Mentre state leggendo queste righe, molto probabilmente nel mondo, in uno spazio pubblico di qualche cittĂ , si sta iniziando a pensare di rimuovere una statua dal suo piedistallo. Unâazione che a volte avviene in modo improvviso con un atto di violenza, altre volte dopo una lunga riflessione e solo con lâassenso di una qualche istituzione pubblica.
Ovunque e comunque avvenga, Ăš evidente che da tempo qualcosa si sta muovendo intorno alle statue ma ancora di piĂș intorno al loro significato e allâidea stessa di monumentalitĂ .
Incuriosita dalle tante notizie di cronaca che con una certa ricorrenza tornano a occupare le pagine dei giornali, ho cercato di osservare quelle forme, ho raccolto informazioni: piccole e grandi storie di monumenti.
Nel primo capitolo proverĂČ a indagare il ârovescioâ del monumento: lâequilibrio ciclicamente instabile di statue di uomini â maschi â sul piedistallo, a partire proprio dal momento del loro rovesciamento, quello in cui le statue vengono rimosse o violentemente abbattute.
Il monumento non Ăš solo unâopera dâarte ma anche, a volte soprattutto, un dispositivo comunicativo, per questo il secondo capitolo si apre con un interrogativo: Cosa sta accadendo alle statue? Di certo quelle forme che storicamente rimandano al potere stanno attraversando un momento dâincertezza, forse la loro autoritĂ viene messa in discussione quando entra in dialogo con le tante comunitĂ che disegnano il paesaggio urbano contemporaneo. E forse qui, in questo confronto, la loro aura, pian piano, inizia a scomparire.
Nel terzo capitolo, il monumento sarĂ indagato attraverso progetti e opere di artisti contemporanei, di Paesi e generazioni differenti, che hanno rivisitato lâidea di monumentalitĂ in questi ultimi decenni e in un mondo globale, una monumentalitĂ sempre piĂș soggetta a un processo, spesso critico, di rilettura quando non di radicale trasformazione.
In chiusura proverĂČ a ragionare sul che fare di tutta quella memoria scomoda che parla di potere e sopruso cercando non tanto di dare soluzioni definitive ma di suggerire spunti per la continuazione di un dibattito che ancora fatica a trovare una conclusione.
Riflessioni che non hanno alcuna pretesa di esaustivitĂ rispetto a un tema cosĂ complesso, che coinvolge lo spazio pubblico, i musei e lâarte, e che si apre alla storia, alla politica, alla memoria, al genere e alle generazioni; questioni che si propongono quali strumenti per provare a osservare con maggiore attenzione un patrimonio diffuso ma quasi invisibile che perĂČ incontriamo ogni giorno, spesso distrattamente, camminando per strade e piazze delle cittĂ .
Un equilibrio sempre piĂș precario.
I monumenti hanno una data di scadenza? A osservare quanto sta accadendo negli ultimi decenni la risposta parrebbe positiva. Ma quando Ăš emersa tutta questa violenza contro la statuaria? Cosa muove le diffuse azioni di distruzione di cui siamo spettatori?
Inserire un monumento nello spazio pubblico significa sempre, in qualche modo, rendere materiali i fatti, nominare, costruire, dare unâidentitĂ a un luogo, ma anche progettare uno spazio attraversato da molte persone, che il piĂș delle volte si definisce tramite una voce univoca; un âioâ, verrebbe da dire, che puĂČ esistere solo evidenziando un âloroâ. E la conseguenza di questa univocitĂ Ăš lâapertura alla possibilitĂ di un destino incerto, imprevedibile.
Il basamento delle sculture come quello dei monumenti che incontriamo nelle piazze o nei giardini, di fronte alle universitĂ o ad altri spazi istituzionali Ăš, secondo la critica dâarte Rosalind Krauss, una «soglia» 1, una mediazione tra lo spazio che il monumento occupa e il suo significato. Qualcosa che assomiglia a un limite e che definisce una difficile relazione tra un tempo bloccato e un tempo in movimento.
