Narciso
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Narciso

La morte, lo specchio e l'amore

Ezio Pellizer, Barbara Castiglioni, AA.VV., Ezio Pellizer, Ezio Pellizer

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Narciso

La morte, lo specchio e l'amore

Ezio Pellizer, Barbara Castiglioni, AA.VV., Ezio Pellizer, Ezio Pellizer

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Un mito che Ăš poesia e, allo stesso momento, Ăš aperto a infinite invenzioni e varianti: Narciso che respinge gli amanti di ambo i sessi, che si specchia nella fonte e si innamora per sempre della sua immagine riflessa. In Ovidio Ăš figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso, ma nei secoli della cultura classica, dalle origini sino all'inizio dell'etĂ  ellenistica, Ăš del tutto sconosciuto. Personaggio amato dagli scrittori latini e medievali, a partire dalla versione dominante di Ovidio che lo elabora e rende celebre nelle sue Metamorfosi, citato da Stazio e dai suoi commentatori nelle Silvae e nella Tebaide, noto agli scrittori greci, da Filostrato a Pausania e Plotino, per arrivare a Boccaccio e alla cultura europea dell'Umanesimo e del Rinascimento, e infine diventare celebre nell'etĂ  moderna (secoli XVI-XIX) e contemporanea. Non Ăš difficile prevedere che la sua capacitĂ  generativa, nelle arti, sia destinata a crescere in futuro, come giĂ  sta avvenendo nella diffusione mediatica attuale.

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Informations

Éditeur
Pelago
Année
2022
ISBN
9791255010180

Il racconto del mito

Appartiene a una collezione privata il Narciso del pittore francese Jules Cyrille Cavé realizzato nel 1890.
Appartiene a una collezione privata il Narciso del pittore francese Jules Cyrille Cavé realizzato nel 1890.

La morte, lo specchio e l’amore

La storia di Narciso Ăš considerata, tra le centinaia che ci ha tramandato l’antichitĂ  greca e romana, quella che piĂč ha lasciato il segno, per un paio di millenni, nella cultura europea (e oggi globale), e in ciĂČ sembra entrare in competizione con quella di altri personaggi piĂč noti della religione e della “mitologia” della Grecia antica, come Ulisse, Medea, Edipo, Eracle o altri. Questa tradizione plurisecolare, come un “grande Codice”, si Ăš diffusa per millenni dapprima nel continente europeo, e poi in tutto il mondo occidentale, in quantitĂ  e dimensioni che trovano pochi riscontri, nella storia della cultura e delle letterature comparate. Cercheremo dunque di seguirne le tracce, dalle sue prime manifestazioni ai nostri giorni.
Una prima osservazione da fare, Ăš che, anche se la cosa sembra sorprendente, questa storia appare in tempi relativamente recenti, nella cultura greca: la celebre menzione del narciso in Sofocle (Edipo a Colono, vv. 681-685; scritta e rappresentata postuma intorno agli anni 406-401 a.C.), spesso citata come testimonianza o fonte antica sul “mito di Narciso”, non ha nulla a che vedere con il giovane cacciatore e la sua triste storia, cosĂŹ come la menzione del narciso nell’Inno a Demetra, (v. 8, VI secolo, o al massimo VII secolo a.C.) parla esclusivamente del fiore, e non del personaggio. Si potrebbe dunque suggerire che su questo terreno nasce e si sviluppa «il narciso che, qualche secolo piĂč tardi, al contrario di quanto racconta la leggenda, darĂ  origine al ragazzo dallo stesso nome» come scrisse in un suo eccellente saggio, Françoise Frontisi-Ducroux (1997, p. 239).
Detto questo, possiamo cominciare una sistematica analisi dei testi antichi che parlano del fanciullo e del suo triste destino. Come vedremo, questi testi sono piuttosto scarsi, e nessuno di essi sembra appartenere alla cultura greca arcaica e “classica”, che si conclude, convenzionalmente, con la morte di Alessandro il Grande (323 a.C.).

