Roma, il Lazio e il Vaticano II
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Roma, il Lazio e il Vaticano II

Preparazione, contributi, recezione

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Presentazione del card. Angelo De Donatis. La presente raccolta di studi esamina la preparazione, i contributi e la recezione del Vaticano II nelle diciassette diocesi laziali. Dopo un saggio sulla nascita e il cammino storico del “Lazio ecclesiastico” e della Conferenza episcopale regionale, costituitasi all’indomani del Concilio, il volume si suddivide in tre parti, dedicate rispettivamente alla diocesi di Roma, alle diocesi suburbicarie e alle altre diocesi della Regione.
All’opera hanno collaborato ben ventuno studiosi di diversa competenza scientifica e impegno ecclesiale, alcuni dei quali personalmente coinvolti nel cammino – entusiasmante e difficile a un tempo – della recezione conciliare. Recezione che, come ha affermato pure papa Francesco, è per molti versi ancora agli inizi. Né potrebbe essere diversamente, trovandoci di fronte a un evento che ha profondamente riplasmato l’autocoscienza della Chiesa nel contesto di un mondo in rapida trasformazione.
Il volume vuole appunto inserirsi nel cammino della recezione del Concilio, cioè della sua appropriazione vivente e creativa all’interno delle Chiese locali, partendo da quelle che, per singolare privilegio, costituiscono la Provincia romana, di cui il papa è «arcivescovo e metropolita». Pasquale Bua (1982), presbitero della diocesi di Latina, è professore straordinario di teologia dogmatica nell’Istituto Teologico Leoniano (Anagni) e professore invitato nella Facoltà di teologia della Pontificia Università Gregoriana. Tra le sue pubblicazioni si segnala Sacrosanctum Concilium. Storia/Commento/Recezione, Studium, Roma 2013.

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Informazioni

1. Il Lazio civile, una regione in cerca d’identità

La regione civile del Lazio è il risultato di un’organizzazione amministrativa relativamente recente, che per molti aspetti contrasta con l’assetto territoriale precedente. Lo stesso utilizzo del termine «Lazio», se riferito a periodi storici antecedenti all’unità d’Italia, appare anacronistico.
Fino al 1814 la parte dello Stato pontificio che oggi denominiamo Lazio era suddivisa in sei circondari: Roma, Tivoli, Velletri, Frosinone, Viterbo e Rieti. La riforma amministrativa di Pio VII, successiva all’età napoleonica, distinse invece fra il distretto di Roma (la cosiddetta “Comarca”), le delegazioni di Viterbo e Civitavecchia a nord (coincidenti con il Patrimonium Sancti Petri o la “Tuscia romana”) e la delegazione di Frosinone a sud (comprendente le antiche province di Marittima e Campagna, corrispondenti la prima ai Castelli Romani e all’Agro pontino, la seconda alla Ciociaria). Con l’ulteriore riorganizzazione amministrativa voluta da Gregorio XVI nel 1833, Campagna e Marittima furono nuovamente separate e quest’ultima, come delegazione a se stante, ebbe per capoluogo Velletri [1] . Al di là del confine meridionale dello Stato pontificio, situato fra la cittadina portuale di Terracina e la valle del fiume Liri, si estendeva la provincia più settentrionale del Regno delle Due Sicilie, denominata Terra di Lavoro, che includeva, oltre all’alta Campania, il circondario di Sora e Gaeta, quest’ultima importante piazzaforte borbonica [2] .
Il termine Latium (da latus, territorio ampio), documentato a partire dal VI secolo a.C., indicava in origine solo l’area a sud di Roma, compresa fra il Tevere e il Circeo, occupata dai Latini. Questo territorio, esteso per circa cinquanta miglia, sarebbe stato denominato in seguito Latium vetus e distinto dal Latium novum o adiectum, costituito dalle aree conquistate dai Latini a sud e a est, fino all’altezza del fiume Liri-Garigliano, abitate da Volsci, Aurunci, Equi ed Ernici.
Di fatto, l’organizzazione territoriale del XIX secolo non faceva che ricalcare approssimativamente quella antichissima d’epoca augustea, aggiornata nel corso dei secoli senza novità sostanziali, finendo per rispecchiare in modo del tutto naturale la percezione delle stesse popolazioni locali. Suddivisione che, considerando la penisola italica come ager romanus, cioè come immediata pertinenza della capitale dell’Impero, distingueva al suo interno undici regiones, fra cui l’ Etruria, comprendente l’attuale Toscana e il Lazio nord, e il Latium et Campania, che si estendeva invece a sud di Roma [3] .