Il piedistallo riesce a elevare solo un fatto o un accadimento, Ăš sempre troppo stretto per accogliere la pluralitĂ e le posizioni che attraversano la scena urbana. Il monumento Ăš anche la forma di una volontĂ di potere, un atto politico che dĂ spazio, voce e visibilitĂ a unâunica storia. Ma se intendiamo la storia come un processo in continuo divenire, quellâunico fatto puĂČ ampliarsi, modificarsi, rovesciarsi. Potremmo allora pensare il monumento, e lo spazio che lo circonda, come una macchina visiva complessa nella quale si condensano ambiti e tempi differenti. Il monumento ha sempre a che fare con la sfera estetica e politica ma anche il tempo Ăš un elemento centrale. Il monumento viene posato a memoria di un evento passato, il suo tempo Ăš sempre un presente che deve parlare al futuro. Quando tutti questi fragili equilibri sâinterrompono i monumenti perdono la loro autoritĂ e la loro verticalitĂ .
Per capirci meglio proviamo con un esempio noto. Ă un uomo adagiato e addormentato sul grembo di un monumento quello che Charlie Chaplin ci presenta nei primi minuti di Luci della cittĂ . Due anni dopo il crollo economico del 1929, in un Paese ancora immerso in una crisi profonda, i primi tre minuti di uno dei capolavori del cinema sono dedicati proprio allâinaugurazione di un monumento in unâideale cittĂ americana dâinizio anni Trenta. Prima di un irriverente gioco di equilibri nel quale lâattore Ăš sospeso tra le statue che rappresentano rispettivamente la Giustizia, la Pace e la ProsperitĂ , quello che colpisce delle prime inquadrature Ăš la descrizione precisa di tutti gli elementi e le figure che compongono lo spazio del monumento quando viene posizionato nella sfera pubblica. Di fronte al marmo ancora coperto e che rimanda a una forma astratta si estende una piazza. In primo piano, compaiono ben riconoscibili tutti i soggetti che definiscono il monumento. Sul palco, allâaltezza del basamento, sono presenti il sindaco, la committente, lâartista e sotto, in buon ordine, la banda e la polizia. Sul fondo compare, ripresa di spalle come una massa indistinta, la folla di persone che assiste alla cerimonia di inaugurazione.
In unâevidente parodia del primo cinema parlato, ma anche della retorica del potere, attraverso sonoritĂ sgraziate e tonalitĂ metalliche, il regista fa intervenire e dĂ voce prima al sindaco, poi allâartista e, in chiusura, alla committente. In questâatmosfera solenne e pomposa, man mano che con una certa difficoltĂ la statua viene svelata, lo spettatore si ritrova di fronte a un inciampo visivo che interrompe bruscamente lâufficialitĂ del momento. Steso sul grembo della Giustizia, che ha preso le sembianze di una giovane donna, si trova il corpo addormentato del Charlie Chaplin senzatetto e vagabondo. Dopo qualche secondo, lo stesso Charlot, sorpreso dallâaccaduto e nel tentativo di uscire da quella imbarazzante situazione, prova a chiedere scusa alla folla ripetendo piĂș volte e in modo meccanico il noto gesto del saluto con la bombetta. Questo gesto si trasforma poi in una sequenza di movimenti simili a quelli di una marionetta che interpreta una danza sospesa, irriverente e ironica muovendosi in modo nervoso in mezzo alle figure che compongono la statua.
Tra lo stupore e lâindignazione della folla, dal palco si prova a ristabilire lâordine incitando la banda a suonare e cercando di riprendere la parola. In questa breve sequenza Ăš evidente una critica nei confronti delle istituzioni e della borghesia che, nonostante la povertĂ che la crisi ha causato nelle cittĂ americane, continua ad adagiarsi sulla forma del monumento quale strumento per la sua stessa rappresentazione, autorevole, retorica e rassicurante.
