Psicologia archetipica
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Psicologia archetipica

James Hillman

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Psicologia archetipica

James Hillman

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«Chiamate, vi prego, il mondo "la valle del fare anima"»: a queste parole del poeta John Keats si ispirĂČ James Hillman quando, negli anni Settanta, rivoluzionĂČ i dogmi della psicologia e della psicoterapia junghiana con la sua "psicologia archetipica". Da lui stesso definita "movimento culturale", questa "re-animazione" della psicologia analitica intendeva oltrepassare l'ambito degli studi clinici e i modelli scientifici per collocarsi piĂč diffusamente nel solco della cultura dell'immaginazione occidentale, tessendo legami con le arti e la storia della societĂ .Ma a differenza delle principali psicologie del XX secolo, che hanno le loro fonti – la lingua tedesca e la Weltanschauung monoteistica ebraico protestante - nell'Europa del Nord, la revisione di Hillman ha origine in quel Sud, in quel mondo mediterraneo che, oltre a essere luogo geografico, culturale, etnico, Ăš anche luogo simbolico, con le sue immagini e i suoi riferimenti, la sua umanitĂ  sensuale e concreta, i suoi dei e i loro miti, le cui metafore sono i principali veicoli espressivi degli archetipi, le forme primordiali e irriducibili della psiche.

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Informations

Éditeur
Treccani
Année
2021
ISBN
9788812009374

RI-ANIMARE I VIVENTI.
INTRODUZIONE AL PENSIERO DI
JAMES HILLMAN

di Silvia Ronchey*

LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO DELL’IO

Psicologia Ăš, alla lettera, logos piĂč psiche. Etimologicamente, la parola significa “ragione o discorso o racconto intelligibile dell’anima”. Secondo James Hillman, il compito della psicologia Ăš trovare un logos per la psiche, dare all’anima «un resoconto adeguato di se stessa»1. Se il mondo Ăš «la valle del fare anima», secondo una frase di John Keats divenuta il manifesto del pensiero di Hillman2, d’altra parte, a bilanciare tutto questo, l’anima ha una relazione elettiva con la morte, un’invincibile necessitĂ  suicida3, un’affiliazione con il mondo infero4. PerchĂ© qual Ăš, se non la morte, il fine conscio o rimosso di ogni vita? Ed Ăš allora proprio la perdita di uno stretto e cosciente rapporto con la morte, con l’incertezza indispensabile alla vita, con l’onnipresenza degli inferi, a sancire quella «perdita di anima» nella quale Hillman vede il peccato mortale della cultura occidentale moderna.
Si tratta dello stesso errore o peccato che Freud e Jung si erano proposti di emendare «per alleviare l’infelicitĂ  dell’uomo moderno, intrappolato nel declino dell’Occidente»5. Ma nessuno dei due padri fondatori della psicoanalisi si era davvero spinto a contestare l’io dei moderni, a condannare «la messa in scena», come scrive Hillman, «di una tradizione monoteistica bimillenaria che innalza l’unicitĂ  sopra la molteplicità»; a registrare quella che Hillman ha chiamato «la caduta dell’impero romano dell’io»6.
La necessitĂ  di ricostruire, su quelle rovine, un’antica politeia e di restituire una prospettiva politeistica al dominio della psiche, prima di approdare alle due opere piĂč famose, il Saggio su Pan e la Re-visione della psicologia, era stata formulata da Hillman all’inizio degli anni Settanta del Novecento in due articoli-manifesto: Psicologia: monoteistica o politeistica? e Lo scisma come espressione di visioni differenti.7 Partendo da Jung, Hillman identificava il recupero dell’anima al mondo con la possibilitĂ  di ricreare una psicologia “politeistica”, polimorfa, antindividualistica e antimonocentrica. Quest’io “meridionale”, mediterraneo, greco, pagano, antimonoteistico si poneva in antitesi all’“io nordico”, eroico, solo apparentemente intrinseco alla tradizione dell’Occidente, in realtĂ , scrive Hillman, un mito come gli altri, non migliore di altri, per quanto dominante nella nostra filosofia, in particolare ottocentesca, e dunque nella psicoanalisi e nella psicologia analitica tradizionali. L’io “ariano, apollineo, germanico, positivistico, volontaristico, razionalistico, cartesiano, protestante, scientistico, personalistico, monoteistico” alimenta quella che Hillman chiama la nevrosi nordica.

