La societĂ  del Quinto Stato
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La societĂ  del Quinto Stato

Maurizio Ferrera

  1. 160 pages
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La societĂ  del Quinto Stato

Maurizio Ferrera

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Diritti approssimativi, salari bassi, contratti a termine: Ăš la societĂ  del Quinto Stato.Il precario non condivide il lavoro di fabbrica, non vive negli stessi quartieri, non frequenta le sezioni locali dei sindacati e dei partiti. È parte di un insieme eterogeneo, fluido, disperso, difficile da organizzare e mobilitare, trascurato dalla politica. A connettere i precari ci sono solo i canali 'freddi' di internet e dei social media.Quali misure potranno essere adottate per proteggere questo gruppo sempre piĂč esteso?

Ai primi del Novecento il Quarto Stato viene descritto come classe oppressa ma autoconsapevole e compatta, portatrice di interessi universali di emancipazione: operai, contadini e braccianti chiedevano che venisse loro riconosciuto un potere politico (tramite diritti) che fosse in linea con la loro rilevanza economica e sociale.Gli 'oppressi' oggi esistono ancora, ma sono meno visibili di un secolo fa e sicuramente molto meno organizzati. Sono le persone economicamente vulnerabili, con un lavoro instabile, che non godono di prestazioni sociali sufficienti. Sono loro, i lavoratori sottopagati e/o precari, che compongono il 'Quinto Stato', un insieme variegato e fluido la cui domanda di tutela e protezione Ăš ormai ineludibile.Una risposta possibile a tali richieste Ăš la strategia dell'investimento sociale, magari sorretto da un reddito di base universale e incondizionato, capace di fornire sicurezze e protezioni calibrate sulle nuove modalitĂ  di lavoro. L'altra risposta Ăš piĂč ambiziosa (l'autore la definisce 'riformismo 2.0'): mettere a frutto i processi di globalizzazione e la rivoluzione digitale al fine di realizzare un nuovo modello di societĂ .