In un certo senso, il Lazio come oggi lo intendiamo fece la sua comparsa solo nel 1860 come «regione residuale» rispetto ai territori contermini, cioè semplicemente come la somma delle aree rimaste a costituire lo Stato pontificio dopo l’annessione della Romagna, delle Marche e dell’Umbria al nascente Regno d’Italia [4] . Si tratterebbe dunque di una regione “artificiale”, frutto di un processo di regionalizzazione forzato: una regione storicamente «introvabile» e culturalmente «indefinibile» [5] . Essa non rappresenterebbe una «regione naturale», come la maggior parte delle altre regioni del Belpaese, ma un «territorio regionalizzato» in seguito a interventi “calati dall’alto” [6] .
Il 15 ottobre 1870, dopo la presa di Roma del 20 settembre, il Lazio – cioè l’ultimo territorio pontificio a passare al Regno sabaudo – venne a costituire l’unica grande provincia di Roma (detta pure «Lazio di Roma»), in cui confluivano le quattro delegazioni di Viterbo, Civitavecchia, Velletri e Frosinone, ridenominate circondari. La scelta di un’unica provincia venne giustificata con lo scarso numero di abitanti e l’arretratezza economica delle ex delegazioni pontificie, ma fu pure determinata dalla volontà di dare all’Urbe un circondario adeguato al suo prestigio di nuova capitale d’Italia [7] , nonché dall’esigenza di arginare le rivendicazioni delle periferie di fronte alla possibile esplosione della “questione sociale” [8] . A seguito dell’accentramento amministrativo a Roma, e della conseguente costituzione di un’unica prefettura, i quattro vecchi capoluoghi di delegazione si trovarono declassati a sedi di sottoprefetture, dove furono dislocati alcuni uffici periferici. Insieme ad essi, continuavano a rappresentare un punto di riferimento anche le sedi episcopali, in cui, nonostante il basso livello di alfabetizzazione, sopravvivevano spesso fiorenti tradizioni religiose e culturali [9] .
Soltanto il 2 gennaio 1927, dopo che nel 1923 il circondario di Rieti era passato dalla provincia di Perugia a quella di Roma, il governo Mussolini decretava la nascita della regione Lazio come la conosciamo oggi, attraverso l’istituzione, accanto alla provincia di Roma, delle province di Viterbo, Rieti e Frosinone. A queste quattro si sarebbe aggiunta il 4 ottobre 1934 Littoria (ribattezzata Latina nel 1945), la prima delle cinque città fondate dal Duce sui territori bonificati a sud di Roma [10] . Contestualmente veniva ripristinato l’antico confine meridionale sul fiume Liri-Garigliano, sottraendo all’abolita provincia di Caserta il comprensorio di Sora e Gaeta, mentre il circondario di Cittaducale, sugli Appennini, passava dalla provincia abruzzese de L’Aquila a quella di Rieti. Con tale provvedimento, insomma, il Lazio veniva ad acquisire la sua fisionomia territoriale pressoché definitiva [11] , riassumendo in sé i due volti contrastanti della politica fascista: quello ruralista in periferia, che propagandava per ragioni tanto ideologiche quanto economiche il “ritorno alla terra”, e quello urbanista al centro, che all’opposto esaltava i fasti dell’Urbe “neo-imperiale” [12] .
Quali motivazioni indussero il Regime a trasformare la provincia di Roma in ciò che possiamo denominare il Lazio contemporaneo? In primo luogo, l’istituzione a raggiera di alcune province attorno a Roma serviva a porre un freno alla corsa migratoria verso la capitale, iniziata subito dopo l’Unità nazionale: la cosiddetta “romocentrizzazione” [13] . In secondo luogo, si trattava di immettere anche nelle periferie le strutture burocratiche dello Stato e del Partito (prefetture, federazioni dei fasci, sindacati, opere assistenziali, ecc.): assistiamo cioè a «un’operazione strategica nel quadro della costruzione del Regime», che si prefiggeva di raggiungere concretamente «i luoghi della vita reale dei gruppi sociali» per intensificare il controllo capillare del territorio [14] . In terzo luogo, l’iniziativa avrebbe permesso al Regime di guadagnarsi l’appoggio delle classi dirigenti locali, i cui esponenti vennero investiti delle cariche politiche e amministrative collegate all’istituzione provinciale [15] .