Ă allâinterno di questa dissacrante cornice visiva che Chaplin decide di mettere in moto la macchina complessa del monumento evidenziando tutte le contraddizioni che abitano lo spazio pubblico e collettivo. Nel tentativo di destabilizzarne lâimmobilitĂ e la retorica, man mano che la statua inizia ad essere svelata, viene posto al centro delle riprese il corpo a riposo di un uomo per denunciare la diffusa situazione di povertĂ sociale che il monumento stesso vorrebbe simbolicamente provare a rimuovere. La scena si chiude solo quando, dopo numerose acrobazie, lâintruso scavalca una staccionata e se ne va.
Queste immagini, che al tempo devono essere apparse al pubblico e alle istituzioni ancora piĂș irriverenti e provocatorie, ci permettono perĂČ di riflettere sulla complessitĂ che sempre abita un monumento e che ne stabilisce, nel tempo, la verticalitĂ o lâorizzontalitĂ .
Il destino delle statue sul piedistallo Ăš un tema che inseguo da tempo, colpita e incuriosita dal fatto che quando la storia cambia direzione, o meglio quando il nostro sguardo cambia orientamento rispetto a fatti e avvenimenti, le statue tornano ad essere presenza e voce. E a volte quella voce Ăš talmente alta che le persone, le comunitĂ alle quali non Ăš stato permesso di averla, sentono lâurgenza di distruggere o rimuovere quelle forme, quei corpi innalzati sul piedistallo, cancellando quello che nel presente Ăš ritenuto troppo doloroso.
Invisibili magari per decenni, solo in quei precisi momenti le statue tornano a occupare lo spazio intorno e a far sentire la loro autoritĂ .
In molti momenti della storia, da luoghi di commemorazione i monumenti si sono trasformati in occasioni di conflitto, portando alla luce rimozioni profonde legate allâarbitrarietĂ delle interpretazioni e delle narrazioni del passato e facendo riemergere la distanza tra i vinti e i vincitori. Uno scontro, questo, che avviene il piĂș delle volte nel centro delle cittĂ , lĂ dove la storia Ăš rappresentata ma anche dove la pluralitaÌ degli attori sociali si compenetra e si sovrappone.
Napoleone Bonaparte, Francisco Franco, Iosif Stalin, Vladimir Lenin, François Duvalier, Saddam Hussein; e potremmo andare ancora piĂș indietro: gli imperatori Nerone, Domiziano, Gallieno, Aureliano, Probo, Geta e Macrino. La storia ha visto molti uomini rimossi dai loro piedistalli. Torniamo ora al presente. Di recente in Martinica la posizione di Victor SchĆlcher, ricordato per molto tempo come una delle figure chiave della liberazione dalla schiavitĂș, Ăš stata rivisitata e alcune sue statue abbattute; a Bristol il bronzo di Edward Colston, a lungo ricordato come benefattore, fin quando non emerse il suo coinvolgimento nella tratta degli schiavi, Ăš stato buttato nellâacqua di un canale. Ad Anversa, un monumento in onore di Leopoldo II, il re belga che ha colonizzato il Congo, Ăš stato trasferito in gran fretta nel magazzino di un museo dopo essere stato deturpato da un gruppo di manifestanti. Nel Sud degli Stati Uniti molte statue di soldati confederati e del presidente Jefferson Davis o quelle in onore di Cristoforo Colombo sono state abbattute e poi decapitate.
Ma di quale monumento stiamo parlando? Da molti anni raccolgo storie di statue. Ne ho trovate in Italia e allâestero, quando il mio lavoro di critica e curatrice dâarte contemporanea mi ha portato, sia pure per brevi periodi di tempo, negli Stati Uniti, in Ucraina, in Colombia. Altre ne ho rintracciate nellâimmenso deposito di informazioni disponibili online. Storie, fatti, immagini e documenti che raccontano la difficile relazione che intreccia e confonde arte, storia e cronaca. Ho escluso dalle mie analisi lâarchitettura e tutto lâesteso campo di ricerca che riguarda gli edifici monumentali, che aprirebbe a molte altre riflessioni, e mi sono invece concentrata prevalentemente sulle sculture: esse parlano con lâunica voce di un potere dominante che riesce a mantenere e propagare lâautoritaÌ attraverso lâutilizzo di un complesso sistema visivo, e che si attiva quando una statua su un basamento viene posata nello spazio pubblico. Ma ho anche provato a osservare il processo contrario, cioĂš a ragionare su cosa muove la volontĂ di rovesciare quel tipo di rappresentazione. Ho poi finito chiedendomi cosa si possa fare di tutti quegli eroi, e se il nostro modo di osservarli stia cambiando.
