Per un populismo di sinistra
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Per un populismo di sinistra

Chantal Mouffe

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Per un populismo di sinistra

Chantal Mouffe

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È tempo di raccogliere la sfida che il 'momento populista' rappresenta. Dopo anni di postpolitica, il 'momento populista' mira a un ritorno del politico. Questo ritorno puĂČ aprire la strada a soluzioni autoritarie, ma puĂČ anche condurre a una riaffermazione ed estensione dei valori democratici. Tutto dipenderĂ  dalle forze politiche che avranno successo nell'egemonizzare le domande democratiche odierne e dal tipo di populismo che emergerĂ  vittorioso. La globalizzazione e le politiche neoliberali sono state viste negli ultimi anni, dai partiti politici di destra e da quelli di sinistra, come un destino ineluttabile da accettare. Non Ăš stato lasciato nessuno spazio ai cittadini per scegliere tra progetti politici realmente differenti: il loro ruolo Ăš stato ristretto all'approvazione delle politiche 'razionali' elaborate dagli esperti. Ma nel 2008 la crisi ha fatto emergere in maniera dirompente le contraddizioni del modello neoliberale: a partire da quel momento, l'egemonia dell'establishment Ăš stata messa in discussione da una varietĂ  di movimenti anti-sistema, con radici sia a destra che a sinistra. Rispetto a questa congiuntura storica e politica in cui assistiamo in tutta l'Europa al crollo dei partiti di sinistra e alla crescita dei partiti populisti di destra e dell'astensionismo, Chantal Mouffe – una delle piĂč importanti e originali voci politiche del nostro tempo – si pone in modo del tutto nuovo. Si chiama fuori dall'annosa discussione sulla vera natura del populismo e mette i piedi nel piatto: il populismo Ăš un nuovo soggetto politico e probabilmente ha molto da dire alla sinistra.