Dopo la seconda guerra mondiale, che determinò terribili devastazioni su gran parte del territorio regionale – oltre al bombardamento di Roma [16] , si pensi alle incursioni subite dalle città marittime di Anzio, Nettuno, Civitavecchia e Terracina, senza dimenticare Formia e Gaeta; oppure ai bombardamenti di Cassino (ridotta con la sua abbazia a un cumulo di macerie) e di numerose altre località, alcune delle quali letteralmente rase al suolo –, il Lazio venne ufficialmente istituito come regione italiana a statuto ordinario con la Costituzione repubblicana del 27 dicembre 1947. Tuttavia, come tutte le altre regioni a statuto ordinario, esso non avrebbe avuto un proprio organo politico rappresentativo fino alle elezioni amministrative del 7-8 giugno 1970: «Sotto molti aspetti, si può affermare che il Lazio, fino al 1970, è stato semplicemente una regione inesistente» [17] .
Fino al 1951, anno del primo censimento generale della popolazione italiana dopo la guerra, Roma rappresentava (insieme al massimo alla cittadina portuale di Civitavecchia) l’unica realtà compiutamente urbana della Regione. A quella data, infatti, il 99,5% dei comuni laziali e il 49,6% della popolazione regionale risultavano appartenere ancora a contesti rurali, semirurali o al più semiurbani [18] . Senza considerare l’Urbe, che come capitale d’Italia aveva conosciuto un incontenibile sviluppo del settore terziario, il Lazio del secondo Ottocento e del primo Novecento basava fondamentalmente la sua economia su agricoltura e allevamento, spesso nel quadro di una gestione latifondistica e in definitiva feudale del territorio. Una parziale eccezione era rappresentata dai poli manifatturieri di Isola del Liri, Sora, Tivoli e Civita Castellana, come pure dai cementifici e dalle fabbriche chimiche di Civitavecchia, Colleferro e Fontana Liri.
Solo a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, mentre l’alto Lazio conservava una forte vocazione agricola e Roma consolidava il settore dei servizi, le provvidenze statali determinarono lo sviluppo industriale dell’area meridionale, soprattutto lungo l’asse Roma-Latina, nella valle del Sacco, in quella del Liri e nel Cassinate (dove, agli inizi degli anni Settanta, si insediò la Fiat), senza comunque dimenticare più a nord il comprensorio di Cittaducale e la basse valle del Tevere. In seguito, tuttavia, la chiusura della Cassa del Mezzogiorno nel 1984 e le ricorrenti crisi economiche degli anni Novanta e Duemila hanno ovunque provocato serie difficoltà al settore secondario, sommandosi ai problemi cronici del settore primario e accrescendo il fenomeno del pendolarismo verso Roma, oltre a quello ben più preoccupante della disoccupazione [19] .
Ancora oggi, a distanza di centocinquant’anni dalla nascita del Lazio, il rischio resta quello di uno sviluppo incontrollato della testa a fronte del perdurante rachitismo delle membra. Due paiono, in sintesi, le caratteristiche fondamentali della Regione, fra loro strettamente connesse. La prima è la mancanza di omogeneità territoriale, cui si collega l’eccezionale varietà di storie locali, tradizioni culturali e assetti socio-economici. La seconda è la presenza soffocante ma al contempo essenziale di Roma, che funge da «calamita sociale, economica e politica» dell’intera Regione [20] . Per la sua importanza storica, simbolica, politica, l’Urbe si configura come un capoluogo regionale del tutto singolare: una metropoli che per un verso regge le sorti del territorio che la circonda, ma che per un altro verso se ne disinteressa a causa della sua connaturata vocazione nazionale e internazionale. Non stupisce, in fondo, che «Roma appare paradossalmente più vicina al mondo (in quanto realtà cosmopolita, centro della cristianità) che alla sua regione» [21] .
























