Scrutare il mistero. Custodire la fede
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Scrutare il mistero. Custodire la fede

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Scrutare il mistero. Custodire la fede

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Informazioni sul libro

Questo breve lavoro riunisce una serie di riflessioni di preghiera offerte dall'autore a vescovi e sacerdoti incontrati nelle varie parti del mondo.
Si tratta di meditazioni scritturali sull'immaginario biblico dei giardini e prendono spunto dalle riflessioni maturate dai suoi studi liturgici e patristici. I testi sono stati leggermente ampliati affinché ne possano usufruire non solo i sacerdoti ma anche tutti i fedeli cristiani.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788865126660

VIII. Il Giardino Chiuso

Una volta nel nostro mondo,
una stalla conteneva qualcosa
che era più grande del mondo intero.
Clive Staples Lewis


Abbiamo viaggiato nelle nostre riflessioni partendo dal giardino del Paradiso terrestre, siamo passati attraverso il giardino di Giuseppe d’Arimatea, dove Gesù apparve a Maria Maddalena come un hortulanus, il custode del giardino, e alla fine siamo giunti al giardino del Paradiso celeste.

Rimane comunque da prendere in considerazione un altro importante giardino, la cui bellezza è così delicata e ricercata che è nascosta alla vista: l’ Hortus Conclusus, il Giardino Chiuso, un nome poco conosciuto attribuito dalla tradizione a Maria, la Vergine Madre di Gesù. Questo giardino è innanzi tutto menzionato nel Cantico dei Cantici di Re Salomone: Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata (Cant 4, 12). Si tratta di un testo importante. Gli Ebrei traggono i loro canti da questi struggenti e appassionati poemi durante le celebrazioni Pasquali, mentre i Cristiani se ne servono come una raffigurazione dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. L’immagine è stata spesso evocata in testi patristici e liturgici in diretto riferimento a Maria: Hortus conclusus es, Dei Genetrix, hortus conclusus, fons signatus: surge, propera, amica mea! Un giardino chiuso tu sei, o Madre di Dio, un giardino chiuso, una fontana sigillata: alzati, affrettati, amica mia! ( Corpus antiphonalium Officii, Assunzione). Ciò parla della verginità di Maria, che non è semplicemente una realtà fisica, ma anche spirituale.

Nella mentalità medievale e rinascimentale il giardino chiuso, più di ogni altra cosa, esprime il concetto della vita nascosta, del posto dove lo Spirito Santo è effettivamente in azione. L’ hortus conclusus, come rappresentato nella letteratura e nella pittura del periodo, è un posto protetto da alte mura, un’area al sicuro dalla pubblica intrusione, che cattura la bellezza della natura all’interno dei propri confini, dove si custodiscono animali e, aspetto molto importante, si coltivano erbe medicinali.

C’è una lunga e interessante storia sullo sviluppo del giardino chiuso dalle sue origini in Mesopotamia fino all’Impero Romano, ma è soprattutto il giardino monastico che ha preservato l’antica tradizione, con al centro il suo albero o la sua fontana, e i suoi quadranti delineati da quattro percorsi che si diramano dal centro a formare una croce: Arbor et fons vitae, l’Albero e la fonte della vita. Il chiostro, così suddiviso, con l’albero primordiale al centro, configurava una disposizione dell’Eden, rappresentando simbolicamente i fiumi del Paradiso e il Sangue che scorre dalle piaghe nelle mani e nei piedi di Cristo. Tutto ciò divideva il chiostro in parti uguali, corrispondenti ai quattro angoli del mondo.

