2030 d.C.
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2030 d.C.

Come sarà il mondo fra dieci anni

Mauro F. Guillén

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2030 d.C.

Come sarà il mondo fra dieci anni

Mauro F. Guillén

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C'era una volta un mondo diviso tra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, dove nascevano molti bambini e c'erano più lavoratori che pensionati, un mondo dove tutti usavano le valute ufficiali e dove i centri di potere economico erano evidenti, il mondo in cui siamo cresciuti e di cui conosciamo le regole.Ora questo mondo sta per finire.La realtà in cui vivete sta mutando giorno dopo giorno: sono piccoli cambiamenti impercettibili della società, di cui magari non vi siete accorti ma che lentamente si sommano fino a generare effetti inarrestabili fino al giorno in scoprirete di vivere in una pianeta molto diverso. Quello che ci aspetta è un futuro in cui i mercati saranno dominati da paesi emergenti come Cina e India, dove le nascite diminuiranno in tutti i continenti e gran parte della popolazione sarà composta da ultrasessantenni, dove le donne controlleranno più ricchezza degli uomini, in cui le megalopoli diventeranno sempre più grandi e sempre più connesse. Nel mondo di 2030 d.C. la tecnologia diventerà ancora più pervasiva e essenziale per il funzionamento della società: attorno a noi ci saranno più robot che lavoratori, più sensori che occhi e il denaro tradizionale sarò sostituito da criptovalute personalizzate.Mauro F. Guillén ha tracciato una guida autorevole e completa per prepararsi al futuro senza paura: disegna un'audace mappa per orientarsi attraverso le sfide e le incertezze che ci attendono, descrive i cambiamenti più radicali del prossimo decennio, spiega come anticipare le tendenze che diventeranno parte della vita quotidiana e invita a leggere le incertezze del futuro come nuove possibilità.