[1] Cfr. A. Ventrone, L’amministrazione dello Stato pontificio dal 1814 al 1870, Edizioni universitarie, Roma 1942, pp. 39-45; C. Ghisalberti, Lo Stato pontif...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Roma, il Lazio e il Vaticano II
  3. Indice
  4. Presentazione, Angelo card. De Donatis
  5. Introduzione, Pasquale Bua
  6. I. Il Vaticano II, il Lazio e la Conferenza episcopale regionale, Pasquale Bua
  7. I. Il cammino storico del Lazio ecclesiastico e lo “snodo” del Concilio
  8. 1. Il Lazio civile, una regione in cerca d’identità
  9. 2. L’erezione delle regioni ecclesiastiche nel Lazio fra Ottocento e Novecento
  10. 3. Il nuovo assetto giuridico delle diocesi suburbicarie
  11. 4. I cardinali suburbicari e la preparazione del Vaticano II
  12. 5. Dal Concilio alla nascita della Conferenza episcopale laziale
  13. 6. La fatica della Cel a elaborare un progetto pastorale unitario
  14. 7. I primi accorpamenti tra le diocesi del Lazio dopo il Vaticano II
  15. 8. Il riordinamento generale delle diocesi nel 1986 e gli interventi successivi
  16. 9. Le parole del metropolita della Provincia romana nelle visite ad limina
  17. II. La recezione del Vaticano II e la Conferenza episcopale laziale
  18. 1. Fermenti e turbolenze del primo post-Concilio romano
  19. 2. La “primavera” dei movimenti ecclesiali a Roma e nel Lazio
  20. 3. La Cel tra novità conciliare e difficile dialogo con il “mondo”
  21. 4. La “rievangelizzazione” del Lazio e il faticoso cambio di passo della catechesi
  22. 5. La riforma liturgica di fronte alla “crisi” della pratica sacramentale
  23. 6. Il ministero ordinato tra diminuzione dei preti e ripristino del diaconato
  24. 7. Il lancio tardivo ma coraggioso della pastorale della carità
  25. 8. La riflessione sulla vocazione dei laici negli anni Ottanta e Novanta
  26. 9. Il nuovo promettente focus sul laicato degli anni Duemila
  27. Conclusione
  28. I PARTE - LA DIOCESI DI ROMA
  29. II. La Chiesa di Roma nel primo Sinodo diocesano e nel Concilio Vaticano II, Michele Manzo
  30. 1. Lo stato della diocesi alla fine degli anni Cinquanta
  31. 2. L’avvento di Giovanni XXIII
  32. 3. Gli annunci del 25 gennaio 1959 e il primo Sinodo diocesano
  33. 4. La preparazione all’evento conciliare e l’apertura dell’11 ottobre 1962
  34. 5. La diocesi durante le sessioni conciliari, p. 143
  35. III. La recezione del Concilio nella Chiesa di Roma fino al secondo Sinodo diocesano (1965-1993), Luigi Storto
  36. 1. Nel dopo-Concilio Roma prende coscienza di essere Chiesa diocesana
  37. 2. Il convegno del ’74 e la denuncia dei mali di Roma
  38. 3. La Caritas romana e l’opera di don Luigi Di Liegro
  39. 4. Il secondo Sinodo romano
  40. 5. La vocazione alla carità della Chiesa di Roma
  41. 6. Conclusione
  42. IV. La recezione del Concilio nella Chiesa di Roma dopo il secondo Sinodo diocesano (1993-2017), Walter Insero
  43. 1. La prima fase di attuazione del Sinodo diocesano (1993-2008)
  44. 1.1. Un cammino “sinodale” per l’attuazione del Sinodo
  45. 1.2. «La paziente edificazione di una Chiesa comunione meglio in grado di evangelizzare»
  46. 1.3. «La nuova evangelizzazione costituisce il grande compito della Chiesa di Roma»
  47. 1.4. La missione della Chiesa di Roma nella Città
  48. 1.5. La pastorale della famiglia e la missione educativa
  49. 2. La seconda fase di attuazione del Sinodo diocesano (2008-2017)
  50. 2.1. La verifica per «aggiornare la pastorale ordinaria»
  51. 2.2. «Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità missionaria»
