II.
Immagini e spazi del patrimonio culturale:
disciplina giuridica e ricavi economici
1. Concessioni di beni culturali pubblici e redditivitĂ
Il tema delle concessioni di uso dei beni culturali rappresenta unâarea di mediocre interesse investigativo per gli studiosi. Eppure, la scarsa attenzione della dottrina e i rari interventi della giurisprudenza sono inversamente proporzionali allâapplicazione dellâistituto nella prassi amministrativa realizzata dai diversi enti pubblici consegnatari di beni del patrimonio culturale che ricorrono agli istituti disciplinati dagli artt. 106 e 107 Codice dei beni culturali e del paesaggio (dâora in avanti, Codice) che disciplinano lâuso individuale dei beni culturali, rientrante nel concetto di fruizione di cui al Capo I («Fruizione dei beni culturali») del Titolo II («Fruizione e valorizzazione») del Codice.
Lâinteresse verso lâapprofondimento della tematica risiede nei seguenti e non trascurabili profili.
In primo luogo, stante lâinalienabilitĂ del demanio culturale (che a sua volta ricomprende la massima parte del patrimonio culturale offerto alla fruizione pubblica), la concessione dei beni culturali realizzata secondo il combinato disposto degli artt. 106 e 57-bis Codice puĂČ rappresentare un serio ed equilibrato punto di mediazione tra riserva della proprietĂ pubblica e sollecitazione dellâiniziativa economica privata, secondo il mai applicato modello della sussidiarietĂ orizzontale (art. 118, comma 4, Cost.) e di alcuni trascurati principi del Codice (artt. 6, comma 3, e 111, comma 4, del Codice). La scarsezza delle risorse economiche e la fisiologica incapacitĂ degli enti pubblici di amministrarle secondo canoni realmente aziendalistici (che, presi sul serio, implicherebbero scelte radicali con un costo reputazionale che nessun rappresentante politico o alto dirigente ha inteso o intenderĂ sostenere mai), in uno con la vastitĂ del patrimonio culturale pubblico, impediscono che le amministrazioni pubbliche possano garantire la cura ottimale del patrimonio culturale nel ciclo tutela-fruizione-valorizzazione. Attesi tali vincoli dimensionali, finanziari e funzionali, lâunica alternativa ragionevole a una improduttiva e insistente riserva pubblica nella gestione del patrimonio culturale e, nel contempo, rispettosa della demanialitĂ (e del suo attributo piĂč importante: lâinalienabilitĂ ) Ăš rappresentata dalla concessione dellâuso dei beni culturali a terzi soggetti, indipendentemente dalla natura giuridica di questi, con conseguente mantenimento della proprietĂ pubblica dei beni.
In linea generale, infatti, attraverso lâistituto concessorio e il connesso trasferimento delle facoltĂ di godimento e utilizzazione di beni demaniali culturali da parte di terzi soggetti privati si concretizza quellâindifferenza del soggetto gestore del patrimonio pubblico di cui parla la piĂč avvertita dottrina: come Ăš stato condivisibilmente affermato, proprietĂ soggettivamente pubblica e pubblica destinazione sono ormai poste non come elementi necessariamente congiunti ma in combinazione funzionale con lâutilizzazione economica dei beni da parte di terzi soggetti privati. In tal modo Ăš possibile conciliare utilizzazione economica da parte di privati, destinazione alla pubblica fruizione e mantenimento della proprietĂ pubblica del demanio culturale: lâinsieme di tali concetti descrive, quindi, non concetti antitetici ma tra di loro funzionali e orientati sia alla migliore fruizione per il pubblico sia alla massima redditivitĂ per lâamministrazione titolare di quei beni (sia esso il ministero per i Beni e le AttivitĂ culturali, dâora in avanti MiBAC o altre amministrazioni consegnatarie). In altri termini, «quello che conta Ăš la disciplina dellâutilizzazione, del godimento delle diverse categorie di beni pubblici, la quale deve tener conto dei vari modi di godimento e di utilizzazione, che dipendono anche dalle caratteristiche intrinseche dei beni stessi».
La sostenibilitĂ di tale linea direttrice puĂČ essere confermata, nello specifico settore del patrimonio culturale, anche dalla riscoperta di un dato normativo assolutamente pacifico ma passato inosservato per ben undici anni: lâart. 1, commi 303-305, legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge Finanziaria 2005).
Con valenza generale per tutti gli immobili culturali, appartenenti sia allo Stato sia alle Regioni e agli enti locali «per lâuso dei quali attualmente non Ăš corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro», il comma 303 dellâart. 1, legge n. 311, 2004 prevede la possibilitĂ (invero, giĂ ricavabile dal sistema generale, anche extracodicistico) di conferimento «in concessione a soggetti privati con pagamento di un canone fissato dai competenti organi». Al trasferimento del potere di uso del bene immobile culturale fa da pendant lâimpegno del concessionario «a realizzare a proprie spese gli interventi di restauro e conservazione». La fattispecie consiste essenzialmente in una concessione di uso/gestione e restauro e, dunque, in un caso di finanza di progetto applicato ai beni culturali. Dimenticata per undici anni, la norma primaria Ăš stata riscoperta nel 2015, quando lâallora ministero dei Beni e delle AttivitĂ culturali e del Turismo ha prescritto con il d.m. 6 ottobre 2015 le condizioni per la «Concessione in uso a privati di beni immobili del demanio culturale dello Stato».