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Informations

Année
2020
ISBN
9788865768785
1. Segui i bambini
La carestia demografica, il boom delle nascite in Africa
e la prossima Rivoluzione industriale
Il bambino non viene al mondo solo con una bocca e uno stomaco, ma anche con due mani.
Edwin Cannan, economista e demografo
Il ritmo della crescita demografica appare spaventoso. Nel 1820 al mondo c’erano un miliardo di persone. Un secolo dopo, ce n’erano più di due miliardi. Dopo una breve pausa, conseguenza della Grande depressione e della Seconda guerra mondiale, il tasso di crescita subì un’accelerazione impressionante: tre miliardi nel 1960, quattro miliardi nel 1975, cinque miliardi nel 1987, sei miliardi nel 2000, e sette miliardi 2010.
«Controllo delle nascite o corsa verso l’oblio?» era lo strillo sulla copertina di un libro autorevolissimo, The Population Bomb, pubblicato nel 1968 da due docenti della Stanford University, Paul e Anne Ehrlich. Da allora, i governi di ogni parte del mondo e vasti segmenti dell’opinione pubblica si sono messi in allarme per ciò che ritengono inevitabile: intaseremo il pianeta e distruggeremo noi stessi (insieme a milioni di specie di piante e animali) nel processo.
La realtà è che entro il 2030 affronteremo una carestia delle nascite.
Nel corso dei prossimi decenni, la popolazione crescerà a una velocità dimezzata rispetto agli anni tra il 1960 e il 1990. In certi paesi, addirittura, la popolazione diminuirà (in mancanza di alti tassi di immigrazione). Per fare un esempio, dai primi anni settanta le donne americane hanno avuto in media meno di due bambini nel corso di tutta la loro età fertile, un tasso insufficiente per assicurare il ricambio generazionale. Lo stesso si potrebbe dire per molti altri stati nel mondo. In paesi anche molto diversi, come Brasile, Canada, Svezia, Cina, Giappone, ci si comincia a domandare chi si prenderà cura degli anziani e chi pagherà le pensioni.
Con i tassi di natalità in calo in Asia orientale, in Europa e nelle Americhe, e una flessione molto meno percepibile in Africa, Medio Oriente e Asia meridionale, gli equilibri mondiali del potere economico e geopolitico cambiano. Rifletteteci. Per ogni bambino che nasce in questi giorni nei paesi più sviluppati, ne nascono più di nove nei paesi dai mercati emergenti o in via di sviluppo. In altre parole, per ogni bambino che nasce negli Stati Uniti, ne nascono 4,4 in Cina, 6,5 in India, e 10,2 in Africa. In più, i miglioramenti nell’alimentazione e nella prevenzione sanitaria delle aree più povere del mondo hanno fatto sì che un numero sempre maggiore di bambini raggiungesse l’età adulta, e diventasse a sua volta genitore. Mezzo secolo fa, nei paesi africani come il Kenya e il Ghana, un bambino su quattro moriva prima di compiere quattordici anni; oggi, meno di uno su dieci. Questi rapidi mutamenti nelle dimensioni relative della popolazione tra i vari paesi del mondo non sono trainati solo da chi fa più bambini, ma anche da chi sta vedendo la propria speranza di vita crescere più rapidamente. Per capirci, negli anni cinquanta le persone nate nelle aree meno sviluppate del pianeta vivevano in media trent’anni di meno rispetto a quelle nate nelle zone più sviluppate. Oggi la differenza è di diciassette anni. Tra il 1950 e il 2015, i tassi di mortalità sono scesi del 3 per cento in Europa, ma di un incredibile 65 per cento in Africa. I paesi più poveri stanno recuperando nella speranza di vita grazie a una minore mortalità tra tutte le fasce di età.
Per valutare l’impatto globale di questi mutamenti demografici, guardate la figura 3. Mostra la percentuale della popolazione nelle varie regioni sul totale mondiale tra il 1950 e il 2017, con una stima per il 2100 calcolata dalle Nazioni Unite.
Concentratevi sul 2030. Entro quell’anno, l’Asia meridionale (compresa l’India) consoliderà la sua posizione di regione più popolata. L’Africa sarà al secondo posto, mentre l’Asia orientale (compresa la Cina) sarà relegata al terzo. L’Europa, che nel 1950 era seconda, precipiterà al sesto posto, dietro il Sudest Asiatico (che comprende, tra gli altri paesi, Cambogia, Indonesia, Filippine e Thailandia) e Sud America.
Le migrazioni globali potrebbero in parte mitigare questi mutamenti epocali, ridistribuendo tra le regioni in deficit di nascite persone provenienti dalle zone del mondo che ne hanno in eccesso. In effetti, è andata così più volte, nel corso della storia, come quando in tanti migrarono dal Sud al Nord Europa, tra gli anni cinquanta e sessanta. Questa volta, tuttavia, le migrazioni non ovvieranno alle previsioni del nostro grafico. Posso dirlo perché troppi governi sembrano decisi a costruire muri, facendoli in vecchio stile (con malta e mattoni), o sfruttando la tecnologia, come i laser o i rilevatori chimici, per controllare i confini, o combinando entrambi i modi.
Ma anche se i muri non venissero mai costruiti, o li si rendesse inefficaci, le mie stime indicano che l’impatto delle migrazioni non potrebbe avere una grande incidenza su questi trend demografici. Con gli attuali tassi di migrazione e crescita della popolazione, l’Africa subsahariana (i cinquanta stati africani che non affacciano sul Mediterraneo) entro il 2030 diventerà la seconda regione più popolata al mondo. Poniamo per un attimo che l’entità delle migrazioni raddoppi durante i prossimi vent’anni. Questo valore doppio non farebbe che correggere il calcolo al 2033. Non svierebbe i trend demografici di base dal condurci alla fine del mondo per come lo conosciamo: la ritarderebbe semplicemente, di circa tre anni.
Donne e bambini dominano il mondo
Quindi cosa sta alla base del calo globale della natalità? Rispondere non è semplice. Del resto, per concepire un bambino basta seguire una tecnica ben nota, semplice da usare ed estremamente apprezzata. Per cominciare a rispondere, lasciate che vi parli del mio albero genealogico. Una mia trisavola, in Spagna, ha avuto ventuno gravidanze, e ha dato alla luce diciannove figli. Il primo è nato quando aveva ventun anni, l’ultimo quando ne aveva quarantadue. Con l’industrializzazione, e con un più ampio accesso delle donne all’istruzione, le famiglie si sono ristrette, via via, fino ad arrivare a uno o due figli per donna.
Ciò che è importante comprendere è che in altre parti del mondo, tra cui l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia meridionale, oggi ci sono milioni di donne, che durante la loro vita danno alla luce cinque, dieci, o anche più bambini. In media, comunque, col passare del tempo anche nei paesi in via di sviluppo il numero di figli per donna sta diminuendo, e per le stesse ragioni per cui ha cominciato a precipitare due generazioni fa nel mondo industrializzato. Oggi le donne godono di molte opportunità in più fuori dalle mura domestiche. Per sfruttarle portano avanti l’istruzione e, in molti casi, proseguono con gli studi superiori. Ciò, di conseguenza, significa che rimandano la gravidanza. Più in generale, la trasformazione del ruolo della donna nell’economia e nella società è, di per sé, il fattore più importante a monte del declino globale della natalità. Le donne incidono sempre di più su ciò che accade nel mondo.