Fonti erratiche: Nonno di Panopoli

Vicino a Mileto, in Asia Minore, c’ù un monte chiamato Latmos (oggi BeáčŁparmak dağ, in Turchia), ai piedi del quale Eracle aveva fondato Eraclea, una delle tante cittĂ  che portavano il suo nome. Tanto che questa era denominata “Eraclea al Latmos”. Ancor prima, sembra, dunque in tempi antichissimi, dentro una grotta alle pendici di questo monte, la dea Selene (la Luna) si sarebbe unita col giovane e bellissimo Endimione, e avrebbe generato un figlio di nome Narciso. Endimione, com’ù noto, rimase come un eterno Dormiente in quella grotta, condannato per sempre a un sonno senza fine, parodia beffarda dell’immortalitĂ . E la povera Selene (l’improbabile madre di Narciso, secondo questa versione) avrebbe passato i suoi giorni immortali a contemplare nel sonno la bellezza del suo partner per sempre addormentato.
L’infelice figlio della Luna, giovinetto bello come suo padre, era destinato a innamorarsi della propria immagine riflessa in una fonte, fino a morire a causa di quella terribile illusione, come in un sogno trasformatosi in incubo: cosĂŹ si legge in Nonno di Panopoli, poeta egiziano vissuto nel V secolo d.C. (vedi Antologia 1). Non Ăš chiaro, in questa breve e tardiva versione, se Narciso sia morto per annegamento, nelle acque di quella sorgente, o per qualche altra ragione: in tutti i casi, la fonte viene chiamata «assassina», phonĂ­e (Nonno, Dionisiache, 11, 323), il che fa pensare che con quella morte essa abbia avuto a che fare.
Gli studiosi di Nonno sono abbastanza concordi nel ritenere questa versione della storia di Narciso una pura invenzione del poeta greco-egiziano, e discutono sul problema se egli avesse conoscenza della lingua latina e del poeta Ovidio. In tutti i casi, nel mondo ellenistico della Siria (per esempio ad Antiochia sull’Oronte), il “mito” del cacciatore Narciso, associato ad Adone, era rappresentato alla fine del V secolo in mosaici nelle ville patrizie, sembra nella versione ovidiana.

Altre fonti: il Silente di OropĂČs

In una regione chiamata Graia (dal cui aggettivo sarebbe derivato il nome latino e poi europeo della Grecia, graikĂČs = graecus), a OropĂČs, ai confini tra la Beozia e l’Attica, c’ù (e ci sono tutt’ora i resti) un santuario dedicato all’indovino Anfiarao, che fu inghiottito dalla terra col suo cocchio al tempo dei Sette a Tebe, poco dopo la morte di Edipo, diciamo nel XIII secolo a.C. Presso il suo santuario si trovava (al tempo di Strabone, I secolo a.C. e I secolo d.C.) il monumento funebre di un Narcisso (o Narcitto) di Eretria (la cittĂ  sullo stretto dell’isola Eubea), figlio di Amarinto, e non di Endimione, che fu ucciso da un personaggio di cui non sappiamo il nome (Evippo?), nĂ© l’etĂ . Dal sangue di Narciso sparso in questa occasione spuntarono i fiori che porteranno il suo nome, dei quali, si dice, le Erinni per prime presero ad adornarsi, intrecciando corone (vedi Antologia 4). Gli abitanti del luogo eressero dunque un monumento funebre all’infelice giovane, e chiunque si trovasse a passarvi vicino, doveva osservare un silenzio rituale (non ne sappiamo il perchĂ©), per cui la tomba era chiamata il Sepolcro (mnĂšma) di Narciso il Silente (SighelĂČs).
Vale la pena di ricordare che da quelle parti vi sono il golfo di Micaletto (-sso) e il villaggio di Ramnunte, che darĂ  il nome al demo attico dove sorgeva un famoso tempio di Nemesis, la Punizione o Vendetta, chiamato cosĂŹ perchĂ© vi abbonda l’arbusto detto rhĂ mnos (Ranno Spaccasassi, RhĂ mnus Pumila). Per questo, la NĂšmesis veniva chiamata per antonomasia, “Rhamnusia”, e sarĂ  questa divinitĂ , non Eros, a punire un diverso Narciso nella versione di Ovidio, che peraltro Ăš situata in una diversa collocazione geografica. Nel tempio di questa dea minore, in etĂ  storica fu collocata una statua alta 5 metri, opera del grande Fidia o di un suo allievo, di nome Agoracrito (Plin. 36, 16-17).

