosa che vale per tutti: è lo scontro destinato alla sconfitta per ogni uomo, quello con la morte. Ma quello che vediamo con gli occhi di Ulisse è altro. È tutta forza visiva ed esemplare nell’iterazione che sta in quel verbo degli occhi che rimarrà per sempre in questa esperienza del viaggio oltremondano.
Ma qui è diverso. Sisifo può arrivare a questo culmine, è un vertice e oltre non si può andare. Così appare, così lo immaginiamo. Ma il dramma sta proprio qui. Nello stesso attimo in cui Sisifo sembra sovrastare la logica del suo supplizio, quando arriva al colmo di quel pendio, quando sembrerebbe aver pagato il suo riscatto, succede qualcosa che è inconcepibile, che non si può spiegare, perché viola ogni regola del nostro pensiero.
È qualcosa per il quale non abbiamo gli strumenti intellettuali adeguati, almeno per trovarne il senso. Un demone orribile è lì pronto in agguato, per sempre, con una parola indicibile, Krataiis, se questo è davvero il suo nome, che nei miti vale anche per la madre spaventosa di Scilla: è la personificazione di una violenza contro la quale non ci può es...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Alberto Camerotto
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Alberto Camerotto
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Sisifo

APA 6 Citation

Camerotto, A. (2022). Sisifo ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3475941/sisifo-i-grandi-peccatori-pdf (Original work published 2022)

Chicago Citation

Camerotto, Alberto. (2022) 2022. Sisifo. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3475941/sisifo-i-grandi-peccatori-pdf.

Harvard Citation

Camerotto, A. (2022) Sisifo. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3475941/sisifo-i-grandi-peccatori-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Camerotto, Alberto. Sisifo. [edition unavailable]. Pelago, 2022. Web. 15 Oct. 2022.