Metafore dell'esistenza e desiderio di salvezza
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Metafore dell'esistenza e desiderio di salvezza

Un viaggio interiore

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La speranza dell’uomo di non smarrirsi nei labirinti dell’esistenza rimane appesa alla riscoperta e alla riappropriazione delle tante metafore che definiscono lo spazio della cultura occidentale. Sono rappresentazioni e interpretazioni dell’esistenza e chiedono di essere realizzate come mete dell’agire dell’uomo. Le metafore, cui si fa riferimento, sono riprese da figure bibliche e assunte come strumenti di conoscenza dell’esistenza, modelli di confronto, guide nell’azione e stili di vita. Sono metafore che aiutano a descrivere la condizione dell’uomo riflessa nelle vicissitudini e nelle contraddizioni che caratterizzano l’esistenza di ognuno e negli aneliti di speranza che insieme convivono e determinano la stessa condizione spirituale del tempo. Esse definiscono la realtà della condizione umana in bilico tra lo scacco del fallimento e la pienezza di vita, tra la perdizione e l’attesa di salvezza. Sono figure del nostro figure biblicheche interpretano il nostro presente e disegnano anche il nostro futuro. Soprattutto indicano all’uomo un percorso da compiere alla ricerca della propria identità insieme a quella degli altri. Rilette come chiamate alla responsabilità dell’io conducono ad un impegno etico che si realizza nella rinuncia al predominio dell’io sul tu e nell’incontro decisivo con l’Altro. È nell’incontro con l’altro che la metafora cessa di essere solo una cifra dell’esistenza e acquista la sua capacità di trasformare il mondo, oltre che di interpretarlo. Dietro e dentro queste metafore vivono il patire e lo sperare dell’uomo, nella forma di una chiamata alla responsabilità come impegno consapevole a favore degli altri.
Rocco Pititto, già professore di Filosofia della Mente e di Filosofia del Linguaggio nell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Tra le sue opere ricordiamo: La fede come passione. Wittgenstein e la religione (Cinesello Balsamo 1997); Dentro il linguaggio. Pratiche linguistiche ed etica della comunicazione (Torino 2003); La ragione linguistica. Origine del linguaggio e pluralità delle lingue (Roma 2008); Cervello, mente e linguaggio. Una introduzione alle scienze cognitive (Torino 2009); Ciências da linguagem e ética da comunicação (Aparecida –SP 2014); La Christus, Hoffnung der Welt di Heinz Tesar: tra architettura, filosofia e teologia (Pomigliano 2014); Pensare l’architettura. Pensare filosofico e fare architettonico (Campobasso 2017). Per le nostre Edizioni ha pubblicato: Ad Auschwitz Dio c’era. I credenti e la sfida del male (Roma 2005); Lui è come me. Intersoggettività, accoglienza e solidarietà (Roma 2012); Con l’altro e per l’altro. Una filosofia del dono e della condivisione (Roma 2015).

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788838248207

1. Conflittualità e violenza nel mondo: un prologo biblico

Il racconto delle vicende di Caino e di Abele e dell’uccisione di Abele ( Gen 4), vittima sacrificale della rabbia e dell’odio del fratello, è un eco lacerante della violenza che ha invaso il mondo delle origini dell’umanità e che trova risonanza nel libro della Genesi . La sua gravità e la sua persistenza sono in contiguità con altri racconti delle origini, quasi a marcare la comune radice. Stesse storie di violenza si ritrovano in altre saghe delle origini di culture diverse. L’uomo ha paura, quasi terrore, di questa violenza originaria, che lo investe, si accanisce contro di lui e ne mette in discussione la sua stessa sovravvivenza. Egli cerca di esorcizzarla facendosene una ragione, raccontandola e rappresentandosela.
Lo schema dei racconti è assai semplice nella sua struttura e presenta delle costanti, pur con delle varianti. Tra due fratelli avviene uno scontro, che si conclude con la vittoria di uno e con la sconfitta dell’altro. Le cause dello scontro possono essere diverse. Invidia? Gelosia? Lotta per la supremazia all’interno del gruppo di appartenenza? Nei racconti colpiscono circostanze simili come il venir meno della relazione di fratellanza – la rinuncia a riconoscerla e ad accettarla – e l’esplosione di una violenza che arriva all’uccisione della vittima [1] . Vince la prepotenza sull’ingenuità, la prevaricazione sulla debolezza e, ancora, la cattiveria sulla bontà. Può sopravvivere Abele alla prepotenza di Caino? Abele già per il nome che porta sembra appartenere al mondo dell’effimero e del contingente. Rispetto a Caino – letteralmente l’“acquisto” di Eva –, Abele è un predestinato a venir meno, quasi a scomparire, così come un “respiro” o un “soffio”, come la stessa radice ebraica heb-el o h˘ab¯e¯l del suo nome suggerisce [2] .