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Informations

Éditeur
Editori Laterza
Année
2019
ISBN
9788858139790

1.
Post-industriale, istruita ma «precaria»:
la societĂ  del XXI secolo

Rivoluzioni silenziose

Le societĂ  europee hanno ormai assunto un profilo nettamente post-industriale. Nelle loro economie Ăš costantemente cresciuto il peso del settore terziario, soprattutto in termini occupazionali. Con il volgere del nuovo secolo, in tutta l’area OCSE l’occupazione terziaria ha superato quella industriale di un fattore pari a due (o persino tre) a uno. PiĂč in generale, sono profondamente cambiate le strutture del mercato e della famiglia, nonchĂ© i loro rapporti con il Welfare State.
Il declino del settore industriale Ăš un processo di lungo periodo, avviato giĂ  negli anni Settanta e dovuto a una progressiva saturazione dei mercati e alla diminuzione dell’elasticitĂ  della domanda rispetto ai prezzi dei beni prodotti dall’industria. Da allora, il settore dei servizi Ăš diventato sempre piĂč rilevante come propulsore della crescita economica e dell’occupazione, mentre i posti di lavoro nel settore manifatturiero hanno teso a diminuire. L’economia dei servizi Ăš governata da una logica diversa da quella dell’industria. La principale differenza Ăš che nell’ambito dei servizi Ăš molto piĂč difficile conseguire aumenti di produttivitĂ  – un problema che ha conseguenze di rilievo per il mercato del lavoro. Durante l’epoca dell’espansione industriale, gli incrementi di produttivitĂ  legati a innovazioni tecnologiche rendevano possibile combinare la crescita dei salari con la diminuzione dei prezzi; l’aumento della domanda di beni che ne derivava generava a sua volta nuova occupazione. Tale circolo virtuoso Ăš invece piĂč difficile da attivare nel settore terziario, dove i margini di innovazione tecnologica sono molto piĂč ristretti. La riduzione della produttivitĂ  si Ăš cosĂŹ tradotta in tassi di crescita piĂč bassi.
L’economia post-industriale Ăš spesso definita anche post-fordista, ossia sempre piĂč distante da quel modello di produzione di massa, con ritmi e procedure standardizzate, tipico della grande fabbrica novecentesca. Se Ăš certamente vero che il fordismo «vecchio stile» (quello delle catene di montaggio) Ăš ormai superato, occorre tenere presente che altre caratteristiche di quel modello sono sopravvissute o trasmigrate verso il settore dei servizi e non mostrano segni di declino. È il fenomeno della «McDonaldizzazione», inventato e poi applicato su larga scala nell’industria del fast food, e poi diffuso in molti altri settori del commercio e della grande distribuzione1. In un ristorante McDonald’s tutto Ăš standardizzato: dal menu ai nastri che trasportano i cibi, dalle procedure di ordinazione, consegna e pagamento alla disposizione dei tavoli. Si tratta di modalitĂ  organizzative e produttive volte a massimizzare efficienza, calcolabilitĂ , prevedibilitĂ , controllo. McDonald’s Ăš il corrispettivo post-industriale di Ford, per certi aspetti in versione aumentata per quanto riguarda il contenuto ripetitivo e «povero» delle prestazioni richieste ai dipendenti, e in versione diminuita per quanto riguarda invece la stabilitĂ  contrattuale e i livelli retributivi. Nei settori «McDonaldizzati», ai lavoratori sono richieste solo competenze elementari, ciascuno Ăš intercambiabile.
Al fenomeno della terziarizzazione si sono accompagnati, piĂč o meno nello stesso periodo, due altre dinamiche. Innanzitutto, una vera e propria rivoluzione educativa, ossia una massiccia espansione dell’istruzione superiore; ciĂČ ha allargato le schiere del ceto medio, rendendolo al tempo stesso piĂč eterogeneo. La seconda dinamica Ăš stata la crescente femminilizzazione della forza lavoro, a sua volta conseguenza della rivoluzione educativa e insieme fattore propulsivo dell’occupazione terziaria. In alcuni paesi il divario di genere nei tassi di partecipazione lavorativa Ăš praticamente scomparso e il reddito delle donne contribuisce per quasi il 50% al reddito familiare complessivo.
La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro ha provocato cambiamenti importanti nella sfera della famiglia e delle relazioni di genere. Mentre nelle societĂ  industriali le famiglie tradizionali con un unico percettore di reddito maschio e una moglie (tipicamente) inattiva impegnata nel lavoro domestico non retribuito costituivano la maggioranza, nell’epoca post-industriale la norma Ăš diventata la famiglia (o unione di fatto) a doppio reddito. Quelle con un solo percettore sono in larga parte famiglie monogenitoriali o unipersonali2. La dimensione media del nucleo familiare Ăš diminuita, in parte a causa di una riduzione dei tassi di fertilitĂ , in altra parte per il maggior numero di famiglie unipersonali e per il drastico calo delle famiglie multigenerazionali. Parallelamente all’aumento delle separazioni e dei divorzi, questi cambiamenti indicano un processo di progressivo «infragilimento» delle relazioni sociali all’interno delle societĂ  europee.