Verticale o orizzontale, Ăš tutta una questione di equilibrio.
Il monumento dalla sua posizione verticale puĂČ quindi essere colpito, abbattuto e poi rovesciato. Ă qualcosa che accade nello spazio limitato del basamento e nel tempo concentrato della rivolta. Un semplice ribaltamento da verticale a orizzontale. Si tratta di uno spazio e di un tempo minimi, che permettono perĂČ un repentino cambio di significato di quello che il monumento vuole comunicare. Ă un quasi nulla, un luogo dâazione piĂș che di parole. Quando il monumento verticale sta per cadere a terra si attiva un processo fuori dalla continuitĂ , un atto che Deleuze e Guattari descriverebbero come «una biforcazione, una deviazione rispetto alle leggi, una condizione instabile che apre un nuovo campo di possibilità »2.
Lo spazio pubblico come la sfera pubblica Ăš scena politica e simbolica. Negli ultimi decenni, anche a partire da riflessioni nate nellâambito degli studi postcoloniali e femministi, si Ăš evidenziato quanto si tratti di una dimensione abitata da una crescente complessitĂ , che sempre di piĂș tende a sfrangiarsi per aprirsi allâimprevedibilitĂ e allâinatteso.
In tal senso lo spazio del monumento Ăš unâarea attraversata da tensioni opposte, che mostrano come lo spazio pubblico possa essere contenuto, limitato, ma anche contestato e ridefinito. Ed Ăš qui che possono riemergere tracce di un passato rimosso.
Secondo Alain Badiou, un evento accade quando la parte esclusa appare sulla scena, improvvisamente e drasticamente, per scardinare lâapparenza della normalitĂ e aprire uno spazio per ripensare la realtĂ . Attraverso lâintensificazione, la contrazione e la localizzazione spaziale puĂČ infatti apparire il non visibile del visibile3, qualcosa che si potrebbe definire come una zona dâombra. Anche nei monumenti questâombra sembra essere presente; ed emerge e si rende esplicita quando le tensioni opposte al procedere della storia entrano in conflitto tra loro. Quando cioĂš, nel tempo presente, il passato e il futuro si scontrano, quando la prospettiva storica sembra perdere la sua profonditĂ e allââaltroâ, per un momento, Ăš permesso di prendere voce di fronte al monumento riuscendo a raggiungerlo per abbatterne la verticalitĂ .
Si pensi alla Rivoluzione francese o agli scontri in molte cittĂ dellâEst Europa dopo la caduta del muro di Berlino o ancora, in tempi piĂș recenti, agli Stati Uniti e ad alcune cittĂ europee con ereditĂ coloniali. Ogni volta che dal monumento traspare il non visibile, il non detto, lo spazio pubblico intorno assume una forza travolgente che scavalca, calpesta, danneggia i luoghi della rappresentazione del potere.
Se lo spazio pubblico Ăš il luogo nel quale si materializza la storia dominante, in quelle forme qualcosa accade e la cittaÌ non puĂČ piĂș essere vista come un pacifico agglomerato di edifici e monumenti.
La caduta del monumento mi pare in qualche modo vicina alla definizione che Deleuze dà del maggio francese (peraltro, un significativo momento di ribaltamento di monumenti): un campo di forze e segni mossi quando «il segno sensibile ci fa violenza»4.
Se il monumento in qualche modo scompare, il piedistallo rimane. Avete mai guardato il basamento di un monumento vuoto? A osservarlo bene ci appare come una domanda aperta sulla storia, un vuo...