Nel Medioevo spesso si dipinse la scena dell’Annunciazione ambientata in un simile hortus conclusus (si ricordino, ad esempio, tra gli altri, Beato Angelico e Leonardo da Vinci). Non è facile sapere quale fosse il fondamento storico creduto alla base di ciò, ma certamente esso concordava con l’interpretazione teologica e mistica del Cantico dei Cantici, della Genesi e dell’Apocalisse. Dovunque l’Annunciazione fosse ambientata, una cosa è certa: in quella piccola porzione di terra accadde un evento d’immensa portata, che era l’inizio della più grande storia d’amore mai conosciuta dal mondo. Tutto questo fa dei grandiosi poemi di Salomone una descrizione puntuale della profondità di quel mistero per cui l’amore di Dio per il genere umano si è incarnato.

“O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro”.
(Cant 2, 14)

San Bernardo di Chiaravalle è stato uno dei più prolifici commentatori di questo Libro, ed egli interpreta tale grandioso Cantico in relazione al tenero amore tra Dio e l’anima. Dio, che è profondamente innamorato dell’anima, desidera che l’anima contraccambi quest’amore. Si tratta dell’amore più intimo che sia possibile, ed è rappresentato in maniera così toccante attraverso l’analogia dell’amore tra una giovane ragazza e il suo pastorello. Con un’ulteriore analogia, san Bernardo osserva che questo ardore è una prefigurazione dell’amore di Dio per Maria e, attraverso la stessa analogia, ci dà modo di essere coscienti dell’amore di Dio per la sua Sposa, la Chiesa. Il Cantico dei Cantici ritrae qualcosa che è al contempo profondamente privato e intimo, e che tuttavia, per sua natura, sfocia in un contesto più ampio. Questo concetto cattolico “al contempo/e tuttavia” fa parte della genialità del Commento di san Bernardo. Il giardino chiuso dove avviene quest’incontro è la stanza dello scopo nascosto di Dio, non solo per l’anima ma per la vita del mondo intero.

San Bernardo si serve di molteplici sermoni su questo libro della Bibbia per far conoscere la profondità dell’amore in un mistero che viene rivelato al mondo attraverso l’Incarnazione e nella nostra redenzione. Egli lo chiama magnum pietatis sacramentum, il grande mistero della pietà divina! Non un’idea, ma una Persona che desidera fare di tutti una cosa sola con il Padre e con se stesso – “ perché siano come noi una cosa sola, Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 22-23). Questa è l’unione mistica di Cristo con la sua Chiesa, e parlando di ciò san Bernardo dice:

“Devo veramente amare molto colui per il quale esisto, vivo e ragiono […] È veramente degno di morte, o Signore Gesù, chi ricusa di vivere per te, ed è morto; e chi non condivide la tua saggezza è un insensato, e chi cerca di essere per qualcos’altro che non sia tu, non è per niente ed è niente”( Sermones in Cantica, Sermo 20).