  52. 2.3. La sfida dell’evangelizzazione e l’iniziazione cristiana
  53. 2.4. «L’animazione cristiana degli ambienti di vita e dell’ordine temporale»
  54. V. La diocesi di Roma e i papi: da Paolo VI a Giovanni Paolo II, Antonio Scornajenghi
  55. 1. Il pontificato di Paolo VI (1963-1978)
  56. 2. Il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005)
  57. 3. Le visite alle parrocchie dei vescovi di Roma
  58. 4. Roma, modello del magistero wojtyłiano
  59. VI. Il papa, vescovo di Roma: un excursus storico-teologico, Marcello Semeraro
  60. 1. Papa perché vescovo di Roma
  61. 2. Dall’episcopato romano al centralismo romano
  62. 3. Attenzioni papali alla Chiesa di Roma prima del Vaticano II
  63. 3.1. Giuseppe Sarto – Pio X (1903-1914)
  64. 3.2. Giacomo della Chiesa – Benedetto XV (1914-1922)
  65. 3.3. Achille Ratti – Pio XI (1922-1939)
  66. 3.4. Eugenio Pacelli – Pio XII (1939-1958)
  67. 4. I vescovi di Roma dal Concilio a oggi
  68. 4.1. I sinodi diocesani
  69. 4.2. Il Vicariato di Roma
  70. 4.3. Le visite pastorali alle parrocchie romane
  71. VII. Il «vescovo di Roma» al Concilio Vaticano II: una presenza-assenza, Dario Vitali
  72. 1. La lezione della storia
  73. 2. Dalla Pastor aeternus al I schema de Ecclesia
  74. 3. Il cambio di prospettiva
  75. 4. «Episcopi [...] cum romano episcopo communicabant» (LG 22)
  76. 5. «Salvo restando il primato della cattedra di Pietro» (LG 13)
  77. Conclusione
  78. VIII. Il vescovo di Roma nell’ecclesiologia postconciliare, Giovanni Tangorra
  79. 1. Il potere di servire
  80. 2. La difficile via della collegialità
  81. 3. Il vescovo di Roma
  82. 4. Condizioni di una riforma
  83. II PARTE - LE DIOCESI SUBURBICARIE
  84. IX. La diocesi di Albano, Gian Franco Poli
  85. 1. Preparazione (1959-1962)
  86. 2. Celebrazione (1962-1965)
  87. 3. Recezione (1966-2015)
  88. 3.1. Mons. Raffaele Macario (1966-1977)
  89. 3.2. Mons. Gaetano Bonicelli (1975- 1981)
  90. 3.3. Mons. Dante Bernini (1982-1999)
  91. 3.4. Mons. Agostino Vallini (1999-2004)
  92. 3.5. Mons. Marcello Semeraro (2004)
  93. 3.5.1. Essere «preti del Concilio»
  94. 3.5.2. Vivere la consacrazione religiosa in sintonia col Concilio
  95. 3.5.3. Laici protagonisti nella comunità ecclesiale
  96. 3.5.4. Una Chiesa viva nella storia
  97. 3.5.5. Trasmettere il vero senso della liturgia
  98. 3.5.6. Rivitalizzare la parrocchia
  99. Conclusione
  100. X. La diocesi di Frascati, Valentino Marcon
  101. 1. La preparazione del Concilio in diocesi
  102. 2. Durante lo svolgimento del Concilio: i “resoconti”
  103. 3. L’invito dei papi
  104. 4. L’entusiasmo un po’ caotico del primo post-Concilio
  105. 5. Il “riflusso” o meglio il “periodo di riflessione”
  106. 6. Il quarantesimo del Concilio e l’ultimo tratto del cammino
  107. XI. La diocesi di Palestrina, Massimo Sebastiani
  108. 1. La diocesi suburbicaria di Palestrina
  109. 1.1. Una storia antica
  110. 1.2. Un cambiamento epocale
  111. 1.3. I presuli prenestini al Concilio
  112. 1.3.1. Il card. Benedetto Aloisi Masella
  113. 1.3.2. Mons. Pietro Severi
  114. 2. La preparazione del Concilio
  115. 2.1. Un annuncio sorprendente
  116. 2.2. La fase antepreparatoria
  117. 2.3. Proposte e aspettative del card. Aloisi Masella
  118. 2.4. Proposte e aspettative del vescovo Severi
  119. 2.5. La fase preparatoria
  120. 3. Durante il Concilio
  121. 3.1. Aloisi Masella
  122. 3.2. Severi
  123. 3.3. Il Concilio e i futuri presbiteri prenestini
  124. 4. Il post-Concilio nella diocesi prenestina