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2018
ISBN
9788858135075

1.
Il momento populista

Vorrei chiarire da subito che il mio obiettivo non Ăš aggiungere un ulteriore contributo al campo giĂ  pletorico degli «studi sul populismo» e non ho intenzione di entrare nello sterile dibattito accademico sulla «vera natura» del populismo. Questo libro vuole essere un intervento politico e riconosce apertamente la sua natura di parte. Nel suo svolgimento definirĂČ ciĂČ che intendo per «populismo di sinistra» e sosterrĂČ che nella congiuntura odierna esso fornisce la strategia piĂč adeguata per recuperare ed estendere gli ideali di uguaglianza e sovranitĂ  popolare, che sono costitutivi di una politica democratica.
Come studiosa di teoria politica devo il mio approccio a Machiavelli, che, come ci ha ricordato Althusser, si Ăš sempre posizionato «nella congiuntura» anzichĂ© riflettere «sulla congiuntura». Seguendo l’esempio di Machiavelli, inscriverĂČ la mia riflessione in una congiuntura particolare, ricercando ciĂČ che egli chiamava «veritĂ  effettuale de la cosa», la veritĂ  effettuale del «momento populista» cui stiamo assistendo nei paesi dell’Europa occidentale. Limito la mia analisi a quest’area geografica perchĂ©, sebbene la questione del populismo sia senza dubbio rilevante anche in Europa dell’Est, quelle nazioni necessitano un’analisi a sĂ©. Sono, infatti, segnate dalla loro storia sotto il comunismo e la loro cultura politica presenta caratteristiche differenti. CiĂČ vale anche per le varie forme di populismo latinoamericano. Anche se vi sono «somiglianze di famiglia» tra i vari populismi, ognuno corrisponde a una determinata congiuntura e deve essere compreso all’interno del suo contesto specifico. Mi auguro, comunque, che le mie riflessioni sulla congiuntura vissuta dall’Europa occidentale forniscano elementi utili per analizzare anche altre situazioni in cui il populismo Ăš presente.
Per quanto l’obiettivo del libro sia di natura politica, una parte significativa della mia riflessione sarĂ  di natura teorica, perchĂ© la strategia populista di sinistra che mi accingo a sostenere Ăš permeata da un approccio antiessenzialista secondo cui la societĂ  Ăš sempre divisa e costruita discorsivamente mediante pratiche egemoniche. Molte delle critiche rivolte al «populismo di sinistra» sono basate su una mancata comprensione di questo approccio, e per tale motivo Ăš importante esplicitarlo in maniera precisa. In piĂč punti farĂČ riferimento ai principi centrali dell’approccio antiessenzialista e fornirĂČ ulteriori chiarimenti in una appendice teorica posta alla fine del testo.
Per dissipare ogni possibile confusione, inizierĂČ con lo specificare cosa intendo per «populismo». Ricusando il senso dispregiativo che Ăš stato imposto dai media per screditare tutti coloro che si oppongono allo status quo, seguirĂČ l’approccio analitico sviluppato da Ernesto Laclau, che permette di affrontare la questione in una maniera secondo me particolarmente proficua.
Nel suo libro La ragione populista, Laclau definisce il populismo come una strategia discorsiva per la costruzione di una frontiera politica, che opera attraverso la divisione della societĂ  in due campi e chiama alla mobilitazione «i derelitti», chi Ăš sfavorito, contro «chi Ăš al potere»1. Il populismo non Ăš un’ideologia e non puĂČ essere ricondotto a un contenuto programmatico specifico. NĂ© si tratta di un regime politico. È un modo di fare politica che puĂČ assumere forme differenti a seconda del momento e del luogo, ed Ăš compatibile con diverse cornici istituzionali. È legittimo parlare di un «momento populista» quando, sotto la pressione delle trasformazioni politiche o socioeconomiche, l’egemonia dominante Ăš destabilizzata dalla moltiplicazione di domande insoddisfatte. In queste situazioni, le istituzioni esistenti non riescono ad assicurarsi la fiducia delle persone, poichĂ© tentano di difendere l’ordine costituito. Come risultato, il blocco storico che fornisce la base sociale della formazione egemonica si trova disarticolato ed emerge la possibilitĂ  di costruire un nuovo soggetto di azione collettiva – il popolo – capace di riconfigurare un ordine sociale sentito come ingiusto.
A mio avviso, ciĂČ ben descrive quanto caratterizza la congiuntura attuale ed Ăš dunque appropriato presentare quest’ultima come un «momento populista» che segnala la crisi dell’egemonia neoliberale progressivamente consolidatasi in Europa occidentale durante gli anni Ottanta del Novecento. La formazione egemonica neoliberale rimpiazzĂČ il welfare state keynesiano di stampo socialdemocratico, che nei trent’anni successivi al secondo conflitto mondiale aveva rappresentato il principale modello socioeconomico per i paesi democratici dell’Europa occidentale. Il nucleo di questa nuova formazione egemonica Ăš costituito da un insieme di pratiche politico-economiche che ambiscono a imporre la legge del mercato – deregolamentazioni, privatizzazioni, austeritĂ  fiscale – e limitare il ruolo dello Stato alla protezione dei diritti della proprietĂ  privata, dei mercati liberi e del libero commercio. Neoliberalismo Ăš il termine usato attualmente per riferirsi a questa egemonia che, lontana dall’essere circoscritta al campo economico, connota una concezione globale della societĂ  e dell’individuo fondata su un individualismo possessivo.
Questo modello, adottato in diversi paesi dagli anni Ottanta a oggi, non ha dovuto affrontare sfide particolari fino alla crisi finanziaria del 2008, quando ha iniziato a mostrare seriamente i suoi limiti. La crisi, iniziata nel 2007 negli Stati Uniti con il collasso del mercato dei mutui subprime, si sviluppĂČ divenendo una conclamata crisi bancaria internazionale con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers nell’anno seguente. Fu necessario intraprendere salvataggi imponenti di diverse istituzioni finanziarie per impedire il crollo del sistema mondiale. La recessione economica globale che fece seguito influenzĂČ profondamente le diverse economie europee e provocĂČ una crisi del debito. Per affrontare questa crisi in molti paesi europei sono state messe in campo politiche di austeritĂ , con gravi conseguenze, soprattutto nelle nazioni della parte meridionale del continente.
