II
Lâuomo del Medioevo
La nascita
Per diventare uomo, in questo Giappone feudale, bisognava prima di tutto sopravvivere. Senza alcun dubbio, infatti, la selezione naturale faceva una scelta molto severa tra i neonati. Il rigore del clima e una totale mancanza dâigiene furono responsabili di stragi che sarebbe impossibile calcolare in cifre. Allora, come ancora oggi nelle province piĂč arretrate del Giappone, le nascite si svolgevano privatamente, e nessuno sembrava sospettare che un parto avesse luogo nella casa vicina: le donne non gridavano quando erano in preda ai dolori,1 forse per non perdere la faccia o per paura di essere, in conseguenza, giudicate indecenti. Le nascite, tuttavia, erano assai comuni, perchĂ© le donne sposate, in pratica, erano incinte tutti gli anni. Ma era considerato disdicevole avvertire la famiglia e il villaggio prima che il bambino fosse sopravvissuto alla prova dellâentrata nel mondo, e forse anche questa Ăš una ragione della segretezza che circondava le nascite. Il giorno prima del parto che, nelle famiglie agiate, doveva aver luogo in una stanza separata dal corpo principale della casa, le sorelle o le parenti strette della partoriente, venute per assistere allâavvenimento, mascheravano con tende bianche le aperture della stanza, e disponevano nel centro, sul pavimento, un semplice telo bianco o un tatami orlato di tessuto bianco, appositamente preparato per la circostanza. Venuto il momento, la partoriente, anche lei vestita di bianco, veniva condotta nella stanza cosĂŹ addobbata. Fuori, per tutto il tempo della durata del travaglio, un uomo, cacciatore o monaco-guerriero, secondo i casi, oppure sacerdote shintĆ, faceva vibrare la corda di un arco, nellâintento di tener lontani gli spiriti maligni e di attirare lâattenzione dei kami, o «spiriti divini»;2 talvolta, un monaco seduto davanti a una piccola tavola pieghevole sulla quale erano state disposte verticalmente sette strisce di carta o di tessuto bianco, simbolo dei kami, recitava preghiere di purificazione (harai). Nella camera, la partoriente stava accovacciata sul tessuto bianco o sul tatami protetto da una spessa coperta, e si appoggiava alle spalle di una o due delle donne che le stavano a fianco. In certi casi una miko (specie di sacerdotessa shintĆ), rannicchiata a poca distanza e con un rosario in mano, rivolgeva anche lei invocazioni ai kami, mentre le serve andavano e venivano, si davano da fare, portavano mastelli dâacqua calda e disponevano intorno un gran numero di fogli di carta sottile, che in quei tempi servivano come biancheria. Il bambino era raccolto in una stoffa bianca da una delle matrone che assistevano la partoriente, e il cordone ombelicale veniva subito tagliato con un coltello a lama di bambĂč. Poi si asciugava il neonato, mentre la madre si coricava, e le domestiche e le assistenti pulivano e mettevano un poâ dâordine nella stanza;3 a questo punto, si appendeva allâesterno del locale un segno indicante il tabĂč (generalmente un ramo di salice, dal potente potere profilattico)4 con il quale si indicava che nessun visitatore poteva essere ammesso, in quanto la donna che aveva appena partorito era considerata ritualmente impura, allo stesso modo di tutti coloro che lâavevano avvicinata. Per questa ragione il parto doveva avvenire, possibilmente, in una camera separata dal corpo principale della casa.5
Ă probabile che il procedimento fosse pressappoco uguale nelle famiglie piĂč povere. Se si escludono gli indumenti bianchi, il tatami, le serve e i sacerdoti. In queste circostanze era il padre stesso che aveva la funzione di cacciare i demoni, facendo risuonare la corda del suo arco. Ben inteso, i vicini erano al corrente di quanto stava succedendo, ma fingevano di ignorarlo, finchĂ© la notizia non era annunciata loro ufficialmente. Al neonato non si faceva quasi mai un bagno subito dopo la nascita, ma ci si limitava ad asciugarlo. Il primo bagno (ubuyu), che, negli ambienti aristocratici assumeva il valore di un rito, gli veniva fatto soltanto qualche giorno dopo. Nellâacqua si immergevano gioielli, garanzia della futura prosperitĂ del bambino, e sopra la sua superficie, in maniera che potesse riflettervisi dentro, si teneva una piccola effigie di un cane o di una tigre, animali che erano ritenuti dotati di virtĂč profilattiche e del potere di proteggere la salute dei bambini. Terminato il bagno, al neonato si infilavano i primi vestiti.6 Fino a quel momento, era stato lasciato nudo, a contatto diretto con il seno materno. Nelle famiglie piĂč povere, il primo bagno era accompagnato semplicemente dalla vibrazione della corda di un arco.