  125. 4.1. Il Concilio nel magistero del card. Aloisi Masella
  126. 4.2. Il Concilio nel magistero di mons. Severi
  127. 4.3. Il Concilio negli episcopati successivi
  128. 4.3.1. Renato Spallanzani
  129. 4.3.2. Pietro Garlato
  130. 4.3.3. Vittorio Tomassetti
  131. 4.3.5. Eduardo Davino
  132. 4.3.6. Domenico Sigalini
  133. Conclusione
  134. XII. La diocesi di Porto-Santa Rufina, Roberto Leoni
  135. Premessa. La rinascita di una Chiesa
  136. 1. Tisserant, il “padre” della diocesi
  137. 2. Il Sinodo diocesano, un “concilio” ante litteram
  138. 3. Il card. Tisserant al Concilio
  139. 4. Andrea Pangrazio: un vescovo dal Concilio
  140. 5. Il nuovo corso dei vescovi residenziali
  141. Conclusione. Memoria e identità
  142. XIII. La diocesi di Sabina-Poggio Mirteto, Alberto Cecca
  143. 1. Verso il Concilio
  144. 2. Durante il Concilio
  145. 3. Dopo il Concilio
  146. 3.1. La liturgia
  147. 3.1.1. Nuove chiese e adeguamento liturgico
  148. 3.1.2. Il calendario particolare
  149. 3.1.3. Il diaconato permanente
  150. 3.2. La pastorale della famiglia
  151. 3.3. La pastorale della carità
  152. 3.4. Associazioni e movimenti
  153. 3.4.1. L’Azione Cattolica
  154. 3.4.2. L’Unitalsi
  155. 3.5. L’ecumenismo e il dialogo interreligioso
  156. XIV. La diocesi di Velletri-Segni, Dario Vitali
  157. 1. La preparazione al Concilio
  158. 2. La partecipazione al Concilio
  159. 3. La recezione del Concilio
  160. III PARTE - LE ALTRE DIOCESI LAZIALI
  161. XV. La diocesi di Anagni-Alatri, Pasquale Bua
  162. 1. Gli interventi di Compagnone e Ottaviani in Concilio
  163. 2. Gli anni del Concilio ad Anagni
  164. 3. Gli anni del Concilio ad Alatri
  165. 4. Il primo post-Concilio e l’unione in persona episcopi
  166. 5. Il graduale avvio di un cammino comune tra le due diocesi
  167. 6. Il “salto di qualità” del secondo post-Concilio
  168. XVI. La diocesi di Civita Castellana, Roberto Baglioni
  169. 1. La preparazione del Concilio nelle diocesi (1959-1962)
  170. 1.1. Giuseppe Gori e le diocesi di Nepi e Sutri
  171. 1.2. Roberto Massimiliani e le diocesi di Civita Castellana-Orte-Gallese
  172. 2. Il contributo dei vescovi al Concilio e le iniziative ecclesiali (1962-1965)
  173. 2.1. Giuseppe Gori (Nepi e Sutri)
  174. 2.2. Roberto Massimiliani (Civita Castellana-Orte-Gallese)
  175. 3. La recezione del Vaticano II (1965-2015)
  176. 3.1. Roberto Massimiliani (Civita Castellana-Orte-Gallese: 1965-1975)
  177. 3.2. Giuseppe Gori e Tito Mancini (Nepi e Sutri: 1965-1969)
  178. 3.3. Marcello Rosina e la nascita della diocesi di Civita Castellana (1969-1989)
  179. 3.4. Divo Zadi (1989-2007)
  180. 3.5. Romano Rossi (2007)
  181. XVII. La diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, Augusto Baldini
  182. 1. Mons. Giulio Bianconi
  183. 2. Mons. Luigi Rovigatti
  184. 3. Mons. Filippo Franceschi
  185. 4. Mons. Antonio Mazza
  186. 5. Alcuni “preti del Concilio”
  187. Per concludere
  188. XVIII. La diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, Sergio Antonio Reali
  189. 1. I vota dei vescovi di Veroli-Frosinone e di Ferentino nel 1959
  190. 2. Gli interventi conciliari del vescovo di Veroli-Frosinone Luigi Morstabilini
  191. 3. Gli interventi conciliari del vescovo di Ferentino Costantino Caminada
  192. 4. Gli interventi conciliari del nuovo vescovo di Veroli-Frosinone Giuseppe Marafini
  193. 5. La recezione del Vaticano II nella diocesi di Ferentino
  194. 6. La recezione del Vaticano II nella diocesi di Veroli-Frosinone