Ebbene, tale cornice giuridica, che utilizza principalmente lâistituto concessorio, ben potrebbe essere usata per donare al sistema museale nazionale qualitĂ ed efficienza economica di gestione attraverso la progressiva erosione del monopolio pubblico nella gestione del patrimonio culturale, a tutto vantaggio dei bilanci pubblici e della cura del patrimonio culturale.
Lâindagine sul tema delle concessioni dâuso dei beni culturali Ăš suggerita anche dalla valutazione dei relativi profili economici e, in particolare, della redditivitĂ potenziale: il quadro dei ricavi da concessioni dâuso Ăš decisamente marginale nella serie delle voci che compongono i ricavi complessivi derivanti dalle gestioni (pubbliche) degli istituti e dei luoghi della cultura statali. Rispetto alla totalitĂ di ricavi dei diversi istituti e luoghi della cultura (a esclusione di archivi e biblioteche), nellâanno 2017 mediamente oltre il 90% deriva dai proventi della vendita dei biglietti di ingresso, mentre dai canoni concessori deriva una trascurabile percentuale del 3,16% (se rapportati al totale netto degli introiti) e il 2,77% (se posti a raffronto al totale lordo degli introiti).
In particolare, se il volume complessivo dei ricavi da concessioni ex artt. 106 e 107 Codice (spazi e riproduzioni di immagini) Ăš stato pari nel 2017 a ⏠5.743.360,59, i soli istituti dotati di autonomia speciale hanno generato ricavi per ⏠4.759.109,73, ossia il 3,09% rispetto al totale degli introiti netti da essi stessi generati; diversamente, i Poli museali regionali sono stati in grado di generare ricavi da fattispecie riconducibili a concessioni per soli ⏠984.250,80, ossia il 3,55% rispetto al totale degli introiti netti da essi generato. In particolare, per entrambe le tipologie museali, Ăš sempre dallâuso degli spazi che si ricava la (interna) percentuale maggiore: sempre nel 2017, gli istituti dotati di autonomia speciale hanno incassato per la concessione dâuso degli spazi ⏠3.003.003,95 mentre solo ⏠438.421,11 dai corrispettivi dovuti dalle riproduzioni. Analogamente, i musei dei Poli museali regionali â se hanno ricavato ⏠898.071,31 dalla concessione in uso degli spazi â dalle riproduzioni delle immagini nello stesso periodo hanno incassato la trascurabile cifra di ⏠58.602,08.
Tali valori sono confermati anche dagli andamenti degli anni precedenti. Se si analizza lâesercizio 2016, ad esempio, puĂČ notarsi che pure per tale annualitĂ i ricavi da queste fattispecie sono stati trascurabili: solo ⏠3.628.514,40 (il 2,30% del totale degli introiti netti) di cui ben ⏠3.273.495,05 ottenuti dai soli istituti dotati di autonomia speciale (2,44% dei loro ricavi al netto), mentre ⏠355.019,35 dai Poli museali regionali (1,52% dei loro introiti al netto). Anche nellâanno 2016 si conferma, poi, che la voce maggiormente rilevante Ăš rappresentata dalla concessione dâuso degli spazi da cui gli istituti dotati di autonomia speciale hanno ottenuto ⏠2.061.808,74 mentre i musei aggregati nei Poli ⏠302.828,03; minimi, poi, sono i ricavi dalle riproduzioni di immagini: ⏠233.760,54 nel caso degli istituti dotati di autonomia speciale e ⏠50.191,32 nel caso dei Poli museali regionali.
Allâinterno di queste percentuali, la capacitĂ redditiva dei diversi musei e parchi archeologici Ăš assai variabile: nella tipologia dei ricavi da concessioni dâuso ex artt. 106 e 107 Codice, infatti, nellâanno 2017, i primi cinque siti sono rappresentati dalle Gallerie degli Uffizi (⏠1.068.021,70), dalla Pinacoteca di Brera (⏠799.304,65), dai musei del Polo museale della Campania (⏠391.145), dal Parco archeologico del Colosseo (⏠373.426,14) e dalle Gallerie dellâAccademia di Venezia (⏠318.784,92), mentre gli ultimi, in questa ideale classifica di redditivitĂ sono, invece, i musei del Polo museale della Basilicata (⏠8.020), quelli del Polo museale della Sardegna (⏠8.050) e del Polo museale delle Marche (⏠6.100), il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (⏠5.195, nonostante i notissimi Bronzi di Riace), il Museo archeologico nazionale di Taranto (⏠1.950), nonchĂ© i Musei del Polo museale del Molise (⏠500).
A ciĂČ si aggiunga che vi sono siti che non riescono a ricavare un solo euro dalle riproduzioni di immagini e dalle concessioni degli spazi: la Galleria nazionale dellâUmbria, il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia nonchĂ© i musei aggregati nei Poli museali della Liguria e del Friuli-Venezia Giulia (nel 2017).
Nel 2016, invece, i siti maggiormente redditivi sono stati le Gallerie degli Uffizi (⏠930.484,18) la Galleria nazionale dâarte moderna e contemporanea di Roma (⏠398.782,54), la Reggia di Caserta (⏠311.838,04), il Parco archeologico del Colosseo (263.894,62) e lâarea archeologica rappresentata dai siti di Villa Adriana e Villa dâEste, a Tivoli (⏠208.630), mentre gli ultimi â in ordine di ricavi da tali fattispecie â il Polo museale del Lazio (⏠2.500), il Polo museal...