Prendete in considerazione il caso degli Stati Uniti, dove le priorità delle donne sono mutate rapidamente. Negli anni cinquanta, le donne americane si sposavano a un’età media di vent’anni; gli uomini, in media, a ventidue. Oggi, rispettivamente, a ventisette e ventinove. Un’istruzione più prolungata ha contribuito in larga misura a questo cambiamento. La maggior parte delle donne oggi si diploma alla scuola superiore, e gran parte di loro va avanti con gli studi universitari. Negli anni cinquanta, circa il 7 per cento delle donne tra i venticinque e i ventinove anni aveva una laurea, la metà rispetto agli uomini. Oggi, la quota di donne laureate è vicina al 40 per cento, mentre tra gli uomini il dato si ferma al 32 per cento.
Il sesso ci interessa sempre meno
L’andamento della popolazione tende a essere caotico. Per millenni, la crescita della popolazione è stata condizionata dalla disponibilità alimentare, dall’insorgenza di guerre, dal diffondersi delle malattie, e dall’impatto di calamità naturali. Filosofi, teologi e scienziati hanno affrontato per secoli la questione di quanti uomini possano essere sostenuti dalle risorse del pianeta. Nel 1798, il reverendo Thomas Robert Malthus, economista e demografo inglese, mise in guardia da ciò che più tardi avrebbe preso il nome di «trappola malthusiana», e cioè la nostra tendenza a riprodurci troppo e a esaurire le fonti di sostentamento. Negli anni in cui visse Malthus, la popolazione mondiale era attorno al miliardo (a fronte dei 7,5 miliardi di oggi). Pensava che l’uomo fosse il peggior nemico di se stesso, a causa dei suoi impulsi sessuali sfrenati. Dal suo punto di vista, la crescita incontrollata della popolazione sarebbe sfociata nella carestia e nella malattia, perché l’offerta alimentare non avrebbe potuto stare al passo con la popolazione. Malthus, come molti dei suoi contemporanei, temeva che la specie umana fosse a rischio di estinzione per eccesso riproduttivo. «Il potere di popolazione» scriveva «è tanto superiore al potere di produrre sussistenza per l’uomo di cui è dotata la terra, che inevitabilmente la morte prematura sorprende, in un modo o nell’altro, la razza umana.»
Con il senno di poi, oggi possiamo dire che Malthus abbia sottovalutato il potenziale di invenzione e innovazione, che ha portato a miglioramenti straordinari della resa agricola. Ha minimizzato anche le immense possibilità di espansione dell’offerta alimentare nel mercato globale, dovute a mezzi di trasporto transoceanici più rapidi ed economici. In ogni caso, aveva ragione a evidenziare che alimentazione e popolazione sono due facce della stessa medaglia.
Se Malthus ha sottovalutato l’impatto potenziale dell’innovazione nella produzione e nella distribuzione alimentare, ha trascurato completamente che la tecnologia moderna avrebbe potuto ridurre la libido. La relazione tra le due è di una semplicità disarmante. Più numerose sono le forme di svago alternative a disposizione, minore è la frequenza con cui ci dedichiamo al sesso. La società moderna offre tutta una serie di possibilità di svago, dalla radio alla tv, dai videogiochi ai social media. In certi paesi avanzati, inclusi gli Stati Uniti, è dagli ultimi decenni che gli indici di attività sessuale sono in calo. Un ampio studio pubblicato negli Archives of Sexual Behavior ha scoperto che «nei primi anni dieci del Duemila, gli adulti americani hanno avuto nove volte meno rapporti sessuali per anno rispetto agli ultimi anni novanta», una flessione rilevata soprattutto tra le coppie sposate e tra i partner stabili. Calcolando per età, «i nati negli anni trenta (la cosiddetta generazione silenziosa) hanno avuto i rapporti sessuali più frequenti, mentre i nati negli anni novanta (millennial e generazione z, o iGen) hanno avuto i rapporti più sporadici». Lo studio conclude che «gli americani hanno rapporti sessuali sempre meno frequenti a causa […] del numero crescente di individui privi di partner stabili o coniugali e del calo nella frequenza dei rapporti tra gli individui con partner».
Un esempio divertente che dimostra gli effetti delle forme di svago alternative sul nostro desiderio sessuale ha a che fare con un blackout. Nel 2008, sull’isola di Zanzibar, a largo dell’Africa orientale, un guasto elettrico particolarmente grave durò un mese intero. Interessò solo la parte dell’isola in cui le case erano allacciate alla rete; il resto della popolazione continuò a usare i generatori diesel. Questa situazione fornì ai ricercatori un «esperimento naturale» unico per lo studio degli effetti di un blackout sui concepimenti, poiché il «gruppo di trattamento» degli utenti della rete elettrica rimase senza elettricità per un mese, mentre il «gruppo di controllo» che usava i generatori diesel continuò ad averne. Nove mesi più tardi, nel gruppo di trattamento ci fu un aumento delle nascite attorno al 20 per cento, ma niente di simile nel gruppo di controllo.
I soldi fanno girare il mondo
Anche i soldi, ovviamente, giocano un ruolo importante nelle nostre scelte sulla procreazione. Nel 2018, il New York Times ha promosso un sondaggio per scoprire perché gli americani avessero sempre meno figli, o addirittura neanche uno. Tra le prime cinque ragioni, quattro avevano a che fare con il denaro. «I redditi non aumentano proporzionalmente al costo della vita, e con l’aggiunta dei prestiti per l’istruzione diventa davvero dura mantenere una solidità finanziaria; pure se hai fatto l’università, lavori in azienda e hai un doppio stipendio» fa notare David Carlson, ventinove anni, sposato con una donna che lavora a sua volta. Anche i giovani che provengono da famiglie a basso reddito sono preoccupati dall’avere figli, costretti a scegliere tra metter su famiglia o impiegare il denaro per altre cose di valore. Per esempio, Brittany Butler, originaria di Baton Rouge, Louisiana, è la prima laureata della sua famiglia. A ventidue anni, le sue priorità sono specializzarsi in servizio sociale, ripagare i prestiti per l’istruzione, e vivere in un quartiere tranquillo. I bambini possono attendere.
Negli anni sessanta, l’economista Gary Becker della University of Chicago propose di considerare la questione delle scelte sulla procreazione da un punto di vista rivoluzionario: i genitori fanno calcoli di compromesso tra la quantità e la qualità dei bambini che vorrebbero avere. Per esempio, quando i redditi di una famiglia aumentano, ci si potrà comprare una seconda o una terza auto, ma non se ne compreranno a decine, anche se le finanze continueranno a crescere all’infinito. Né si compreranno decine di frigoriferi o di lavatrici. Becker ne dedusse che, invece di accrescere la quantità, l’aumento dei redditi induce le persone a porre attenzione sulla qualità; insomma, si rimpiazzano i catorci con berline o suv, più nuovi, più grandi, più lussuosi. Quando si tratta dei figli, ciò si traduce in più attenzioni e risorse dedicate a un minor numero di bambini. «L’interazione tra quantità e qualità dei figli» scrisse «è il motivo principale per cui il costo effettivo dei figli cresce insieme ai redditi», e questo vuol dire che se i genitori vedono salire i loro utili, preferiscono investire di più per ciascun figlio, dando loro migliori opportunità di vita.
Le intuizioni di Becker sul comportamento umano gli valsero nel 1992 il premio Nobel per l’economia, e nonostante il suo approccio a una materia complessa come la procreazione trascurasse il ruolo delle preferenze, e delle norme e dei valori culturali, tuttavia riuscì a individuare un importante trend sociale. Molti genitori oggi investirebbero molto più volentieri una quantità maggiore di tempo e risorse per un numero minore di figli, garantendo loro le migliori chance possibili di successo, sia che questo comporti aprire un fondo risparmi per l’università sia pagare per attività extrascolasti...