Conone: l’ingrato efebo di Tespie

Un “mitografo” di etĂ  cesariana e augustea (I secolo a.C. e I secolo d.C.), di cui sappiamo poco o nulla, Conone di Atene, la cui opera Ăš giunta a noi nel riassunto del Patriarca Fozio (IX secolo d.C.), o di qualcuno dei suoi segretari, ci fornisce una versione di Narciso – certamente anteriore a Ovidio – che ci parla di un giovane ingrato che non si concedeva a nessuno dei suoi amanti, in nome del quale gli abitanti di Tespie in Beozia, alle falde del monte Elicona, avevano istituito il famoso culto di Eros. I tratti distintivi che si ricavano da questo testo, non piĂč lungo di una diecina di righe, sono:
a) il rifiuto degli amanti, in un contesto esclusivamente pederotico, da parte del giovane Narciso, del quale non sono precisati i genitori;
b) il nome dell’unico tra i tanti “erasti”, cioù maschi innamorati di lui, che continua nell’amore senza speranza, Aminia (Ameinías); e poi
c) un’informazione esclusiva: Narciso manda all’amante una spada, xĂ­phos, e lo sfida a una prova assurda: «se mi ami, dimostralo uccidendoti con questa»; Aminia in effetti, si uccide;
d) questo atto di colpevole hĂœbris offende il dio Eros, che gli ispira il pentimento per il gesto compiuto e l’assurdo auto-innamoramento, alla vista della propria immagine nel riflesso della fonte;
e) infine abbiamo il suicidio, che dal verbo usato (diakhrào) e dal fatto che il fiore nasca dal sangue di Narciso, potrebbe essere commesso con un’arma da taglio, forse la stessa spada (ma questa ù una semplice illazione) con la quale si era ucciso il povero Aminia.
Non sono precisati dati che ci permettano una cronologia; si dice solo che i cittadini di Tespie praticarono con intensità anche maggiore, sia in pubblico sia in privato, il già esistente culto cittadino di Eros, il dio dell’amore.
Una cosa che mi sembra interessante, Ăš il fatto che la presenza di Narciso nel sito del culto di Eros a Tespie sia documentata in modo inoppugnabile da una rara iscrizione del II secolo dell’era cristiana, in relazione con un esplicito “Giardino di Narciso”, NarkĂ­ssou KĂšpos. Incisa intorno al 124 d.C. Ăš la dedica fatta collocare in quel giardino dall’imperatore Adriano, che offre il trofeo di un’orsa a Eros, figlio di Afrodite Cipride, pregando il dio di concedergli in cambio la benevolenza in faccende d’amore (Iscrizioni Greche, Beozia, Tespie, IG VII 1828). Si tratta di una piccola poesia in otto versi falecei, di buona fattura (vedi Antologia 5 bis), che documenta storicamente l’esistenza del culto di Eros e di un giardino dedicato a Narciso alle falde dell’Elicona, scritta da un imperatore coltissimo, che certamente aveva presente la versione dominante, quella di Ovidio, ma forse conosceva anche qualche altra versione, piĂč simile a questa tespiese.

