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Nel mondo globalizzato e iperconnesso, in cui si comincia a guardare allo spazio come luogo di prossima colonizzazione umana, confini e frontiere tradizionali sembrano in molti casi aver perso di significato. Eppure, a guardare meglio, è piuttosto vero il contrario: mentre il ritorno del sovranismo sottolinea con forza l'importanza delle identità nazionali, in molti auspicano un ritorno a confini più rigidamente demarcati e a "frontiere chiuse"; la costruzione di un muro lungo il confine meridionale è stato tra i temi caldi delle elezioni statunitensi e la libera circolazione di persone e merci è spesso guardata con antipatia se non con aperta ostilità. Ma come sono nati e come si sono trasformati nel tempo i concetti di "frontiera" e "confine"? Che ruolo hanno avuto e continuano ad avere le carte geografiche nella definizione del mondo? Quanti sono i territori contesi sul pianeta e come risolveremo, dalla Corea al Kashmir, dalla Palestina al "Grande Califfato", i conflitti di una specie, quella umana, in perenne lotta per il territorio?

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788861053458

Capitolo 1

Il primato sul territorio
Se fossi seduto su una nuvola non vedresti
le frontiere tra un paese e l’altro,
né il cippo di confine tra una fattoria e l’altra.
È un peccato che tu non possa sederti su una nuvola.
(Khalil Gibran,
poeta, pittore e aforista libanese)
Una frontiera evidenzia l’approssimarsi di un limite, e anche se i termini di cui si discute vengono spesso usati in maniera intercambiabile, in genere ci si riferisce al confine di uno Stato. Ed è al rapporto tra lo Stato – principale organizzazione politico-territoriale del sistema internazionale – e l’attività di definizione dei limiti del suo territorio che si farà riferimento prevalente in questo testo. Il concetto di frontiera di uno Stato, dunque, introduce a quello di limite della sovranità dello stesso Stato, limite che coincide con il confine di un altro Stato. Nei tempi moderni i confini statali sono, infatti, pensati come delle linee sul territorio, dal momento che la sovranità di uno Stato è considerata come ininterrotta fino ai suoi bordi.
Anche prima dell’esistenza dello Stato, però, i gruppi umani, in qualsiasi forma organizzati, si sono preoccupati di “segnare” il proprio territorio. Si è trattato prima di una esigenza di sopravvivenza nonché di ricerca della sicurezza, poi di rappresentazione del potere, ancora dopo di un’utilità economica e, infine, di prestigio geopolitico. Da sempre, insomma, a partire dall’antichità, attraversando il Medioevo e giungendo alla contemporaneità, il richiamo verso l’appropriazione di territorio e la definizione di cosa vi era incluso o escluso, hanno rappresentato una costante per le società umane.
Il territorio del mondo è stato, dunque, costantemente frazionato da disparate organizzazioni socio-politiche in epoche diverse e con differenti modalità, venendo così a creare un mosaico fatto di discontinuità territoriali e umane, attraversando periodi di maggiore o minore stabilità e affrontando composizioni, scomposizioni e ricomposizioni dello spazio geografico planetario. In questo senso, l’ambiguità dei termini utilizzati, la molteplicità dei significati attribuiti, la diversificazione operativa sperimentata, la varietà dei modelli realizzati, e l’eterogeneità delle forme applicative, rendono necessaria una ricognizione, per quanto breve, delle discontinuità, varietà e sfumature concretizzatesi nel rapporto tra società umane e territorio di appartenenza.
1.1 La fascinazione delle discontinuità antropo-geografiche
Nell’antichità, l’espansione degli Stati è avvenuta spesso a partire dal loro nucleo centrale. Antiche organizzazioni politico-territoriali come l’Impero Inca, l’Impero degli Aztechi o l’Impero Romano hanno potuto espandersi in regioni le cui popolazioni non erano in grado di resistere alla loro potenza. Nel passato è accaduto che due entità pre-statuali di potenza comparabile si siano sviluppate senza entrare in contatto reciproco perché separate da laghi, fiumi, foreste impenetrabili o distanze enormi per l’epoca. Questi proto-stati non avevano confini nel moderno significato del termine, ma erano tuttavia separati dai loro vicini. Quale che fosse l’elemento di separazione, questo serviva a evitare un contatto1.