Il racconto biblico narra lo scontro che avviene tra i due fratelli. Caino al culmine di un aspro contrasto, covato nel tempo, con il fratello, un contrasto già radicato e insanabile, esce vincitore e Abele sconfitto. Lo scontro si conclude con l’ uccisione di Abele. La Genesi mette in scena l’evento sanguinario, che matura e si consuma all’interno della prima comunità post adamitica. Più che di una descrizione di un evento, anche se grave, si tratta di una riflessione teologica sul male generato da un’azione di violenza di un fratello sull’altro. Se in prima istanza oggetto della riflessione è l’affermazione della violenza, in seconda istanza lo è il male che ne è derivato da allora tra gli esseri umani. Il male diventa il peccato dell’uomo, il limite da non oltrepassare se l’uomo vuole rimanere in pace con sé stesso e nell’amicizia con Dio. La vicenda è raccontata nei suoi aspetti più drammatici e rappresenta il punto di arrivo della consapevolezza di Israele nei riguardi del male. Come comprendere il male, – si chiede Israele –, se Dio ha creato il mondo e non poteva non crearlo che “buono”, come si legge nel racconto delle origini? Ma allora perché il male e, soprattutto, perché debba far parte, quasi come un habitus, dell’essere dell’uomo? Il male – ragiona Israele –appartiene all’essere dell’uomo così tanto da far parte della sua storia fin dall’origine e da esserne lui stesso, non Dio, l’unico responsabile. Caino è la parte peggiore dell’essere dell’uomo, colui che rifiuta la fratellanza per rincorrere una realizzazione personale che l’oppone all’altro congiunto e l’allontana dalla comunità, di cui fa parte [3] .
Dello scontro a pagarne le conseguenze peggiori è Abele, il consanguineo più debole e più indifeso [4] . Messo in crisi da una relazione con Dio non molto gratificante per lui, perché oscurata dalla presenza di Abele, Caino non trova di meglio che uccidere il fratello per prendersi il posto da privilegiato – così egli credeva – presso Dio. Uccidendo Abele, Caino vuole affermare il proprio potere sul fratello inerme, e, forse, anche su Dio, lasciato in disparte dal racconto nel momento del fratricidio. Diverso è l’atteggiamento di Abele verso Caino. Abele stenta a credere che il fratello lo voglia sopprimere. Forse è troppo ingenuo per accorgersene e prendere le sue precauzioni. La versione coranica del racconto narra che, prima che il fratello lo colpisse a morte, Abele ha il tempo per rivolgersi a lui e dirgli che «se userai la tua mano per uccidermi, io non userò la mia mano per ucciderti» (Sura 5,28). Tra Caino e Abele c’è una divaricazione nei comportamenti. La scelta di Caino porta lo scontro a un livello di tanta violenza, dove Abele, più vicino al suo Dio in un rapporto di devota figliolanza, non avrebbe forse potuto nemmeno arrivare, anche se lo avesse voluto [5] . Troppo distanti i loro destini non si incrociano, perché vanno in direzioni opposte.
Di questo evento l’autore sacro non è interessato al valore storico del racconto, aspetto lontano dalla mentalità semitica. Il racconto ha valore archetipico. Narrando l’episodio a modo di un esempio esplicativo, l’autore si limita a dare di esso una spiegazione teologica, mettendolo in relazione con il peccato dei progenitori. L’uccisione di Abele è la conseguenza del peccato di Adamo e di Eva. Dopo il peccato dei progenitori cambia la scena del mondo voluto da Dio e tra gli uomini si diffonde ogni genere di conflittualità che nella sua forma più grave genera violenza e morte e la rottura con Dio. La serie dei misfatti compiuti dall’uomo è lunga e non sembra esserci una via d’uscita. Tutto avviene nel segno di una voracità famelica che corrompe e corrode i rapporti dell’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. «Narrando la prima tentazione la Bibbia – afferma Enzo Bianchi – espone il paradigma di tutte le tentazioni che seguiranno: questo è il primo peccato, ma in quanto archetipo, in quanto contiene tutti gli altri, tant’è vero che nella Genesi noi troviamo un crescendo in cui il peccato di Adamo ed Eva è posto sotto il segno della voracità della bocca (mangiare il frutto proibito); il peccato di Caino nei confronti di Abele è sotto il segno della voracità verso gli altri; il peccato di Babele rivela una voracità verso il mondo e verso il cielo (Dio), una volontà di potenza e di dominio. Ma tutto questo – passione del cibo, passione del bello, passione del viver a ogni costo – secondo i rabbini non ha che un solo nome: idolatria» [6] .