Gli antichi giapponesi pensavano che, a partire dalla nascita e per trenta giorni, lâanima del bambino non fosse saldamente fissata al corpo; si prendevano quindi le massime precauzioni, e in quel lasso di tempo nĂ© il bambino nĂ© la madre dovevano uscire. Nei primi due giorni, il neonato era tenuto a digiuno. Il terzo giorno, quando la madre gli dava il seno, una piccola cerimonia intima che aveva come scopo la scelta del nome da dare al bambino,7 riuniva la matrona e la stretta parentela. Il segno dei tabĂč veniva tolto, tranne che dallâesterno della stanza in cui si trovavano la madre e il bambino. Dopo essersi purificato (attraverso lâintervento di un sacerdote shintĆ, nelle famiglie ricche, o con un semplice bagno, nelle altre), il padre del neonato riceveva i suoi invitati e offriva loro un leggero pasto, accompagnato da sake (vino di riso). Poi si sceglieva un nome per lâinfanzia del neonato. Se si trattava di un maschio, generalmente il nome doveva terminare con -maru o -maro. Se era il primo figlio della coppia, il matrimonio era considerato da quel momento come definitivamente sigillato. Si procedeva allora (ma talvolta questo si faceva anche piĂč tardi) al primo taglio di capelli del neonato, con un paio di forbici. Le piccole ciocche erano poi chiuse in una scatola, che veniva seppellita nel santuario del villaggio, per indicare al kami (ujigami) che il bambino era affidato alla sua custodia.8
In generale, la nascita di gemelli non era benvista: la madre si vergognava un poco di aver partorito «come gli animali», e la credenza popolare voleva che una sorte infelice incombesse sui bambini nati in questo modo per lâintera durata della loro vita. Quindi, nellâintento di scongiurare gli influssi malefici, ai gemelli si davano nomi particolarmente allegri.9
Sebbene la nascita fosse circondata da un certo mistero, le emozioni che non mancava di suscitare nei futuri genitori sono spesso descritte nei romanzi dellâepoca. E nel Gikeiti, unâopera che narra le peripezie della fuga dello sfortunato Yoshitsune nel Nord del Paese, il narratore ci fa addirittura assistere alla nascita, nella foresta, del figlio del proscritto:
Anche HitachibĆ giunse le mani in preghiera, mentre Kanefusa emetteva grandi sospiri. Yoshitsune riposava, come fosse annientato, accanto a sua moglie. «Ah, quanto fa male!» esclamĂČ la dama, aggrappandosi con forza al braccio di Yoshitsune nel riprendere i sensi (perchĂ© era svenuta pochi momenti prima mentre Benkei, il fedele servitore di Yoshitsune, era sceso in fondo alla collina, per andar a prendere un poâ dâacqua). Benkei si sforzĂČ di massaggiarle le reni, e il bambino nacque senza altre complicazioni. Benkei avvolse il piccolo che vagiva nella sua tonaca di monaco, poi lo lavĂČ con lâacqua della giara, dopo aver tagliato goffamente il cordone ombelicale.
«Diamogli immediatamente un nome. Siamo tra le montagne di Kamewari. Poiché kame significa tartaruga, e si reputa che la tartaruga viva a lungo, accoppiamo il suo nome a quello di tsuru, gru, che a quanto si dice vive mille anni, e chiamiamolo Kametsuru!» propose egli.
«Povero piccolo mendicante! RiuscirĂ mai a crescere?» si lamentĂČ Yoshitsune. «Se il mio avvenire fosse piĂč brillante, andrebbe benissimo. Sarebbe meglio abbandonarlo su queste montagne, quando Ăš ancora troppo piccolo per rendersene conto.»
Ma sua moglie, dimenticando le sue recenti sofferenze, si mise a gridare: «Che vergogna, dire una cosa simile! Adesso che Ú stato cosÏ fortunato da entrare nel mondo degli uomini, come osate parlare di ucciderlo, ancor prima che abbia avuto il tempo di scorgere la luna e il sole? Kanefusa, prendete il piccolo, se Sua Signoria Ú scontento! Egli non deve morire, anche se voi e io dovremo ritornare nella capitale con lui...».10
In tutte le famiglie, anche se spesso si evitava di darlo a vedere, una nascita era sempre considerata come un evento gioioso, e i primi a rallegrarsene erano evidentemente i genitori. A corte, tuttavia, le bambine erano desiderate piĂč ardentemente dei maschietti, perchĂ© esse potevano sempre sperare in un matrimonio al di sopra delle loro condizioni. Quando una giovane donna fu elevata a un altissimo rango, il Taiheiki, che ci riferisce questa storia, commenta il fatto aggiungendo: «Sulla sua famiglia discese la gloria, in maniera piuttosto strana, del resto, e in modo tale che la gente del paese non ebbe piĂč che disprezzo per i ragazzi, e sognava di avere soltanto bambine».11 Anche un maschio, perĂČ, arrecava grandissima gioia, perchĂ© la sua nascita era un avvenimento di cui si poteva andar fieri, soprattutto se si trattava di un primogenito. Dopo la nascita del figlio di Genji, lâimperatore dimostrĂČ unâimpazienza di vedere il bambino di Fujitsubo pari a quella del padre stesso. Pertanto Genji si recĂČ al palazzo della sua sposa in un momento in cui câera ancora poca gente, e le fece portare un biglietto nel quale la pregava di tener conto dello stato dâimpazienza dellâimperatore e del fatto che lâetichetta gli vietava di venire di persona prima di parecchie settimane, e di aver quindi la bontĂ di lasciargli vedere il bambino, perchĂ© lui stesso lo potesse descrivere allâimperatore.12 Il trentunesimo giorno per i maschi, e il trentatreesimo per le femmine, la madre, scortata da qualche parente, usciva per la prima volta e si recava con il bambino al santuario shintĆ. Dopo la presentazione al sacerdote, la madre batteva le mani per richiamare lâattenzione del kami locale, e accendeva una lampada.13 Poi, nella casa, si preparava un pasto, al quale erano invitate le persone presenti il giorno della nascita e gli amici intimi. Da quel momento si considerava che il bambino facesse ufficialmente parte della societĂ . Tutti i tabĂč erano tolti definitivamente, e il padre poteva avvicinare di nuovo sua moglie. Da quel giorno il piccolo (almeno presso la gente comune) lasciava le braccia della madre, per andare a collocarsi sulla sua schiena. Di solito, lo svezzamento era molto tardivo, perchĂ© i genitori indietreggiavano istintivamente davanti a questa fase della crescita, giudicata a quei tempi pericolosa per la vita del bambino. In questa circostanza, si incominciava a dargli un poâ dâacqua in cui era stato bollito del riso, poi una poltiglia di riso o di altri cereali.
