XVIII
Le Italie dellâItalia repubblicana
I reduci del fascismo
Fra i motivi della rivalutazione del mito nazionale, da parte dei partiti fondatori della Repubblica, vi era stato anche il proposito di impedire che il retaggio del sentimento patriottico presente, nonostante tutto, nella coscienza degli italiani potesse essere sfruttato dai movimenti neofascisti per delegittimare il nuovo Stato.
I timori per la rinascita di un nazionalismo di ispirazione fascista non erano infondati. Infatti, in primissima fila, fra gli apologeti della nazione nellâItalia repubblicana, anche se in posizione del tutto isolata, troviamo coloro che avevano militato nella Repubblica sociale e tutti quelli che erano rimasti idealmente fedeli ai miti del fascismo. Lâatteggiamento di quanti tornarono alla milizia politica fu, in un certo senso, simile a quello dei mazziniani dopo lâunificazione: i neofascisti si consideravano stranieri in uno Stato nel quale vedevano incarnato il tradimento ai danni della nazione, in cui essi si identificavano.
Sorti allâindomani della fondazione della Repubblica, i movimenti neofascisti miravano a far leva sul risentimento per la sconfitta, sullâumiliazione per il trattato di pace e per la questione di Trieste, sulle difficoltĂ del nuovo regime, sulla litigiositĂ dei partiti, sulla minaccia del comunismo e sullâevocazione nostalgica dei trionfi del regime, per alimentare un nuovo nazionalismo contro la Repubblica antifascista. Gran parte dei reduci del fascismo si era riorganizzata in partito, dando vita al Movimento sociale italiano, con la pretesa di essere gli unici interpreti, i soli rappresentanti autentici della «vera Italia», contro la «falsa Italia» antifascista. Il Movimento sociale era «il partito della patria»1, «lâunico partito politico depositario dellâidea dello Stato Nazionale unitario e indipendente»2. Per i neofascisti, lo Stato repubblicano non aveva alcuna legittimitĂ : era un regime politico nato dal tradimento perpetrato contro la nazione lâ8 settembre, messo su da partiti antinazionali, che avevano operato contro la patria, avevano collaborato con il nemico per la sconfitta della nazione in guerra, e avevano sfasciato lo Stato nazionale per ricostruire sulle sue rovine, con lâaiuto dello straniero, uno Stato senza nazione, asservito agli Stati Uniti o allâUnione Sovietica.
Nei reduci del fascismo, il mito nazionale si manteneva vivo cosĂŹ come essi lâavevano sentito e concepito in passato, anche se ora il loro nazionalismo non era piĂč alimentato dallâentusiasmo per la modernitĂ e forse neppure dalla fede nel futuro dellâItalia come grande potenza. La dissociazione del mito nazionale dal mito del nazionalismo modernista Ăš forse lâelemento piĂč significativo nellâideologia del neofascismo, fortemente intriso di nostalgia per una perduta grandezza. In molti reduci del fascismo, il mito nazionale era congiunto al rimpianto per lâideale di una Grande Italia, cosĂŹ come essi lâavevano vagheggiata nei loro giovanili sogni di potenza, sorretti allora dalla visione di una nazione che camminava con orgoglio e con baldanza a fianco delle grandi potenze, con lâambizione di competere con esse e superarle. Alla nostalgia del passato si univa il disprezzo per il presente, per lâItalia sconfitta, annullata nel suo prestigio, mutilata nel suo territorio, governata da partiti che si erano installati al potere passando sul corpo lacerato della patria, relegata fra le nazioni che nulla contavano nella politica internazionale.
Principale collettore del neofascismo, il Movimento sociale elaborĂČ la sua ideologia mescolando varie correnti discendenti dal fascismo del regime e dal fascismo della Repubblica di SalĂČ, che convissero tumultuosamente al suo interno, con scontri anche aspri: ma il caposaldo ideologico rimase, per tutto il neofascismo, il primato del mito nazionale o, come lo definiva Costamagna, il «dogma della nazione», precisando che «Ú soltanto alla stregua di una dogmatica nazionale che noi possiamo differenziarci da tutti i partiti dello schieramento democratico, ciascuno dei quali, sia pure in modo diverso, ora sopranazionale, ora antinazionale, nega il principio della nazione»3. Ostentando la loro fedeltĂ al fascismo e alla sua ereditĂ ideologica, i militanti del Movimento sociale non esitavano a definirsi «nazionalisti», ripetendo alla lettera la concezione fascista della nazione come «una unitĂ morale, politica ed economica che trova la sua piena realizzazione nello Stato, ente politico ed etico per eccellenza»4. Di conseguenza, il neofascismo osteggiĂČ qualsiasi progetto di decentramento regionale, vedendovi un attentato allâunitĂ della nazione, cosĂŹ come sosteneva il necessario primato dellâautoritĂ dello Stato, che «trascende gli individui ed Ăš il depositario degli interessi permanenti e della perenne volontĂ di vita della nazione»5.