  195. 7. Un breve confronto tra le due realtà ecclesiali
  196. 8. Due diocesi e un vescovo
  197. 9. Una nuova diocesi
  198. XIX. L’arcidiocesi di Gaeta, Emanuele Avallone
  199. 1. La Chiesa gaetana negli anni del Concilio e del primo post-Concilio
  200. 2. Luigi Maria Carli: «Il programma ce lo dà il Concilio»
  201. 3. Alcune attenzioni di Carli: le vocazioni e la spiritualità del clero diocesano
  202. 4. La recezione del Concilio continua: Farano, Mazzoni e D’Onorio
  203. XX. La diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, Pasquale Bua
  204. 1. La preparazione diocesana e l’intervento conciliare di Pizzoni
  205. 2. Le lettere del vescovo dal Concilio
  206. 3. Il primo post- Concilio nel passaggio da Pizzoni a Pintonello
  207. 4. Compagnone e il vero avvio della recezione conciliare
  208. 5. Pecile e il «piccolo concilio pontino» del 1986
  209. 6. Petrocchi e il primo Sinodo diocesano come “manifesto” della recezione del Concilio
  210. In conclusione
  211. XXI. La diocesi di Rieti, Alfredo Pasquetti
  212. 1. La Chiesa reatina alla vigilia del Concilio
  213. 2. Gli esordi di Cavanna e l’avvio della stagione conciliare
  214. 3. Durante il Concilio
  215. 4. L’immediato post-Concilio
  216. 5. Trabalzini: il Concilio prende “corpo”
  217. Una prima conclusione
  218. XXII. La diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, Luigi Gulia
  219. 1. Dall’annuncio del Concilio al «principio della rinascita cristiana »
  220. 2. Organismi di partecipazione, istituzioni e strutture di formazione, promozione e sostegno
  221. 3. In cammino: per una Chiesa di comunione, servizio e speranza, matura nella fede
  222. 4. Chiamati a servire: una Chiesa tutta ministeriale
  223. 5. La transizione: educare all’appartenenza per una nuova evangelizzazione
  224. 6. Il rinnovamento dell’abbazia di Montecassino e il Sinodo diocesano
  225. XXIII. La diocesi di Tivoli, Angelo Maria Cottarelli
  226. 1. La situazione precedente e la preparazione al Concilio
  227. 1.1. I decenni che precedettero il Concilio
  228. 1.2. L’episcopato di mons. Luigi Faveri e la preparazione conciliare
  229. 2. L’apporto di Faveri ai lavori conciliari e le iniziative diocesane
  230. 2.1. Il contributo di mons. Faveri ai lavori conciliari
  231. 2.2. L’immediato post-Concilio a Tivoli: le iniziative
  232. 3. La recezione del Concilio in diocesi
  233. 3.1. L’episcopato di mons. Guglielmo Giaquinta
  234. 3.1.1. Il lavoro per l’adeguamento della diocesi al dettato conciliare
  235. 3.1.2. Le opere letterarie
  236. 3.1.3. Le visite pastorali
  237. 3.2. L’episcopato di Garavaglia, il Sinodo mai iniziato e la recezione fino ai nostri giorni
  238. Conclusione
  239. XXIV. La diocesi di Viterbo, Fabio Fabene
  240. 1. I vescovi dell’alta Tuscia negli Acta conciliari
  241. 2. La prima recezione del Concilio con mons. Luigi Boccadoro
  242. 3. Mons. Fiorino Tagliaferri e la Chiesa come comunione missionaria
  243. 4. La visita pastorale e il Sinodo diocesano nel solco del Concilio
  244. 5. Mons. Lorenzo Chiarinelli e l’immagine della Chiesa pellegrina
  245. 6. In cerca della valorizzazione ecclesiale di tutti i battezzati
  246. Conclusione
  247. Conclusione aperta, Dario Vitali
  248. 1. Dal romano pontefice al vescovo di Roma
  249. 2. La Ecclesia romana
  250. 3. Una Chiesa “costitutivamente sinodale”
  251. 4. Il vescovo di Roma in una Chiesa “tutta sinodale"
  252. 5. Conclusione aperta sul vescovo di Roma
  253. Abbreviazioni e sigle
  254. Gli autori
  255. Indice dei nomi