Il racconto delle vicende di Caino e di Abele e dell’uccisione di Abele ( Gen 4), vittima sacrificale della rabbia e dell’odio del fratello, è un eco lacerante della violenza che ha invaso il mondo delle origini dell’umanità e che trova risonanza nel libro della Genesi . La sua gravità e la sua persistenza sono in contiguità con altri racconti delle origini, quasi a marcare la comune radice. Stesse storie di violenza si ritrovano in altre saghe delle origini di culture diverse. L’uomo ha paura, quasi terrore, di questa violenza originaria, che lo investe, si accanisce contro di lui e ne mette in discussione la sua stessa sovravvivenza. Egli cerca di esorcizzarla facendosene una ragione, raccontandola e rappresentandosela.
Lo schema dei racconti è assai semplice nella sua struttura e presenta delle costanti, pur con delle varianti. Tra due fratelli avviene uno scontro, che si conclude con la vittoria di uno e con la sconfitta dell’altro. Le cause dello scontro possono essere diverse. Invidia? Gelosia? Lotta per la supremazia all’interno del gruppo di appartenenza? Nei racconti colpiscono circostanze simili come il venir meno della relazione di fratellanza – la rinuncia a riconoscerla e ad accettarla – e l’esplosione di una violenza che arriva all’uccisione della vittima [1] . Vince la prepotenza sull’ingenuità, la prevaricazione sulla debolezza e, ancora, la cattiveria sulla bontà. Può sopravvivere Abele alla prepotenza di Caino? Abele già per il nome che porta sembra appartenere al mondo dell’effimero e del contingente. Rispetto a Caino – letteralmente l’“acquisto” di Eva –, Abele è un predestinato a venir meno, quasi a scomparire, così come un “respiro” o un “soffio”, come la stessa radice ebraica heb-el o h˘ab¯e¯l del suo nome suggerisce [2] .
Il racconto biblico narra lo scontro che avviene tra i due fratelli. Caino al culmine di un aspro contrasto, covato nel tempo, con il fratello, un contrasto già radicato e insanabile, esce vincitore e Abele sconfitto. Lo scontro si conclude con l’ uccisione di Abele. La Genesi mette in scena l’evento sanguinario, che matura e si consuma all’interno della prima comunità post adamitica. Più che di una descrizione di un evento, anche se grave, si tratta di una riflessione teologica sul male generato da un’azione di violenza di un fratello sull’altro. Se in prima istanza oggetto della riflessione è l’affermazione della violenza, in seconda istanza lo è il male che ne è derivato da allora tra gli esseri umani. Il male diventa il peccato dell’uomo, il limite da non oltrepassare se l’uomo vuole rimanere in pace con sé stesso e nell’amicizia con Dio. La vicenda è raccontata nei suoi aspetti più drammatici e rappresenta il punto di arrivo della consapevolezza di Israele nei riguardi del male. Come comprendere il male, – si chiede Israele –, se Dio ha creato il mondo e non poteva non crearlo che “buono”, come si legge nel racconto delle origini? Ma allora perché il male e, soprattutto, perché debba far parte, quasi come un habitus, dell’essere dell’uomo? Il male – ragiona Israele –appartiene all’essere dell’uomo così tanto da far parte della sua storia fin dall’origine e da esserne lui stesso, non Dio, l’unico responsabile. Caino è la parte peggiore dell’essere dell’uomo, colui che rifiuta la fratellanza per rincorrere una realizzazione personale che l’oppone all’altro congiunto e l’allontana dalla comunità, di cui fa parte [3] .
Dello scontro a pagarne le conseguenze peggiori è Abele, il consanguineo più debole e più indifeso [4] . Messo in crisi da una relazione con Dio non molto gratificante per lui, perché oscurata dalla presenza di Abele, Caino non trova di meglio che uccidere il fratello per prendersi il posto da privilegiato – così egli credeva – presso Dio. Uccidendo Abele, Caino vuole affermare il proprio potere sul fratello inerme, e, forse, anche su Dio, lasciato in disparte dal racconto nel momento del fratricidio. Diverso è l’atteggiamento di Abele verso Caino. Abele stenta a credere che il fratello lo voglia sopprimere. Forse è troppo ingenuo per accorgersene e prendere le sue precauzioni. La versione coranica del racconto narra che, prima che il fratello lo colpisse a morte, Abele ha il tempo per rivolgersi a lui e dirgli che «se userai la tua mano per uccidermi, io non userò la mia mano per ucciderti» (Sura 5,28). Tra Caino e Abele c’è una divaricazione nei comportamenti. La scelta di Caino porta lo scontro a un livello di tanta violenza, dove Abele, più vicino al suo Dio in un rapporto di devota figliolanza, non avrebbe forse potuto nemmeno arrivare, anche se lo avesse voluto [5] . Troppo distanti i loro destini non si incrociano, perché vanno in direzioni opposte.
