Capitolo 1
La slavina inizia con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016
Confuse e pretestuose le ragioni del NO
Firstonline, 27 settembre 2016
Zagrebelsky e Pallante sostengono che al referendum bisogna votare no perché la riforma costituzionale in accoppiata con l’Italicum accentra i poteri a favore dello Stato e nello Stato a favore dell’Esecutivo, ma tutto questo non corrisponde né alla lettera della riforma né tanto meno all’Italicum – Crainz e Fusaro dimostrano chiaramente come in realtà la riforma e il superamento del bicameralismo paritario avvicinino l’Italia ai Paesi più avanzati – La pia illusione di fare una riforma migliore se vince il No.
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Gustavo Zagrebelsky è un illustre professore di diritto costituzionale. Insieme con il professor Francesco Pallante dell’Università di Torino ha dato alle stampe un piccolo e agile volumetto per spiegare le ragioni del No al referendum sulla riforma costituzionale (Loro diranno, Noi diciamo, Laterza, 2016).
È una lettura interessante che – a mio parere – chiarisce invece, anche ai non esperti in materia e ai dubbiosi, per quale ragione sia vitale per il futuro dell’Italia votare Sì. Il cuore della tesi sostenuta dai due illustri cattedratici è da loro stessi riassunta in questo modo: “Una cosa è chiara, l’accentramento (dei poteri) a favore dello Stato e nello Stato a favore dell’Esecutivo a danno della rappresentanza parlamentare”. E ancora: “L’accoppiata Italicum-Riforma costituzionale rende evidente come il vero obiettivo delle riforme sia lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’Esecutivo”.
Ora, a parte la denuncia del restringimento della rappresentanza dei cittadini, che porta i due studiosi a paventare la creazione di un governo oligarchico, dominato da latenti istinti autoritari che proprio non corrisponde né alla lettera della riforma costituzionale né tanto meno all’Italicum, uno snellimento delle procedure politiche attraverso la riduzione dei livelli di governo, il taglio del numero dei parlamentari e soprattutto una più efficace distinzione tra i compiti dello Stato e quelli delle Regioni, è proprio quello di cui il nostro Paese, bloccato da oltre vent’anni di veti incrociati, ha urgente bisogno. Bisogna votare Sì per dare più capacità di azione al Governo centrale, abolire alcuni enti inutili come il Cnel e conferire alle Regioni uno spazio chiaro di azione e una rappresentanza in un Senato che farà poche cose, tutte volte a un migliore raccordo tra governo centrale e autonomie locali.
Al di là di alcuni aspetti tecnici, che certamente avrebbero potuto essere meglio precisati (ma anche qui bisogna vedere in quale direzione), la tesi di fondo dei due professori torinesi è che con queste riforme si rischia un assetto istituzionale che restringe gli spazi della democrazia e della partecipazione popolare. Ora, questa è una tesi del tutto infondata e – mi scusino gli illustri giuristi – anche risibile, dato che l’abolizione del bicameralismo paritario avvicina il nostro paese a quanto avviene nella maggior parte delle democrazie occidentali, senza dar luogo a dittature di sorta.
L’accentramento di maggiori responsabilità nel Governo di Roma dà seguito a una richiesta avanzata per anni da tutti gli operatori economici e, soprattutto, pone le basi per mettere un freno alle spese incontrollate degli enti locali, la cui allegra finanza (spesso clientelare) è stata causa non secondaria della quasi bancarotta del Paese. Se poi si considera che, nella riforma, gli assetti di governo, come ad esempio i poteri del premier, non vengono toccati e che il ruolo del Capo dello Stato è addirittura potenziato, mentre comunque il Senato continua a esercitare su diverse materie poteri di interlocuzione e di controllo, non sembra realistico gridare alla “svolta autoritaria”.
Confortano in questo senso le riflessioni del libro di uno storico, Guido Crainz, e di un giurista, Carlo Fusaro, sulle ragioni di aggiornamento della Costituzione (Donzelli Editore) con una prefazione di alto valore civile e politico dello stesso Donzelli. I due autori dimostrano, con ricchezza di dati, che tutte le modifiche fatte ci avvicinano alle esperienze costituzionali dei paesi con i quali è ragionevole confrontarsi. E anche per quel che riguarda il cosiddetto “combinato disposto” con la legge elettorale, non sembra affatto ragionevole pensare che la volontà del cittadino elettore venga distorta da un premio al vincitore, premio che permette di arrivare a una maggioranza certa e al varo di un governo.