L’economia posizionale e la trappola delle opportunità

Nonostante il rallentamento dei tassi di crescita, l’economia post-industriale ha continuato ad accrescere l’opulenza – quella catturata dalla nozione di prodotto interno lordo –, sia in termini aggregati che pro capite. La grande recessione degli anni 2010 ha bruscamente arrestato questa tendenza, ma la maggior parte dei paesi europei ha già recuperato i livelli di ricchezza pre-crisi e ha ripreso il cammino della crescita.
La terziarizzazione e, piĂč in generale, l’espansione dei cosiddetti settori basati sulla conoscenza hanno profondamente modificato la composizione del prodotto interno. L’incidenza dei beni materiali (auto, elettrodomestici, alimenti, abbigliamento e cosĂŹ via) Ăš diminuita, mentre Ăš aumentata quella dei beni immateriali (istruzione, cultura e intrattenimento, servizi alle imprese e alle famiglie). Questa dinamica Ăš stata accompagnata da una trasformazione culturale che ha progressivamente accresciuto il valore «posizionale» dei beni e servizi consumati. Il valore di un bene dipende, in ultima analisi, dalla soddisfazione che le persone traggono dal suo consumo. La soddisfazione puĂČ essere assoluta – compro un’auto sportiva perchĂ© mi piace la guida veloce – oppure relativa – compro quell’auto perchĂ© Ăš «distintiva», conferisce visibilitĂ , prestigio, e cosĂŹ via. Man mano che i consumi si affrancano dalla soddisfazione dei bisogni primari, l’aspetto sociale del consumo diventa piĂč saliente: la soddisfazione dipende non solo dalla fruizione personale, ma anche dal contesto della fruizione, il quale a sua volta dipende dal numero dei fruitori. Questo significa che, quanto piĂč aumenta l’uso di un bene (auto sportive, seconde case, vacanze al mare, servizi sanitari pubblici e cosĂŹ via), tanto piĂč si deteriorano le sue condizioni d’uso e dunque il suo valore posizionale.
Come era giĂ  stato ben compreso da alcuni economisti negli anni Settanta, l’affermazione di una cultura sempre piĂč posizionale crea un nuovo tipo di scarsitĂ 3. Comprare un’auto sportiva, viaggiare in business class, trovare lavoro in un settore d’avanguardia o in una azienda che la pubblicitĂ  ha reso famosa acquistano valore in quanto status symbol: segnalano un buon posizionamento dell’individuo all’interno di qualche gerarchia socialmente riconosciuta e apprezzata. Ma per loro natura i beni posizionali sono scarsi, hanno valore nella misura in cui restano «oligarchici»: accessibili a tutti in teoria, di fatto ottenibili solo da una minoranza. Le case su un tratto di costa incontaminato, le chance di diventare – e farsi curare da – un primario in un ospedale di eccellenza o l’amministratore delegato di una grande impresa, i posti disponibili in una universitĂ  come Harvard non possono crescere piĂč di tanto. Oltre a limiti funzionali, ci sono limiti sociali: senza numero chiuso e requisiti di ammissione altamente selettivi, Harvard non sarebbe piĂč «esclusiva» e perderebbe il proprio elevatissimo valore segnaletico.
L’ampiezza crescente dell’economia posizionale ha riguardato direttamente anche il mercato del lavoro. Pensiamo alla disponibilitĂ  e accessibilitĂ  di occupazioni di livello «superiore», ai ruoli di responsabilitĂ  e comando. Essa non puĂČ che essere scarsa, la domanda puĂČ essere soddisfatta solo in misura limitata: man mano che si sale nella piramide organizzativa, le posizioni superiori diminuiscono. I dirigenti sono meno degli impiegati, che a loro volta sono piĂč degli operai. In alcuni settori produttivi, poi, i posti di lavoro tendono ad essere strutturalmente scarsi: per limiti funzionali – serve solo un certo numero di piloti d’aereo o di astronomi – o istituzionali – l’offerta Ăš regolata, come nella pubblica amministrazione o in certe professioni. Nell’economia posizionale non possono vincere tutti, il gioco Ăš sempre a somma zero: se il posto di dirigente Ăš uno solo, o lo ottieni tu oppure lo ottengo io.
L’accesso alle posizioni piĂč ricercate, e a quelle di livello superiore in particolare, dipende sempre piĂč dal possesso di competenze certificate dai sistemi di istruzione. Questa dinamica ha proceduto di pari passo rispetto alla rivoluzione educativa: l’universalizzazione dell’accesso alla scuola, l’estensione dell’obbligo, il rapido aumento dei giovani diplomati e laureati. Le due dinamiche hanno risposto a esigenze e domande in parte diverse, ma si sono anche rinforzate a vicenda. Se il livello medio d’istruzione dei giovani aumenta, aumenteranno le soglie d’accesso richieste per accedere alle varie posizioni – soprattutto di quelle superiori. Il livello di istruzione (le credenziali educative) diventa cosĂŹ lo strumento principale per gestire la scarsitĂ  sociale di posizioni lavorative «buone», di lavori di elevata qualitĂ . A tali posizioni accede solo una minoranza di persone, quelle che hanno credenziali distintive. A sua volta, ciĂČ spingerĂ  piĂč giovani a istruirsi e a migliorare le proprie credenziali, al fine di poter accedere alla competizione posizionale nel mercato del lavoro.