Di questo evento l’autore sacro non è interessato al valore storico del racconto, aspetto lontano dalla mentalità semitica. Il racconto ha valore archetipico. Narrando l’episodio a modo di un esempio esplicativo, l’autore si limita a dare di esso una spiegazione teologica, mettendolo in relazione con il peccato dei progenitori. L’uccisione di Abele è la conseguenza del peccato di Adamo e di Eva. Dopo il peccato dei progenitori cambia la scena del mondo voluto da Dio e tra gli uomini si diffonde ogni genere di conflittualità che nella sua forma più grave genera violenza e morte e la rottura con Dio. La serie dei misfatti compiuti dall’uomo è lunga e non sembra esserci una via d’uscita. Tutto avviene nel segno di una voracità famelica che corrompe e corrode i rapporti dell’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. «Narrando la prima tentazione la Bibbia – afferma Enzo Bianchi – espone il paradigma di tutte le tentazioni che seguiranno: questo è il primo peccato, ma in quanto archetipo, in quanto contiene tutti gli altri, tant’è vero che nella Genesi noi troviamo un crescendo in cui il peccato di Adamo ed Eva è posto sotto il segno della voracità della bocca (mangiare il frutto proibito); il peccato di Caino nei confronti di Abele è sotto il segno della voracità verso gli altri; il peccato di Babele rivela una voracità verso il mondo e verso il cielo (Dio), una volontà di potenza e di dominio. Ma tutto questo – passione del cibo, passione del bello, passione del viver a ogni costo – secondo i rabbini non ha che un solo nome: idolatria» [6] .
Le vicende narrate nel libro conducono Israele ad autocomprendersi nel segno di una colpa grave, commessa già all’origine, di cui Caino si è reso responsabile e le cui conseguenze non sono circonscrivibili al solo Caino. Secondo María Zambrano «con la storia di Caino e Abele comincia – la prima guerra civile» dell’umanità [7] , perché gli uomini non si riconoscono tra di loro come fratelli e diventano estranei gli uni agli altri. Dal disconoscimento della fratellanza nasce il fratricidio e da questo segue ogni altro delitto. Facendo riferimento al racconto di Caino e Abele, come anche alle vicende di Romolo e Remo, Hannah Arendt può affermare che «Qualsiasi fratellanza di cui gli esseri umani siano capaci nasce dal fratricidio, qualsiasi organizzazione politica che gli uomini abbiano costruito ha le sue origini nel delitto» [8] . Solo superando la violenza può nascere la fratellanza tra gli esseri umani.
Il peccato commesso contro Dio da Adamo ed Eva porta a delle distorsioni, – una vera corruzione nei comportamenti degli uomini –, nelle relazioni tra i loro discendenti. Il primo peccato introduce nel mondo una dinamica di forze negative che portano al peccato contro l’uomo. Caino, uccidendo Abele, diventa succube del dramma che si era compiuto nell’Eden, dal quale non riesce più a sfuggire. Ignora l’esistenza di altre modalità dell’agire, oltre la violenza e la morte, con le quali risolvere i contrasti, anche quelli più aspri e più profondi. La fine violenta che Caino riserva al fratello non gli consente di risolvere a suo favore nessuno dei problemi relazionali che aveva con Dio e con gli altri, riesce solo ad aggravarli. Il fratricidio non lo rende più vicino a Dio, né lo giustifica di fronte a lui. Lo fa solo precipitare in una condizione di peccato ancora più grave dalla quale soltanto un Dio lo potrebbe salvare. La salvezza per l’uomo peccatore è il perdono di Dio. Ma Caino sarà capace di compiere un atto di pentimento per ottenere il perdono? O, forse, Dio vorrà perdonarlo ugualmente, senza aspettare il suo pentimento, come soltanto Lui può fare? Caino è consapevole della gravità del suo gesto. Sa che la sua colpa è «troppo grande per ottenere il perdono» ( Gen 4, 13). Forse, è per questo inizio di pentimento, appena accennato, che Dio gli risparmia la vita, promettendogli di vendicarsi «sette volte» contro chiunque intenda fargli pagare il suo delitto con la morte.
Caino, forse, è gia pentito nel momento stesso in cui compie l’atto del fratricidio, quando si scopre ancora più fragile e più indifeso, in balia di forze oscure che non riesce più a controllare. Come insinua Hannah Arendt, egli «non vuole diventare Caino quando trucida Abele» [9] , forse vorrebbe soltanto sbarazzarsi del fratello per prendere il suo posto presso Dio senza arrivare al fratricidio. L’idea di succedere ad Abele nella benevolenza presso Dio si rivela perdente. Perde la sua tracotanza ed è invaso dalla paura di essere sopraffatto dagli altri. Con felice intuizione Vincenzo Romano può affermare che «Caino, consapevole della enormità del gesto compiuto, ha il terrore di restare fissato per l’eternità nella non realtà del fratricidio ed implora Dio perché gli offra una possibilità di ripresa: – Poiché se non sto al tuo cospetto e Tu non mi proteggi, sarò certamente ucciso – E il Signore che non vuole che il male diventi pessimo, risponde che chiunque oserà ucciderlo sarà punito sette volte tanto e segna Caino affinché nessuno ardisca toccarlo» [10] . Il perdono di Dio a Caino, più che un’ipotesi, è una speranza di chi come Caino – e ogni uomo nel quale egli rivive – caduto nel peccato più grande, e consapevole del male arrecato agli altri, a sé e a Dio, spera e invoca di non essere abbandonato da Dio e di essere perdonato. Dio saprà come rispondere ad ogni richiesta di aiuto, anche di quella di Caino, come ricorda Paolo nella Lettera ai Romani secondo cui «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» ( Rm 5,20). E se Caino, commesso il peccato più grande, fosse uno dei primi esempi della sovrabbondanza di grazia che Dio fa ricadere sul peccatore?