Narciso nel recente Papiro di Ossirinco (P.Oxy. 69, 2006)

Dodici anni or sono o poco piĂč (2005), venne pubblicato da W.B. Henry un nuovo papiro, databile circa al VI secolo d.C., contenente pochi versi in metro elegiaco, dove sono riconoscibili tre personaggi del mito greco, Asteria, Adone e Narciso, che hanno in comune solo il fatto di aver tutti e tre subito una metamorfosi, o meglio, la prima subĂŹ una metamorfosi, gli altri due diedero origine a fiori (la rosa rossa e il narciso), e solo l’ultimo sembra aver dato il nome al fiore spuntato dopo la sua morte.
Se il personaggio femminile della Titanide Asteria, sorella di Latona, anche lei amata da Zeus e trasformata in quaglia, non ci dice quasi nulla, i nomi di Adone e di Narciso sono diventati addirittura proverbiali, per cui anche le persone di media o poca cultura capiscono che cosa si intende quando si dice di qualcuno: «quello Ăš un Adone», o «quello Ăš un Narciso», e sul secondo personaggio Ăš stato costruito un termine, “narcisismo” (Narzißmus, Narcissisme, Narcisism) che anche chi fosse digiuno di cultura “classica” capisce immediatamente, dopo che Sigmund Freud e gli psicanalisti ne hanno fatto un campo di ricerca teorica e di studio talmente vasto, che il termine Ăš uscito dalla cerchia degli addetti ai lavori. Al punto che si Ăš potuto parlare «dei due miti istitutivi della psicanalisi: Edipo e Narciso», e tutti, piĂč o meno, capiscono di che cosa si tratti. Per chi segue il melodramma operistico, basterĂ  citare la celebre aria per basso «Non piĂč andrai, farfallone amoroso», dalle Nozze di Figaro di Mozart, su libretto di Lorenzo Da Ponte in lingua italiana, atto I°, dove si canta «delle belle turbando il riposo / Narcisetto, Adoncino d’amor» (1786).
Nella attuale comunicazione para-scientifica (Wiki, blogs, etc.) ci si Ăš affrettati ad affermare che questo testo papiraceo, attribuito sulle prime a Partenio di Nicea (che operĂČ a Roma negli anni successivi al 79 a.C.) sarebbe piĂč antico di una generazione rispetto a Ovidio, e forse anche rispetto al racconto di Conone. Se si prendono le ipotesi per certezze, cosa che avviene regolarmente nell’elaborazione anonima della rete, Ăš facile trasformare semplici illazioni in dati di fatto, per cui oggi Ăš necessaria una attenzione ancor maggiore.
In realtĂ , se si esaminano i pochi versi del papiro in confronto con gli esametri di Partenio che sono pervenuti a noi, Ăš facile constatare che la differenza di stile impedisce di pensare che si tratti di versi del poeta di Nicea (oggi Ä°znik, Bitinia, Turchia). Il papiro Ăš del VI secolo, di ambiente greco-egiziano, e sembra contenere esercizi in metro elegiaco, una sorta di elenco riassuntivo di alcuni miti di metamorfosi, ma nulla ci permette di pensare che siano opera di un autore piĂč antico di Ovidio. Piuttosto si possono riscontrare singolari tratti stilistici che fanno pensare alla dizione dell’epica greca fiorita piĂč tardi in Egitto, il che farebbe escludere l’ipotesi di Partenio di Nicea, e farebbe pensare invece a un esercizio, piĂč o meno scolastico, di qualche compositore egiziano che conosceva bene la produzione di Nonno di Panopoli. In ogni caso, nell’edizione minore di Partenio curata nel 2007 da una specialista come Jane L. Lighthfoot per la Collezione Loeb, il frammento non compare, pur conoscendo l’autrice l’esistenza del papiro, che cita.
Comunque stiano le cose, il breve frammento elegiaco del Papiro di Ossirinco 4711 non apporta nessun dato informativo nuovo o diverso da ciĂČ che si trova nelle altre fonti e nella versione letteraria ampliata da Ovidio. I tratti riconoscibili sono:
a) la bellezza straordinaria;
b) il rifiuto (degli amanti?);
c) l’auto-innamoramento per un’immagine onirica.
Anche eloquenti sono i tratti mancanti, le “assenze”: nulla traspare da questo scarno e manchevole frammento, sul modo di morire del protagonista (arma da taglio, consunzione o annegamento?), e nulla ci viene detto sull’identitĂ  maschile o femminile del partner. Sappiamo solo che il Soggetto (direi, quasi certamente Narciso) Ăš associato con altri due protagonisti di metamorfosi, ma non ci sono nemmeno cenni che permettano di riconoscere quale collocazione geografica potesse avere la vicenda, dunque non sappiamo se si parli del Narciso anatolico nato sul monte Latmos (ipotesi che escluderei facilmente), o del Silente euboico di OropĂČs figlio di Amarinto, o del Narciso beotico e della sua vicenda tespiese, vuoi nella versione “cononiana” (vedi Antologia 5), vuoi in quella ovidiana (vedi Antologia 6).