Nell’Europa medievale, invece, le monarchie feudali compresero che la loro autorità andava scemando alla periferia delle loro terre: queste regioni furono denominate “marche”, e i signori delle marche ebbero una significativa autonomia. In pratica, si assistette a ciò che fu denominato “feudalesimo”. Fino al Diciannovesimo secolo, dunque, la regola della frammentazione e della diversificazione delle autorità rimase in auge in Europa. Il potere su aree “personali”, spesso non contigue, veniva a vario titolo esercitato discrezionalmente da sovrani e nobiltà. Poteri più in alto, quali quelli dell’Impero, dei regni o del Papato, si sovrapponevano a questa condizione di frammentarietà senza metterne sostanzialmente in discussione le regole di base.
Nell’era dello Stato Westfaliano, i confini definivano l’area entro la quale veniva esercitata la sovranità dallo Stato, divenuta col tempo più permeabile al movimento di beni, persone e idee. È durante l’Ottocento e nel primo Novecento che viene a sostanziarsi l’idea dello Stato come organizzazione politica “perfetta”. L’emergere di un moderno atlante che presentava i paesi con differenti colori e con distinti confini raffigurava, e in parte riproduceva, un mondo molto differente da quello medievale e si adeguava alle presunzioni del moderno Stato-nazione. Le precedenti forme di potere sul territorio sono poi apparse, infatti, arretrate o per così dire “medioevali”, anche perché il costante progresso tecnologico delle società industrializzate ha permesso quella compressione spazio-temporale (Harvey, 1989) alla base del processo di globalizzazione2.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il dibattito contemporaneo si è esteso alla questione della decolonizzazione e del post-colonialismo. Si parla, cioè, del confine sovraimposto, definito sulla carta dalle potenze coloniali europee tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del Ventesimo. I confini di alcuni Stati africani e asiatici sono il risultato di un processo che ha esportato il concetto di territori delimitati in modo rigido e prefissato in regioni le cui popolazioni avevano spesso una composizione tribale e semi-nomade e i cui spostamenti stagionali erano in contrasto con l’imposizione politica dettata dall’alto con nuove delimitazioni politiche volute dai colonizzatori europei. In molti casi, diverse comunità etniche si sono ritrovate separate e hanno finito per costituire minoranze nelle nuove realtà geografico-politiche (Scorgie-Porter, 2015). Le comunità risultanti da tali divisioni si sono impegnate in lotte per il dominio e l’egemonia di un territorio soggetto a processi artificiali di socializzazione e di costruzione dell’identità nazionale, arrivando in molti casi a scontri, guerre civili, atti di terrorismo e perfino genocidi. Gli effetti di queste decisioni sono, in effetti, ancora oggi evidenti nell’attuale scenario politico mediorientale e africano.
Dunque, nell’antichità la zona politico-geografica posta attorno a una unità politica e aperta alla sua espansione poteva essere individuata come una zona di frontiera. Con il passare del tempo e con l’emergere degli Stati, tale fascia non ha sempre separato permanentemente due o più Stati. Talvolta, veniva invasa da uno Stato che non incontrava ostacoli fin quando non raggiungeva i suoi limiti naturali. Lungo le frontiere, si tracciavano spesso alla fine i confini. Gli Stati o le loro sfere di influenza finivano cioè per incontrarsi e in molti casi si scatenavano conflitti per il possesso della fascia interessata mentre in altri si arrivava ad accordi, appunto, con la demarcazione di un confine.
I confini odierni, invece, non creano aree di separazione, ma mettono direttamente e fisicamente in contatto gli Stati. In altri termini, il confine è indicato dalla linea di demarcazione tra due entità territoriali mentre la frontiera è costituita dalla regione o area in prossimità della linea di confine e il cui sviluppo è influenzato da tale vicinanza. Le politiche degli Stati rispetto alle proprie aree di frontiera possono variare notevolmente, in un arco che va dalle tensioni militari e terroristiche, laddove la questione del confine rimane aperta, fino alla cooperazione transfrontaliera.
