Capitolo 1
Il Comune rosso, centro di potere del Movimento operaio
Negli anni Settanta Empoli si presentava con un tessuto economico tipico delle aree di quella che venne allora chiamata la Terza Italia; con una ancora rilevante componente operaia occupata nella tradizionale struttura produttiva manifatturiera, concentrata soprattutto nel settore del vetro e delle confezioni. Ma anche con un largo e crescente ceto medio, imprenditoriale e “nuovo”, prodotto dall’espansione costante dei servizi, alle imprese e alle persone. Al diffuso ed elevato benessere sul piano economico, si accompagnava, sul piano sociale, una ormai consolidata assenza di acute tensioni.
Lo sviluppo economico dell’area, la capacità di creare ricchezza e di estendere il tasso di occupazione erano favoriti soprattutto dalle caratteristiche strutturali del settore dell’abbigliamento, dove dominava la microimprenditorialità, la diffusione del lavoro a domicilio, più o meno regolamentato, il contoterzismo e il lavoro a cottimo. Il decentramento produttivo era comunque una caratteristica di un po’ tutti i settori dell’industria manifatturiera locale: da qui il riprodursi continuo, nell’area, di autoimprenditorialità e di forme di lavoro autonomo articolate intorno alla figura dell’imprenditore-lavoratore; da qui la scarsa polarizzazione della struttura di classe.
Una società attiva e intraprendente, una economia flessibile e capace di innovazione favorivano la mobilità sociale, consentendo ad una vasta classe operaia di attingere soddisfacenti livelli di reddito – grazie anche alla grande diffusione del lavoro femminile – e soprattutto di puntare concretamente ad un progressivo miglioramento della propria condizione economica e professionale, proprio in virtù delle caratteristiche strutturali del sistema.
Il sistema politico locale si era attivamente impegnato, attraverso le sue articolazioni più importanti (il partito, il Comune, lo stesso sindacato, la cooperazione) a garantire e sostenere lo sviluppo di questa realtà economica e produttiva, con uno scambio continuo e inestricabile tra sistema economico e subcultura politica territoriale, che si esprimeva in primo luogo nella schiacciante supremazia elettorale registrata dal pci.
L’organizzazione del pci a livello comunale si era molto estesa, proprio in virtù della continua crescita elettorale e dei successi organizzativi accumulati nel corso degli anni precedenti. Quel partito-società che era stato capace di esprimere tutte le realtà sociali, il mondo del lavoro e tutto il popolo empolese si era consolidato in un potente e un po’ ferrigno partito-apparato, con una struttura centralizzata ampia e stabile.
Il sindacato e il movimento cooperativo restavano i due pilastri del sistema della subcultura rossa; ma si veniva allargando e consolidando la rete delle associazioni collaterali che il partito controllava, con le quali viveva in simbiosi e dalle quali riceveva domande e sollecitazioni.
Dal 1946 al 1990 il Comune venne ininterrottamente governato dal pci, da solo o in alleanza col Partito socialista, con i comunisti che da soli raggiungevano percentuali di voto sempre largamente superiori alla maggioranza assoluta, sfiorando anche, più volte, i due terzi dei voti validi. Gli anni Settanta segnarono l’apogeo: il pci passò dal 58,6% (e 26 seggi su 40) alle comunali del 1970 fino al 63,2% (e 28 seggi) del 15 giugno 1975, per poi calare appena alle successive elezioni comunali del 1980, dove ottenne comunque il 61,7% e mantenne i 28 seggi in consiglio comunale.
Per tutto quel decennio il Comune di Empoli venne governato da una giunta monocolore comunista. Traguardo politico da sempre destinato ai quadri di partito più selezionati e sicuri, la giunta comunale venne “occupata” da un ristretto gruppo di dirigenti, che garantirono una pressoché assoluta continuità di linea e di obiettivi. Continuità che si espresse anche quando, è il caso appunto dell’assessorato alla Cultura, la giunta stessa si aprì ad un cauto ricambio generazionale, dopo che le elezioni del 1975 avevano segnato l’ingresso in consiglio comunale di un buon numero di dirigenti della fgci, passati attraverso l’esperienza del Movimento studentesco empolese (8 su 28 consiglieri eletti nel gruppo del pci in quella occasione avevano meno di 25 anni). Garante della linea e arbitro indiscusso delle cooptazioni al vertice dell’esecutivo comunale, il sindaco Mario Assirelli – già militante antifascista e carcerato durante il ventennio, tipico dirigente comunista di origine operaia –, rimasto per 20 anni, fino al 1980, alla guida dell’amministrazione, mantenendo saldamente nelle sue mani l’effettivo potere decisionale su tutte le questioni di una qualche rilevanza.
L’indirizzo politico che il compatto gruppo di amministratori comunisti aveva impresso al Comune andava nella direzione di mantenere il consenso, soprattutto cercando di assicurare alla comunità locale i servizi necessari ad assecondare il tipo di sviluppo verso cui la spingevano le peculiari caratteristiche della struttura economica e produttiva. Svolgendo in tal modo una funzione essenziale nel garantire l’integrazione tra subcultura politica e sistema economico.