Le vicende narrate nel libro conducono Israele ad autocomprendersi nel segno di una colpa grave, commessa già all’origine, di cui Caino si è reso responsabile e le cui conseguenze non sono circonscrivibili al solo Caino. Secondo María Zambrano «con la storia di Caino e Abele comincia – la prima guerra civile» dell’umanità [7] , perché gli uomini non si riconoscono tra di loro come fratelli e diventano estranei gli uni agli altri. Dal disconoscimento della fratellanza nasce il fratricidio e da questo segue ogni altro delitto. Facendo riferimento al racconto di Caino e Abele, come anche alle vicende di Romolo e Remo, Hannah Arendt può affermare che «Qualsiasi fratellanza di cui gli esseri umani siano capaci nasce dal fratricidio, qualsiasi organizzazione politica che gli uomini abbiano costruito ha le sue origini nel delitto» [8] . Solo superando la violenza può nascere la fratellanza tra gli esseri umani.
Il peccato commesso contro Dio da Adamo ed Eva porta a delle distorsioni, – una vera corruzione nei comportamenti degli uomini –, nelle relazioni tra i loro discendenti. Il primo peccato introduce nel mondo una dinamica di forze negative che portano al peccato contro l’uomo. Caino, uccidendo Abele, diventa succube del dramma che si era compiuto nell’Eden, dal quale non riesce più a sfuggire. Ignora l’esistenza di altre modalità dell’agire, oltre la violenza e la morte, con le quali risolvere i contrasti, anche quelli più aspri e più profondi. La fine violenta che Caino riserva al fratello non gli consente di risolvere a suo favore nessuno dei problemi relazionali che aveva con Dio e con gli altri, riesce solo ad aggravarli. Il fratricidio non lo rende più vicino a Dio, né lo giustifica di fronte a lui. Lo fa solo precipitare in una condizione di peccato ancora più grave dalla quale soltanto un Dio lo potrebbe salvare. La salvezza per l’uomo peccatore è il perdono di Dio. Ma Caino sarà capace di compiere un atto di pentimento per ottenere il perdono? O, forse, Dio vorrà perdonarlo ugualmente, senza aspettare il suo pentimento, come soltanto Lui può fare? Caino è consapevole della gravità del suo gesto. Sa che la sua colpa è «troppo grande per ottenere il perdono» ( Gen 4, 13). Forse, è per questo inizio di pentimento, appena accennato, che Dio gli risparmia la vita, promettendogli di vendicarsi «sette volte» contro chiunque intenda fargli pagare il suo delitto con la morte.
Caino, forse, è gia pentito nel momento stesso in cui compie l’atto del fratricidio, quando si scopre ancora più fragile e più indifeso, in balia di forze oscure che non riesce più a controllare. Come insinua Hannah Arendt, egli «non vuole diventare Caino quando trucida Abele» [9] , forse vorrebbe soltanto sbarazzarsi del fratello per prendere il suo posto presso Dio senza arrivare al fratricidio. L’idea di succedere ad Abele nella benevolenza presso Dio si rivela perdente. Perde la sua tracotanza ed è invaso dalla paura di essere sopraffatto dagli altri. Con felice intuizione Vincenzo Romano può affermare che «Caino, consapevole della enormità del gesto compiuto, ha il terrore di restare fissato per l’eternità nella non realtà del fratricidio ed implora Dio perché gli offra una possibilità di ripresa: – Poiché se non sto al tuo cospetto e Tu non mi proteggi, sarò certamente ucciso – E il Signore che non vuole che il male diventi pessimo, risponde che chiunque oserà ucciderlo sarà punito sette volte tanto e segna Caino affinché nessuno ardisca toccarlo» [10] . Il perdono di Dio a Caino, più che un’ipotesi, è una speranza di chi come Caino – e ogni uomo nel quale egli rivive – caduto nel peccato più grande, e consapevole del male arrecato agli altri, a sé e a Dio, spera e invoca di non essere abbandonato da Dio e di essere perdonato. Dio saprà come rispondere ad ogni richiesta di aiuto, anche di quella di Caino, come ricorda Paolo nella Lettera ai Romani secondo cui «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» ( Rm 5,20). E se Caino, commesso il peccato più grande, fosse uno dei primi esempi della sovrabbondanza di grazia che Dio fa ricadere sul peccatore?