Tale intreccio ha sicuramente contribuito a spostare in avanti la frontiera delle conoscenze e competenze e ad alimentare il progresso economico e sociale in generale. Una societĂ  piĂč istruita e meglio organizzata Ăš un valore in quanto tale. Occorre tuttavia considerare un aspetto cruciale: l’istruzione Ăš essa stessa un bene in larga parte posizionale. Il valore sul mercato del lavoro di questa o quella credenziale Ăš relativo alla sua diffusione: se tutti hanno la laurea, averla non sarĂ  piĂč un vantaggio relativo. BisognerĂ  avere anche un master, un dottorato, magari ottenuto in qualche istituzione considerata «distintiva» – un diploma a Harvard, per l’appunto. In termini posizionali, l’istruzione di massa finisce per lasciare tutti al medesimo posto. Nel tredicesimo capitolo dei Promessi sposi, Manzoni descrive in un passaggio indimenticabile l’effetto perverso della competizione posizionale. Durante un tumulto per le vie di Milano, all’arrivo del Gran cancelliere, «tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella parte donde s’annunziava l’inaspettato arrivo. Alzandosi tutti, vedevano nĂ© piĂč nĂ© meno che se fossero stati tutti con le piante in terra; ma tant’ù, tutti s’alzavano».
Come aveva previsto Daniel Bell giĂ  negli anni Settanta4, in linea di principio la transizione post-industriale genera «meritocrazia»: i sistemi d’istruzione e in particolare le universitĂ  acquisiscono un quasi-monopolio nel determinare le chance di vita e, dunque, la stratificazione sociale. Nelle previsioni iniziali, questa tendenza era da salutare positivamente in quanto fattore di parificazione delle opportunitĂ . Col tempo, vi sarebbe stato un rafforzamento del legame fra credenziali educative e classe sociale di destinazione, neutralizzando cosĂŹ la trasmissione intergenerazionale dello svantaggio. Anche i figli delle famiglie meno abbienti avrebbero potuto accedere alle posizioni superiori tramite istruzione e formazione. Purtroppo, non Ăš andata cosĂŹ. Il carattere posizionale delle credenziali e la scarsitĂ  sociale delle posizioni superiori hanno creato un «effetto congestione». Un diploma o una laurea hanno meno valore se li ottengono tutti e se la quantitĂ  di posizioni superiori resta fissa o aumenta in modo non proporzionale all’incremento delle credenziali. È quella che si chiama la «trappola delle opportunitĂ  educative» o, se vogliamo, la trappola della meritocrazia.
Ecco allora la madre di tutte le domande: come si fa a vincere la gara posizionale? Chi Ăš che riesce a farsi avanti, a ottenere le credenziali giuste per i posti giusti? La domanda ha innanzitutto una valenza funzionale: la performance delle organizzazioni Ăš tanto migliore quanto piĂč affidabili sono le credenziali (quanto piĂč chi viene assunto Ăš davvero preparato). Ma ha anche una valenza sociale piĂč ampia: quan...

Table des matiĂšres

  1. Introduzione
  2. 1. Post-industriale, istruita ma «precaria»: la società del XXI secolo
  3. 2. Globalizzazione, diseguaglianza, insicurezza
  4. 3. Economia digitale e lavoro 4.0: opportunitĂ  e rischi
  5. 4. Investire, includere, incentivare: il nuovo welfare
  6. 5. Riformismo 2.0: chance di vita, garanzie sociali, nuova politica
  7. Conclusioni: le riforme devono passare dall’Europa
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APA 6 Citation

Ferrera, M. (2019). La societĂ  del Quinto Stato ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461832/la-societ-del-quinto-stato-pdf (Original work published 2019)

Chicago Citation

Ferrera, Maurizio. (2019) 2019. La SocietĂ  Del Quinto Stato. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461832/la-societ-del-quinto-stato-pdf.

Harvard Citation

Ferrera, M. (2019) La societĂ  del Quinto Stato. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461832/la-societ-del-quinto-stato-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Ferrera, Maurizio. La SocietĂ  Del Quinto Stato. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2019. Web. 15 Oct. 2022.