DISCESE AGLI INFERI

Il riferimento essenziale a Nietzsche e Schopenhauer, Kant e Goethe conferiva alla psicologia junghiana «uno sfondo piĂč spiccatamente tedesco, con una colorazione cristiano-psichiatrica». La psicologia archetipica di Hillman «si sente invece piĂč a suo agio a sud delle Alpi»8. In questo ritorno all’io australe l’anima, anzichĂ© vedere il proprio riscatto nelle figure dell’elevazione e dell’ascesa, Ăš disposta a intuire come unica possibile via di riscatto e riconoscimento di sĂ© la figura della discesa.
Ora, la metafora del profondo Ăš certo comune a tutta la ricerca psicoanalitica, che a partire da Freud si Ăš sempre diretta verso il basso, si trattasse di disseppellire i ricordi individuali dell’infanzia o un rimosso universale e ancestrale. Ma, ritiene Hillman, questa provvisoria nekyia in un sottomondo di prigionia mirava sempre a un risorgere della psiche guarita e attiva, come nel Flauto magico di Mozart o nel mito wagneriano di Sigfrido riemerge l’eroe. La discesa dell’anima prospettata da Hillman vuole approfondire invece una condizione di esistenza che Ăš permanentemente infera in sĂ©9. Vuole essere la presa di coscienza della relativitĂ  di un io visto come nient’altro che una tra le diverse fantasie della psiche, e della transitorietĂ , dolorositĂ  e irredimibile illusorietĂ  del mondo.
In questo senso, si potrebbe essere tentati di avvicinare il pensiero di Hillman alle filosofie mistico-orientali che dissolvono l’io e le sue interpretazioni letterali cosĂŹ come le divisioni tra l’io e le cose. Ma in realtĂ , come anche gli allievi di Hillman hanno dimostrato, questo particolare “realismo mistico” o “svuotamento dei positivismi occidentali” presente nel suo sistema non oppone Occidente a Oriente ma Nord a Sud, e perciĂČ tradizione (greco-antica) a modernitĂ  (cristiano-cartesiana). È piĂč esicasta, o quietista, che zen, piĂč platonico, o neoplatonico, che buddista. Il suo Ăš, come Ăš stato chiamato, un “Western Nirvana”10.
Nell’io che Hillman chiama politeistico convergono la molteplicitĂ  comunque essenziale anche secondo Freud alla natura umana e il modello multiplo comunque giĂ  junghiano di personalitĂ . È perciĂČ in ogni caso a partire da intuizioni prossime alla fonte della psicoanalisi e della psicologia analitica che la costruzione di Hillman plasma il suo ideale di psicologia polimorfa, avvicinabile alla concezione pagana ancora vivente nella tradizione di pensiero alla quale si richiama: la triade ellenico-magicorinascimentale-romantica.
Ricorre in Hillman la citazione di un frammento di Eraclito, giĂ  molto amato dai filosofi romantici: «Per quanto in profonditĂ  l’intelletto si spinga non potrĂ  mai raggiungere i confini dell’anima»11. Per Hillman l’immersione dell’anima in profonditĂ  si ricollega direttamente alla tradizione iniziatica greca, orfico-pitagorica e poi platonica, sino alla mistica tardoantica, medievale e – si potrebbe aggiungere – bizantina.
Fin dall’inizio, del resto, la prassi clinica dell’analisi non appare un calco moderno e positivistico dei metodi delle antiche sette misteriche greche? L’iniziazione non puĂČ essere comunicata da maestro a discepolo, ma procede nel mutismo del primo e nella cecitĂ  del secondo (il verbo kammyein, “chiudere gli occhi”, da cui gli etimologisti greci fanno discendere tutta la gamma lessicale del misticismo). La risonanza da anima a anima, da psiche a psiche, si attua non solo al di lĂ  della vista o della parola, ma di qualsiasi razionalizzazione possa fornire il logos, l’intelletto. È una discesa nelle tenebre, fatta di reminiscenza e di sofferenza, che il novizio sottoposto a iniziazione non riuscirebbe a tollerare, se non per il tramite di Eros – nella moderna psicoanalisi, il transfert – che nella ricerca notturna di Psiche, di Anima, lo rafforza e lo soccorre.
Se dunque, in fondo, giĂ  la psicoanalisi ottocentesca si era mossa nel solco ancestrale della tradizione misterica ellenica, non Ăš strano che alla fine del Novecento il suo piĂč spregiudicato erede colleghi l’esplorazione del profondo e la discesa nel sogno ai miti del mondo infero, di Ade e Persefone, ai misteri di Dioniso.

IL REPARTO INCURABILI E LA PATOLOGIZZAZIONE

L’importante Ăš che l’anima conservi quella sua infaticabile peculiaritĂ  inventiva, che Hillman chiama patologizzazione, parola che definisce «sia la capacitĂ  autonoma della psiche di creare malattie, stati morbosi, disordini, anormalitĂ  e sofferenze in ogni aspetto del comportamento, sia quella di avere esperienza della vita e di immaginarla attraverso una prospettiva deformata e tormentata»12. Per Hillman «le grandi immagini sono grandi passioni, e i palazzi e le caverne della “memoria” sono anche le arene dell’inferno»13. Il regno dei morti e il regno delle immagini si identificano. L’occhio patologizzato Ăš l’occhio dello psicologo ma nello stesso tempo l’occhio del mistico, del poeta, dell’artista. Le condizioni apparentemente “anomale” della psiche sono eminentemente umane, e quindi fondamentalmente normali.
«L’educazione della sensibilitĂ  comincia nel reparto incurabili, la cultura nel disturbo cronico»14. La psicologia archetipica va persino oltre l’antipsichiatria in questo suo aspetto, nel considerare che tutti, allorchĂ© prendiamo a sopportare realmente la nostra condizione umana, a divenire cioĂš lucidamente consci del nostro destino, che Ăš la morte, non possiamo non cadere in una qualche patologia psichica, che questa si esprima nella depressione o nei vari disturbi dell’umore, come la melancolia, o, per alcuni, in manifestazioni di delirio mistico o in ispirazione poetica o artistica.
Quegli esercizi di asces...

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