[1] L. Manicardi, L’omicidio è un fratricidio (Gen 4,1-16), in La morte e il morire (PSV 32), EDB, Bologna 1995, pp. 11-23.
[2] Caino dall’ebraico qayin significa “acquisizione”. Si tratta di un gioco di parole tra il nome qayin e il verbo qa¯nîtî (ho acquistato), pronunciato da Eva al momento della nascita di Caino. Il nome Abele deriva dall’ebraico he ḇel o h˘ab¯e¯l e significa “soffio vitale”, “respiro” e fa pensare alla debolezza, all’effimero. Lo stesso significato di “debole”, di “fragile” e di “destinato alla morte” lo si ritrova nel libro del Qoèlet, quando si afferma che ogni cosa è he ḇel . La traduzione «Vanità delle vanità, tutto è vanità» delle prime parole del Qoèlet h˘ab¯e¯l h˘ab¯a¯lîm, “soffio dei soffi” ( Qo 1, 2) non rende bene il senso letterale del testo. Il testo assimila l’inconsistenza della condizione umana al “soffio” del vento. Si potrebbe anche risalire al vocabolo sumero ibila, riprodotto nella radice accadica ablu o alu e può significare “figlio”, “erede”.
[3] M. Perani, Abele nella tradizione ebraica, in in Aa.Vv., Il giusto sofferente, EDB, Bologna 1996, pp. 113-133.
[4] Gli elementi narrativi dell’episodio sono determinanti sia sul piano della struttura del racconto, sia su quello della sua comprensione. L’uccisione di Abele per mano di Caino ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Metafore dell’esistenza e desiderio di salvezza
  3. INDICE
  4. Come un preludio
  5. I. Caino contro Abele: una metafora della condizione umana decaduta
  6. 1. Conflittualità e violenza nel mondo: un prologo biblico
  7. 2. Caino contro Abele: un fratricidio annunciato
  8. 3. Il racconto della Genesi
  9. 4. Una teologia della storia e dell’uomo
  10. 5. Una fratellanza negata
  11. 6. Caino e Abele: una metafora della condizione umana
  12. 7. Uno scenario umano degradato e la scelta del dialogo nella relazione con l’altro
  13. II. Camminare con Abramo verso la “terra promessa”
  14. 1. La figura di Abramo
  15. 2. Mettersi in viaggio con Abramo verso la “Terra promessa”
  16. 3. Abramo o l’enigma della fede
  17. 4. La storia di un uomo “comune”
  18. 5. Abramo, un uomo di fede e di speranza
  19. 6. La fede del credente nella prova suprema
  20. 7. Il viaggio di Abramo verso la “terra promessa”
  21. 8. Ulisse e Abramo: due figure della modernità
  22. III. Giobbe: un essere inquieto e disperato
  23. 1. Il racconto di una storia di sofferenza mortale
  24. 2. La figura di Giobbe: uno come noi
  25. 3. Significato e struttura del Libro di Giobbe
  26. 4. Il Libro di Giobbe in discussione
  27. 5. Giobbe e la domanda di giustizia
  28. 6. Il grido disperato di Giobbe
  29. 7. La religione di Giobbe: una risposta al problema del male
  30. IV. Dalla fuga dalla casa paterna al ritorno al Padre: un percorso di conversione
  31. 1. La misericordia di Dio raccontata in parabole
  32. 2. Una teologia della misericordia
  33. 3. La parabola del “Figliol prodigo” o del “Padre misericordioso”
  34. 4. La struttura narrativa della parabola
  35. 5. Due fratelli contro il loro padre: una storia che si rinnova
  36. 6. La parabola parla a noi e di noi
  37. 7. La figliolanza perduta e ritrovata
  38. V. Il “Buon Samaritano” o la scelta della compassione
  39. 1. La parabola del “Buon Samaritano”: la risposta di Gesù a una domanda di un dottore della Legge
  40. 2. La questione del prossimo
  41. 3. La struttura della parabola
  42. 4. La predicazione del Regno e la parabola del Samaritano
  43. 5. Il Samaritano e la scelta della compassione nella logica del dono
  44. 6. Il Samaritano come modello di una umanità redenta
  45. 7. “Essere un Samaritano”: la sfida del credente
  46. Il destino dell’uomo tra perdizione e salvezza
  47. Indice dei nomi