La versione di Ovidio, che diventa “classica”

Narciso, nella versione Ovidiana delle Metamorfosi (III 339-510), occupa una trattazione poetica di circa 171 versi, esametri dattilici di squisita fattura, mentre anche nei Fasti troviamo un breve cenno al giovane che era al tempo stesso non alter et alter, «non altro e altro» (Fasti V, v. 226). Questa elaborazione, una sorta di “epillio” inserito in un poema di XV libri che conta molte migliaia di versi, quasi 12.000, ebbe un grande successo, nel mondo romano, tanto che nei pochi anni successivi alla sua diffusione, si moltiplicarono le immagini pittoriche, soprattutto nel contesto degli affreschi e mosaici pompeiani, in una quantitĂ  decisamente fuori dal comune.
Il successo fu immediato: pochi decenni dopo, l’idea di un tipo che ama la propria faccia vista in uno specchio d’acqua, era già proverbiale, per esempio in un epigramma buffo del poeta satirico di età neroniana (56-684) Lucillio (vedi Antologia 6 bis).
Nel III secolo ritroviamo il nostro eroe anche in un mosaico di Antiochia (Casa del Menandro, Antakya, odierna Turchia), identificato con certezza da una didascalia, NARKICOC, mentre Ăš intento a trafiggere addirittura un leone, anche qui, non a caso, associato con Adone.
Dal punto di vista delle informazioni narrative, possiamo notare nella versione ovidiana numerosi tratti aggiuntivi. Abbiamo infatti, com’ù prevedibile in un rifacimento così ampio:
1) la precisazione genealogica dei nomi del padre, che qui Ăš il fiume Cefiso (non piĂč un Amarinto, e men che meno il celebre Endimione), e della madre, la Ninfa Liriope, nome peraltro del tutto sconosciuto all’onomastica greca;
2) la presenza, al momento della nascita, di un indovino famoso, il celebre profeta Tiresia tebano, che peraltro solo in Ovidio Ú associato con Narciso e con sua madre; la sua ambigua profezia Ú destinata a rimanere famosa: «vivrà felice fino alla vecchiaia, se non conoscerà se stesso!»;
3) la descrizione del giovinetto, del quale si precisa la grande bellezza, l’et...

Table des matiĂšres

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Ezio Pellizer
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Barbara Castiglioni
  9. Antologia
  10. Per saperne di piĂč
  11. Piano dell’opera
Normes de citation pour Narciso

APA 6 Citation

Pellizer, E., & Castiglioni, B. (2022). Narciso ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3279605/narciso-la-morte-lo-specchio-e-lamore-pdf (Original work published 2022)

Chicago Citation

Pellizer, Ezio, and Barbara Castiglioni. (2022) 2022. Narciso. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3279605/narciso-la-morte-lo-specchio-e-lamore-pdf.

Harvard Citation

Pellizer, E. and Castiglioni, B. (2022) Narciso. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3279605/narciso-la-morte-lo-specchio-e-lamore-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Pellizer, Ezio, and Barbara Castiglioni. Narciso. [edition unavailable]. Pelago, 2022. Web. 15 Oct. 2022.