Le politiche a cui la giunta riconosceva carattere prioritario, nel corso degli anni Settanta, furono perciò rivolte soprattutto a soddisfare la forte domanda di servizi scolastici, sociali e assistenziali. E ciò, sia, da un lato, con un grosso sforzo nel campo dell’edilizia scolastica e per l’attivazione di un numero sufficiente di asili-nido e scuole materne – di cui la forte presenza di donne occupate rendeva particolarmente acuto il bisogno. Sia, d’altro lato, impegnandosi a contribuire al sostegno e alla qualificazione dell’apparato produttivo, pianificando la disponibilità di aree attrezzate sul territorio comunale per favorire nuovi investimenti e la nascita di nuovi impianti produttivi; ma anche operando con interventi sulla formazione professionale nei settori tipici, con la promozione di forme consortili e associative per le imprese, con lo sviluppo di attività promozionali a favore delle stesse.
Capitolo 2
Movimenti culturali e Comune
Nella nostra ricerca l’attenzione venne focalizzata, oltre che sull’offerta dell’ente locale, anche sulla domanda culturale, ovvero sui fenomeni nuovi, sui processi e movimenti che erano comparsi in campo culturale nel corso degli anni Settanta come frutto, a loro volta, dei profondi mutamenti intervenuti nella società italiana. È inutile ricordare, infatti, la forza esplosiva che i movimenti collettivi del ’68 – e in particolare il Movimento studentesco – avevano dispiegato anche e soprattutto rispetto al tema dei «bisogni culturali».
Il campo della domanda culturale si era grandemente e assai rapidamente arricchito di molteplici ambiti, sedi ed obiettivi di intervento. All’inizio di quel decennio si erano consolidate «prevalentemente fra giovani molto o abbastanza scolarizzati e disoccupati (o malamente occupati), e con l’apporto decisivo di frange inquiete degli strati intellettuali più anziani e molto o almeno un poco marginali, le basi sociali per la riproduzione permanente di movimenti politico-culturali». Dietro la spinta e per ispirazione più o meno indiretta di questi movimenti, negli anni immediatamente successivi si erano diffuse un po’ ovunque forme di aggregazione le più svariate, finalizzate ad attività di tipo specificamente culturale.
Anche a Empoli comparvero, fenomeno nuovo e dirompente alla fine degli anni Sessanta, movimenti sociali giovanili: la società si muoveva anche senza il partito. Dentro la modernizzazione, la crescita dei livelli di istruzione, la diffusione dei media e la circolazione delle informazioni e delle conoscenze. Molti cambiamenti, insomma, che alimentavano movimenti di protesta e soggetti nuovi che premevano sulla politica, in primo luogo sul governo locale.
La nostra ricerca voleva osservare le caratteristiche di questi nuovi gruppi ed associazioni nel momento in cui entravano sul mercato dell’offerta culturale in forme semiprofessionali o che comunque aspiravano a diventare tali; che avevano per lo più scelto il territorio e l’attività culturale “di base” come loro orizzonte e campo operativo; e che avevano individuato nel Comune il naturale interlocutore e possibile committente.
Ma il Comune, molto attento ai problemi dei cittadini-lavoratori ed alle necessità dell’apparato produttivo locale, finì col perdere di vista, per così dire, questo pezzo della comunità locale che, per ragioni non solo anagrafiche, del mondo del lavoro non faceva ancora parte e che, soprattutto, si faceva portatore di una domanda del tutto nuova e diversa da quella a cui il Comune stesso era abituato a prestare attenzione.
Peraltro, si trattava anche in questo caso di un pezzo di società che gli amministratori comunisti avrebbero dovuto riconoscere, perché era anch’esso interno, in gran parte, alla subcultura politica comunista. È da aree o gruppi interni o assai vicini alle strutture territoriali del partito che prese corpo, infatti, nel corso di quegli anni, una nuova domanda, nuovi soggetti dell’agire politico, movimenti collettivi di composizione prevalentemente giovanile, che attraverso l’affermazione di tematiche culturali venivano sollecitando il sistema politico locale ad aprirsi alle nuove problematiche di integrazione sociale e politica, cercando di sensibilizzare il partito egemone ad accettare modalità e contenuti nuovi nella formulazione dei termini dello scambio politico.
L’ente locale veniva individuato come punto di riferimento privilegiato, in quanto elemento del sistema orientato istituzionalmente a recepire, anche in termini di disponibilità finanziaria, di strutture ecc., le sollecitazioni culturali provenienti dalla realtà territoriale. Nella prospettiva di chi, come i giovani protagonisti di questi movimenti, si muoveva per lo più nell’ambito degli stessi riferimenti politici generali della giunta comunale, le domande nei confronti dell’ente locale si caricavano anche di intrinseche aspettative simboliche.
Ma da parte del Comune non ci fu quasi risposta. La disponibilità stessa al confronto sembra essere stata fortemente limitata, e il giudizio che se ne ricava è di una sostanziale arretratezza dell’istituzione, di una sua inadeguatezza di fronte al processo di crescita generale, culturale e politica, della società civile, che trovava localmente nella nascita di organizzazioni e di iniziative a carattere culturale la sua espressione più rilevante.
I gruppi e i movimenti che apparvero sulla scena cittadina negli anni Settanta sollecitavano il Comune ad assumere un ruolo politico nuovo, che non rientrava nella sfera delle autoassegnate competenze politico-istituzionali. Il ruolo, appunto, di un’istituzione chiamata a sostenere il dialogo diretto, praticare la disponibilità all’ascolto di una dom...