D’altronde, oggi, dal punto di vista territoriale, la frontiera nell’originario significato del termine non esiste più, poiché lo spazio terrestre nel quale gli Stati potrebbero avanzare è ormai tutto occupato. Il mare, invece, rappresenta ancora una frontiera politica e gli Stati costieri fanno di tutto per conquistare ulteriori spazi marittimi, come si vedrà nel capitolo III. Territorialmente parlando è però spesso possibile riconoscere il concetto di frontiera nella fascia che contorna fisicamente un confine ed è attraversata da esso. Se tra le funzioni del confine vi è quella di separare, dividere, non solo fisicamente e politicamente ma anche in altri modi, ad esempio economicamente, si può dunque riconoscere da entrambi i lati di un confine una zona che mostra gli effetti di una brusca separazione. Questa zona può essere identificabile, appunto, come una fascia di frontiera.
In geografia politica – uno dei settori disciplinari maggiormente interessati dalle questioni frontaliere – i confini sono visti come campi di forza, dove fattori geopolitici contrastanti interagiscono tra di loro, alla ricerca di un equilibrio finale intorno ad una demarcazione territoriale di diverse sfere di influenza (Agnew, 1999)3. In questo contesto, lo Stato-nazione come unità geopolitica a causa della prospettiva particolaristica di cui è espressione, ha attribuito alla “territorializzazione delle identità e alla identitarizzazione dei territori” (Encel, Thual, 2004) un significato speciale ed esclusivo, e ha concorso a rimodulare, in una ottica moderna, i concetti di frontiera e di confine delle patrie.
Nell’immaginario geopolitico moderno, dunque, il confine appare come una linea o barriera che identifica e protegge la sovranità nazionale dall’esterno, funzionando come un apparato istituzionale cui sono attribuite funzioni prevalentemente politico-militari. Secondo questo modello, l’attività di controllo dei confini è gestita esclusivamente dalle autorità nazionali ed è in genere affidata alla responsabilità delle forze di sicurezza. Non a caso, gli spazi immediatamente circostanti le linee di confine – come si è detto, più tecnicamente definibili come frontiere – sono stati spesso configurati come luoghi fortemente presidiati militarmente, pieni di infrastrutture strategiche volte a tutelare l’integrità e l’indipendenza del territorio nazionale (Kolossov, 2005). Accanto alla funzione strettamente militare, dalla fine del Diciannovesimo secolo si è andata sviluppando un’ulteriore dimensione del controllo dei confini, legata all’esigenza di tenere a distanza dal territorio nazionale i movimenti percepiti come indesiderabili perché minacciosi per l’ordine interno o l’economia nazionale (Giordano, 2016a).
In buona sostanza, i confini di uno Stato segnano la demarcazione tra la sovranità interna, vale a dire la sfera dell’autorità legittima e dell’applicazione delle leggi di quello Stato e l’esterno, ovverosia la fine di quella giurisdizione e l’inizio dell’applicazione di leggi “altre” e dell’azione di altri Stati. Il sistema “anarchico ordinato” degli Stati (Bull, 1977; Waltz, 1979) considera, infatti, i confini come un elemento strutturale, concreto e concettuale e allo stesso tempo molto forte, in quanto a nessuno è concesso, almeno in linea teorica, di intervenire dall’esterno negli affari interni di un singolo Stato. In questo senso, ogni eventuale atto viene giudicato come una “interferenza” e come tale solitamente condannato dalla cosiddetta comunità internazionale. Nella realtà, però, continue e ripetute violazioni di questo principio si sono sempre verificate. Recentemente si è riconsiderato anche lo stesso concetto di interferenza nel senso della sua tollerabilità o non condannabilità, per esempio, quando l’azione interferente è motivata da motivi “umanitari” (Held, 1992).