Verso il centoventesimo giorno dopo la nascita, i genitori avevano lâusanza dâinvitare la famiglia e qualche amico, e per lâoccasione il piccolo riceveva il suo primo nutrimento solido. La cerimonia si chiamava Tabezome. Si preparava per il bambino una piccola tavola apparecchiata con utensili (scodelle, bastoncini), neri per un maschio, neri e rossi per una bambina.
Dopo aver ringraziato gli invitati dellâinteresse che dimostravano per la salute del bambino, la madre se lo prendeva sulle ginocchia e sedendosi davanti al tavolino, gli introduceva in bocca, con lâaiuto dei bastoncini, un grano di riso.14 Tutti allora pronunciavano voti per la salute del piccolo. Infine, veniva il giorno tanto temuto dello svezzamento completo, a partire dal quale il bambino veniva nutrito soltanto con pappe di cereali. FinchĂ© i bambini erano molto piccoli si faceva poca differenza tra loro, sebbene il sentimento del diritto di anzianitĂ fosse inculcato molto presto nel maschio primogenito, sempre servito per primo e in qualche modo favorito rispetto ai suoi fratelli piĂč giovani.
Il mondo dellâinfanzia
Il primo anniversario (tanjĆbi) era, sia nella vita del bambino sia in quella dei genitori, unâoccasione di grande allegrezza, anche negli ambienti piĂč poveri. Gli amici della famiglia offrivano al bambino i suoi primi giocattoli, generalmente bambole di legno o di pezza, o cagnolini in terracotta dipinta. LâetĂ era calcolata nella seguente maniera: si riteneva che il bambino, alla nascita, fosse giĂ vissuto per un anno (il periodo di gestazione era contato un anno); poi, allâinizio dellâanno successivo a quello della nascita, gli veniva attribuito un altro anno. CosĂŹ un bambino nato nellâultimo giorno di un anno, aveva, fin dal giorno dopo, lâetĂ di due anni...
Quando il bambino cominciava a parlare discretamente â generalmente verso i cinque anni, nei maschi, e verso i quattro nelle bambine â aveva luogo la cerimonia del taglio dei capelli, chiamata Kamisogi.15 Il bambino era messo in piedi su uno scacchiere del gioco di igo, poi si procedeva allâoperazione con le forbici. In generale, ci si accontentava di accorciargli i capelli, e le ciocche tagliate erano messe su un vassoio. Questâusanza, tuttavia, non era seguita dappertutto, e nella maggioranza dei casi, soprattutto presso la gente di campagna, i bambini conservavano capelli tagliati sommariamente, o qualche volta non tagliati affatto. Le loro teste venivano rasate, quando avevano troppe pulci. Alle bambine, di solito, si lasciava la capigliatura intera; le ragazze dovevano tagliarsela soltanto se rinunciavano al mondo o se, rimaste vedove, non avevano intenzione di risposarsi.
I giochi dei piccoli giapponesi erano uguali a quelli di tutti i bambini del resto del mondo. Da piccolissimi, si divertivano con bambole di legno, di pezza o di paglia, con figurine di terracotta dipinta che, essendo talvolta montate su ruote, i bambini si trascinavano dietro.16 I maschietti giocavano alla guerra, con archi e sciabole di legno di loro fabbricazione, oppure stuzzicavano i cani, numerosi nelle corti di tutte le abitazioni. Durante lâestate i ragazzini giravano completamente nudi, soprattutto quelli del popolo. A partire da una certa etĂ , erano vestiti con una specie di kimono cortissimo fissato alla vita da una cintura di stoffa cucita allâabito, e appena suffici...