Vale la pena ricordare quello che è accaduto in altri Paesi: in Francia Marine Le Pen prese solo 2 seggi con il 18% dei voti e in Gran Bretagna lo Ukip ebbe un solo seggio con quasi il 10% dei voti. Con l’Italicum invece il partito che dovesse prendere il 10% dei voti potrà contare su circa 40-50 seggi. Soprattutto, il premio di maggioranza assegnerà al vincitore 340 seggi, cioè 25 in più della maggioranza dei componenti della Camera, quindi tutto dipenderà dalla compattezza del partito di maggioranza che, come si è visto negli ultimi vent’anni, non è affatto certa.
Appare quindi evidente che le critiche alla riforma Boschi sono infondate o pretestuose, come quella sulla lunghezza del nuovo articolo 70 che regola i compiti del Senato delle autonomie. Se infatti finora bastavano due righe per dire che il Senato fa esattamente le stesse cose della Camera, nel nuovo testo è stato necessario precisare invece cosa devono fare i rappresentanti di regioni e comuni. Si è scelto di andare troppo nel dettaglio? Come succede sempre, sarà poi la prassi politica a chiarire le modalità operative delle due Camere.
Le ragioni del Sì alla riforma sono di gran lunga superiori alle eventuali imperfezioni che vengono usate per indurre al No. Del resto bastano due innovazioni per spingere a votare a favore: viene superato il bicameralismo paritario, con il miracolo di un Senato che ha votato a favore della propria soppressione, circostanza che non si ripeterà facilmente, e vengono regolati i poteri delle autonomie locali, ponendo riparo agli errori fatti sotto la spinta di uno sgangherato federalismo.
Un No per mandare a casa Renzi. Insomma si vuole buttare a mare una buona riforma per azzoppare il Governo. Anche se a questo scopo saranno a disposizione tra non molto le elezioni politiche. Poi ci sono i Ni, come quelli patetici di Parisi e Tremonti che, insieme a D’Alema, sostengono che adesso bisogna votare No per poi fare una riforma migliore. Pia illusione o malafede: bocciare questa riforma, che comunque tecnicamente non ha nulla di disprezzabile, vuol dire tenersi l’attuale sistema per chissà quanti anni ancora, oppure peggiorarlo di molto con una nuova legge elettorale puramente proporzionale che non darebbe luogo ad alcun governo. E questo non gioverebbe all’Italia. E forse nemmeno all’armata Brancaleone del No capitanata da Brunetta e dal redivivo Landini.
Referendum costituzionale: lo strano NO del Prof. Monti
Firstonline, 18 ottobre 2016
L’ex premier voterà No per protestare contro questa manovra che, con i suoi tanti bonus, punterebbe a comprare il voto degli elettori: eppure, sono proprio le nuove regole costituzionali la premessa per modificare la propensione della politica ad acquistare il consenso con la spesa pubblica.
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Caro professor Monti,
ci conosciamo dagli anni Settanta e ho sempre apprezzato il rigore delle sue analisi economiche e l’innovazione delle sue proposte volte alla modernizzazione dei mercati finanziari e in generale alla ridefinizione del ruolo del settore pubblico nelle moderne economie liberali. Ma trovo una profonda contraddizione all’interno del suo ragionamento (nell’intervista di oggi al Corriere della Sera), per il quale sarebbe indotto a votare No al referendum per la modifica della nostra Costituzione.
Il suo voto contrario non riguarda tanto le modifiche costituzionali – molte delle quali lei giudica positivamente mentre altre le appaiono dubbie, come quella del Senato – ma si riferisce al metodo adottato dall’attuale governo per “comprare” il consenso necessario a farle passare. Si tratterebbe della scelta di Renzi di distribuire bonus, o “mance”, a varie categorie di cittadini-elettori con scarsi effetti sullo sviluppo complessivo della nostra economia, ma con conseguenze assai negative sulle modalità di gestione della politica e sulla stessa cultura dei cittadini, spinti a rimanere attaccati alle mammelle della finanza pubblica, invece di muoversi verso forme più adulte e mature di cittadinanza.
Ma proprio qui sta la contraddizione del suo ragionamento. Sono le nuove regole costituzionali che costituiscono la premessa (necessaria, anche se non sufficiente) per mod...