La nazione e il nazionalismo costituivano tuttora, per i neofascisti, le forze motrici della storia, anche quando, come nel caso della Russia comunista, il nazionalismo assumeva le vesti ideologiche dellâinternazionalismo. Nel confronto fra nazione e comunismo, sosteneva nel 1949 Augusto De Marsanich, Ăš sempre «la nazione ad assorbire e superare il comunismo». Nel definire il suo nazionalismo, il partito neofascista volle tuttavia distinguerlo dal generico patriottismo, che era pure la bandiera dei nostalgici della monarchia, per far risaltare la socialitĂ nella sua concezione della nazione, fino a parlare nuovamente di socialismo nazionale, come «una intuizione nuova ed un nuovo senso del concetto nazionale». «Da noi», affermava De Marsanich, «Ú sempre difficile distinguere fra Patria e nazione, fra sentimento e realtà », e per lungo tempo «il sentimento patriottico ha ricoperto di un retorico velario lâingiustizia sociale, il dominio di classe, la supremazia del denaro». A differenza della patria, la nazione non Ăš sentimento, ma Ăš «unâidea morale e politica, un dato storico, un sistema economico, che debbono essere considerati indipendenti dal naturale amore per il luogo natio» e che consentono, nella formula proposta dal socialismo nazionale, di «colmare le distanze sociali» e di «superare il dissidio di classe, per dare, infine, alla secolare questione dei rapporti economici fra gli individui e le categorie, una soluzione non ideologica, il che Ăš facile e inconcludente, ma una soluzione storica e vitale»6. Il Movimento sociale si richiamava esplicitamente alla tradizione del sindacalismo nazionale e al fascismo socializzatore di SalĂČ, e proponeva una versione populista del mito nazionale, considerando come «principio di orientamenÂto» la nazione «che riassume lâansia, il dolore, il lavoro, le idee di tutto un popolo», non la nazione «delle fanfare e dei pennacchi nei giorni della rivista»7.
Riproponendo i miti del fascismo anti-individualista e corporativista, il partito neofascista rinnovava anche il mito del primato italiano nella creazione di una Nuova CiviltĂ , una «concezione originale del mondo e della vita, una civiltĂ dello spirito, un nuovo umanesimo italiano e universale», in alternativa alla civiltĂ materialistica dellâamericanismo e del comunismo, come affermava «La Lotta Politica» alla fine del 1953. I neofascisti credevano fermamente «che fra lâItalia e lâidea di civiltĂ vi sia come un Ârapporto naturale di causa ed effetto; un vincolo perenne che fa dellâItalia la bussola di orientamento di tutta la storia umana». CiĂČ, tuttavia, non significava che essi fossero propensi a prefigurare, per il fuÂturo, un superamento dello Stato nazionale, come aveva immaginato il fascismo totalitario negli anni del trionfo. Ă vero che taluni gruppi neofascisti, piĂč prossimi al neonazismo che al neofascismo, vagheggiavano unâEuropa della razza ariana; altri agitavano lâideale di unâEuropa-Nazione mescolando nostalgie medioevali con spiritualismi romantici, incitando a una crociata degli europei contro il materialismo americano e russo. Ma la maggior parte dei neofascisti restava saldamente ancorata allo Stato nazionale come insopprimibile realtĂ spirituale e politica, e schernivano le «illusorie astrazioni siglate», le varie organizzazioni internazionali, dallâOnu alla Nato alla ComunitĂ Europea, che pretendevano di superare la realtĂ nazionale: «PerchĂ© lâidea di Europa, lâidea di unitĂ europea, non sia astrazione siglata, ma realtĂ viva occorre che prima lâidea nazione non sia astrazione ma una realtĂ altrettanto viva. Negare la nazione, e giudicare il nazionalismo da degeneri contraffazioni di esso, tentare di superare questo primo dato per giungere a formazioni dilatate significa costruire sulla sabbia»8.
Alla perennitĂ della nazione e del nazionalismo continuavano a credere anche coloro che, pur appartenendo alla schiera dei reduci del fascismo, consideravano ormai chiusa definitivamente lâesperienza fascista, ma non ritenevano dignitoso rinnegare quanto aveva rappresentato, ai loro occhi, un ambizioso e generoso tentativo di fare piĂč grande lâItalia, benchĂ© tale sforzo fosse infine naufragato nella piĂč rovinosa disfatta della storia nazionale. Era il caso, per esempio, di Gioacchino Volpe, che si dichiarava orgoglioso di non essere appartenuto «alla onorata societĂ di coloro che al proprio paese impegnato in guerra, qualunque esso sia, augurano la sconfitta e lavorano per la sconfitta». Lo storico ribadiva...