Table des matières

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Qualche dato e qualche cifra
  4. Introduzione
  5. 1. Segui i bambini
  6. 2. Il grigio è il nuovo nero
  7. 3. Al passo con i Singh e i Wang
  8. 4. Addio secondo sesso?
  9. 5. Prima affogano le città
  10. 6. Più cellulari che water
  11. 7. Imagine no possessions
  12. 8. Più valute che paesi
  13. Conclusione
  14. Ringraziamenti
  15. Fonti
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APA 6 Citation

Guillén, M. (2020). 2030 d.C. ([edition unavailable]). Il Saggiatore. Retrieved from https://www.perlego.com/book/2037321/2030-dc-come-sar-il-mondo-fra-dieci-anni-pdf (Original work published 2020)

Chicago Citation

Guillén, Mauro. (2020) 2020. 2030 d.C. [Edition unavailable]. Il Saggiatore. https://www.perlego.com/book/2037321/2030-dc-come-sar-il-mondo-fra-dieci-anni-pdf.

Harvard Citation

Guillén, M. (2020) 2030 d.C. [edition unavailable]. Il Saggiatore. Available at: https://www.perlego.com/book/2037321/2030-dc-come-sar-il-mondo-fra-dieci-anni-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Guillén, Mauro. 2030 d.C. [edition unavailable]. Il Saggiatore, 2020. Web. 15 Oct. 2022.