In occasione della crisi economica si condensarono una serie di contraddizioni, conducendo a ciĂČ che Gramsci chiama un interregno: un periodo in cui sono messi in crisi diversi cardini del consenso stabilito intorno a un progetto egemonico. All’orizzonte non Ăš ancora apparsa una soluzione ed Ăš questo scenario a contraddistinguere il «momento populista» in cui ci troviamo oggi. Il «momento populista», dunque, Ăš l’espressione di tutta una serie di resistenze alle trasformazioni politiche ed economiche viste negli anni di egemonia neoliberale. Queste trasformazioni hanno condotto a una situazione che potremmo chiamare «postdemocrazia», riferendoci cosĂŹ allo sgretolamento dei due pilastri dell’ideale democratico: l’uguaglianza e la sovranitĂ  popolare. SpiegherĂČ tra un momento come abbia avuto luogo questa erosione, ma prima vale la pena soffermarsi su cosa si intende per «postdemocrazia».
Il termine, proposto per la prima volta da Colin Crouch, segnala il declino del ruolo dei parlamenti e la perdita di sovranitĂ  come conseguenza della globalizzazione neoliberale:
[
] ho tentato di mostrare come la causa fondamentale del declino della democrazia nella politica contemporanea sia il forte squilibrio in via di sviluppo tra il ruolo degli interessi delle grandi aziende e quelli di tutti gli altri gruppi, almeno in linea teorica. Accanto all’inevitabile entropia della democrazia, questo riporta la politica a essere una faccenda che riguarda Ă©lite chiuse, come accadeva in epoca predemocratica2.
Anche Jacques RanciĂšre utilizza il termine e lo definisce in questa maniera:
La post-democrazia ù la pratica governamentale e la legittimazione concettuale di una democrazia del post demos, una democrazia che ha eliminato l’apparenza, il resoconto e il conflitto del popolo, ed ù dunque riducibile al solo gioco dei dispositivi statali e delle mediazioni tra energie e interessi sociali3.
Anche se non sono in disaccordo con nessuna delle due definizioni, l’utilizzo che farĂČ dell’espressione Ăš in parte differente perchĂ©, attraverso una riflessione sulla natura della democrazia liberale, intendo mettere in primo piano un’altra caratteristica del neoliberalismo. Come risaputo, sul piano etimologico «democrazia» deriva dal greco demos/kratos, ossia «governo del popolo». Quando parliamo di «democrazia» in Europa ci riferiamo, tuttavia, a un modello specifico: il modello occidentale che risulta dall’inscrizione del principio democratico in un contesto storico particolare. Questo modello Ăš stato variamente denominato: democrazia rappresentativa, democrazia costituzionale, democrazia liberale, democrazia pluralista.
Si fa comunque sempre riferimento a un regime politico contrassegnato dall’articolazione di due tradizioni differenti. Da un lato, la tradizione del liberalismo politico: il governo della legge, la separazione dei poteri e la difesa della libertà individuale; dall’altro, la tradizione democratica, le cui idee centrali sono uguaglianza e sovranità popolare. Non c’ù alcuna relazione necessaria tra le due tradizioni ma solo un’articolazione storica contingente che, come mostrato da C.B. Macpherson, fu prodotta dalle lotte congiunte dei liberali e dei democratici contro i regimi assolutistici4.
Alcuni autori, tra cui Carl Schmitt, affermano che questa articolazione ha generato un regime non destinato a durare, perchĂ© il liberalismo nega la democrazia e la democrazia nega il liberalismo. Altri, seguendo JĂŒrgen Habermas, mantengono la «co-originalità» dei principi di libertĂ  e uguaglianza. Schmitt ha certamente ragione nell’evidenziare l’esistenza di un conflitto tra la «grammatica» liberale, che postula l’universalitĂ  e il riferimento all’«umanità», e la «grammatica» dell’uguaglianza democratica, che richiede la costruzione di un popolo e una frontiera tra un «noi» e un «loro». D’altra parte penso si sbagli nel presentare questo conflitto come una contraddizione che condurrĂ  necessariamente ogni democrazia liberale pluralista all’autodistruzione.
In The Democratic Paradox ho concepito l’articolazione tra le due tradizioni – di fatto in ultima analisi non riconciliabili – a partire da una configurazione paradossale, come luogo di una tensione che definisce l’originalità della democrazia liberale in quanto politeia, una forma di comunità politica che garantisce il suo carattere pluralistico5. La logica democratica della costruzione di un popolo e di difesa delle pratiche egualitarie ù necessaria per definire un demos e sovvertire la tendenza del discorso liberale a un universalismo astratto. Tuttavia, la sua articolazione con la logica liberale ci permette di mettere in discussione le forme di esclusione insite nelle pratiche politiche di determinazione del popolo che governerà.
La politica liberale democratica consiste in un processo ininterrotto di negoziazione, mediante configurazioni egemoniche differenti, di questa tensione costitutiva. Tale tensione, espressa in termini politici lungo la linea che separa destra e sinistra, puĂČ essere stabilizzata solo temporaneamente per effetto di contrattazioni pragmatiche tra le forze politiche. Queste negoziazioni stabiliscono sempre l’egemonia di un polo sull’altro. Ripercorrendo la storia della democrazia liberale, scopriamo che in alcune occasioni Ăš prevalsa la logica liberale, mente in altre quella democratica. Nondimeno entrambe le logiche restano attive e allo stesso modo la possibilitĂ  di una negoziazione «agonistica» tra destra e sinistra, caratteristica specifica del regime liberaldemocratico.
Le considerazioni precedenti riguardano la democrazia liberale intesa esclusivamente come regime politico, ma Ăš evidente che queste istituzioni politiche non esistono mai in maniera indipendente dalla loro inscrizione in un sistema economico. Nel caso del neoliberalismo, per esempio, abbiamo a che fare con una formazione sociale che articola una forma particolare di democrazia liberale con il capitali...

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