La formidabile rappresentazione del Cantico dei Cantici racconta la storia di una ragazza di campagna del villaggio di Sulam che, per la sua grande bellezza, attrae l’attenzione del re. Lei è felice della sua condizione e vorrebbe stare con il suo pastorello, ma i suoi fratelli sono invece ambiziosi e consapevoli dei vantaggi che una relazione con il re potrebbe arrecare alla loro famiglia, e così lei è condotta nell’harem, l’ala più intima del palazzo reale. Qui le sue compagne fanno del loro meglio per distrarre il re affinché scelga una di loro come sposa, ma il re non si lascia distrarre: “Come un giglio fra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle” (Cant 2, 2). La Sulammita è derisa dalle ragazze dalla carnagione chiara per la sua pelle scura, che è il risultato del suo lavoro nella vigna sotto l’intenso calore del sole (Cant 1, 6). Le persone più ricche evitavano l’esposizione al sole. Esse si rivolgono a lei in maniera sarcastica chiamandola “bellissima tra le donne” (Cant 1, 8); infatti, lei ammette: “Bruna sono ma bella, o figlie di Gerusalemme” (Cant 1, 5). Il re fa di tutto per vincere il suo amore, e per quanto canti le sue lodi, il cuore della ragazza vola dal suo pastorello che è così vivo in lei malgrado la sua assenza. Il re le permette allora di tornare a casa. I suoi fratelli, descritti come piccole volpi, le rendono difficile incontrare il ragazzo, ma lei lo immagina mentre la cerca con la giovinezza e la delicatezza di una gazzella che salta e sussura: “Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline (Cant 2, 8). Ma egli appare, guardando attraverso il reticolo, e la chiama: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna” (Cant 2, 10-12). Il desiderio della giovane per lui, benché separati, è così grande che piange: “Ho cercato l’amato del mio cuore” (Cant 3, 1). Alla fine lo trova, lo tiene stretto vicino e non lo lascia andare finché non acconsente a tornare a casa con lei. Il re, tuttavia, si presenta a questo punto nella speranza di un fidanzamento. La porta via, ma il pastorello li segue e la supplica di diventare invece sua sposa. Lei è profondamente commossa dalla grandezza e dalla profondità del suo amore. Le sue compagne cominciano a comprendere che c’è qualcosa di molto importante in questa relazione, e sebbene il re la supplichi di non andarsene, alla fine deve lasciarla andare. Ella incontra allora il suo innamorato e gli promette eterno amore mentre ritornano all’albero di mele nel giardino. Così termina la storia, ma che storia! Un simile fervore, un simile bramoso desiderio reciproco è l’affermazione che non c’è potere più grande, forza più tremenda dell’amore, “perché forte come la morte è l’amore” (Cant 8, 6): in altre parole, l’amore è invincibile.

L’amore di Dio è un qualcosa che certamente obbliga, ma va ricevuto e restituito liberamente. Che meraviglia, dunque, che questa immagine sia stata così prontamente pensata come un’immagine di Maria, la quale nella sua verginità doveva dare alla luce suo figlio rimanendo vergine per sempre. Questo amore appassionato è lo sfondo contro cui vediamo la gloria di Maria e l’amore incessante della Chiesa per Cristo.

“Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo…
Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia”.
(Cant 4, 1. 3)

Come la Chiesa adopera l’immagine del Cantico dei Cantici, durante l’Avvento, per descrivere il proprio desiderio di Cristo, così esso esprime anche il profondo desiderio di Dio da parte dell’umile fanciulla di Narareth – tutto quello che in lei sta bramando il Signore, il suo Pastorello, il suo Re. Come la Sulammita, la ragazza di Nazareth non è stata per nulla attratta dal guadagno di ricchezze o dal prestigio, ma da un profondo amore appagato dal dare e dal perdere se stessi donandosi, come l’inestimabile perla acquistata vendendo tutto il resto (cf. Mt 13, 46). La ricerca della saggezza è la ricerca dell’amato.

“Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi”.
(Cant 4, 9-10)

La Madonna è un segno sicuro della realtà, della bellezza e dell’intimità della vita interiore. “Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?” (Cant 6, 10). Ella è l’archetipo di ciò che la Chiesa dovrebbe essere in tutta la sua perfezione, e come tale detiene un posto di riguardo in tutti i giardini delle nostre diocesi così come delle nostre vite. Lei è stata la prima a incarnare questa profonda relazione del divino con l’umanità, e non soltanto perché ha concepito il Signore con quella disponibile ospitalità che molto ci dice della sua persona. Ha creato una stanza nei suoi pensieri per i pensieri di Dio, nel suo cuore per il cuore di Dio. Ha creato una stanza nella terra vergine del suo spirito affinché potesse germogliare la Parola. Sant’Agostino ci di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Scrutare il mistero. Custodire la fede
  3. Indice dei contenuti
  4. Introduzione
  5. I. Prendersi cura del Giardino
  6. II. Gettare le fondamenta
  7. III. Costruire la casa
  8. IV. Il Giardino del Peccato
  9. V. Il Giardino della Sofferenza
  10. VI. Il Giardino della Vittoria
  11. VII. Il Giardino del Paradiso
  12. VIII. Il Giardino Chiuso
  13. Ringraziamenti