La maggior parte degli studi sui confini si è, dunque, concentrata quasi esclusivamente sullo Stato (Diener, Hagen, 2010) ed ha accumulato una conoscenza prevalentemente descrittiva. Tuttavia, negli ultimi decenni, l’attenzione ha cominciato a spostarsi verso un concetto di confine che riguarda diverse scale spaziali e sociali, andando oltre lo studio dei soli confini internazionali. Inoltre, dato l’impatto della globalizzazione e l’evoluzione del cyberspazio, lo studio è diventato interdisciplinare. In seguito, si è prestata attenzione ai mutamenti della globalizzazione (Agnew, 2009) che spingono ad una sempre maggiore cooperazione commerciale tra aree, favorendo la costituzione di unioni politico-economiche che intensificano le relazioni transfrontaliere e rendono sempre più permeabili i confini provocando però maggiore insicurezza (Giordano, 2016b). Inoltre, il fenomeno è dinamico, piuttosto che statico e passivo, e le linee di demarcazione incidono sulla vita delle popolazioni nel modo in cui le comunità si percepiscono.
Più di recente, gli studi sui confini si sono concentrati anche su altri livelli di demarcazioni amministrative, regionali o municipali. Tali confini locali, infatti, hanno effetto sulla vita quotidiana delle persone: basti pensare alla diversità nel livello di tassazione locale, oppure all’esistenza di aree privilegiate sotto il piano fiscale come, ad esempio, una provincia autonoma in grado di offrire servizi pubblici di livello più elevato rispetto ad una contigua. In virtù della loro esistenza, le linee di confine racchiudono spazi e gruppi determinando così una relazione di esclusione/inclusione dal livello nazionale a quello di vicinato. All’interno di queste suddivisioni politiche si sono spesso avviati processi di nation building (De Carvalho, 2016).
Tuttavia, le identità diventano sempre più multiculturali (Giordano, 2015a) all’interno dei singoli Stati e la relazione tra identità nazionale e territorio è stata messa sotto pressione. Sebbene l’impatto della globalizzazione venga associato a nozioni come “la fine dello Stato” (Omahe, 1997), e il mondo sembra subire un continuo processo di de-territorializzazione e ri-territorializzazione, le attività umane continuano ad avvenire dentro confini ben definiti. I confini, però, possono variare, appartenere ad una gerarchia o ad un sistema multidimensionale e con l’indebolimento dello Stato emergono rivendicazioni regionali come quelle della Catalogna e della Scozia. Quello che si può affermare, ad ogni modo, è che una condizione di borderlessness è un discorso che ha riguardato negli ultimi decenni soprattutto l’Europa, ma che è entrato in crisi con i recenti sviluppi della crisi migratoria nel Mediterraneo (Giordano, 2017b).
I conflitti cruenti interni ad alcune aree del mondo e le disuguaglianze economiche tra aree ricche e povere che alimentano i continui flussi di migranti mostrano quanto sia illusorio pensare che dei confini, per quanto sempre più fortificati e controllati, possano efficacemente contrastare la spinta del bisogno, della paura o anche solo dei sogni di un futuro migliore (Giordano, 2013, 2015b). In un mondo che si presenta sempre più interconnesso e globalizzato permangono forti attriti di tipo culturale, che alcuni hanno chiamato “di civiltà” (Huntington, 1996). In realtà, essi fanno riferimento a una concezione dello Stato e della comunità “nazionale” come scelte di identità collettiva e quindi obbligatorie, come per esempio per la lingua e la religione, piuttosto che libere scelte individuali. Conflitti gravi permangono dove ancora i confini, piuttosto che lo Stato, vengono rappresentati come fattori di identità e sicurezza (Badie, 1996; Virno, 1999).
Comunque, anche se lo spazio terrestre è quasi totalmente di pertinenza degli Stati, esistono tuttavia altri tipi di frontiera, oltre quelle politico-geografiche. Nonostante l’espansione...

Indice dei contenuti

  1. Limiti
  2. Indice
  3. Introduzione
  4. Capitolo 1. Il primato sul territorio
  5. Capitolo 2. La rappresentazione del mondo
  6. Capitolo 3. La produzione dei limiti
  7. Capitolo 4. La geopolitica della frammentazione
  8. Conclusioni
  9. Riferimenti bibliografici