Capitolo 1
Marx: il personaggio e il pensatore
Trier, in italiano Treviri, è un’antica cittadina tedesca, sede imperiale nel IV secolo, con una popolazione di poco più di 100.000 abitanti. Bagnata dalla Mosella, in una zona della Renania-Palatinato famosa per i vinelli delicati e dolci, Treviri è anche la città natale di uno dei più controversi pensatori di tutti i tempi, Karl Marx. Marx vi nacque – secondo di otto figli – nel 1818 (il 5 di maggio, morirà a Londra nel 1883) da una famiglia ebrea convertita al protestantesimo, in un ambiente internazionale e influenzato dalle idee politiche francesi più del resto della Germania di quel tempo. Suo padre era un avvocato ebreo, brillante e di sentimenti liberali, un uomo colto, attento agli studi del figlio, costretto a rinunciare alla religione di origine a causa delle sue simpatie napoleoniche (cambiò con il battesimo il suo nome in Heinrich). I destini dell’ebraismo in Prussia e Renania influenzarono notevolmente la vita di Heinrich, che – provenendo da una famiglia di rabbini – per primo poté esercitare una professione liberale come l’avvocatura grazie alle conquiste napoleoniche, pagandone poi il prezzo – dopo Waterloo – con la conversione al luteranesimo che dovette costargli assai. Il padre certamente influenzò la vita di Karl più della madre Henriette, anche perché – pur non essendone del tutto convinto (come ogni padre normale era preoccupato dell’avvenire economico di un figlio che voleva dedicarsi alla filosofia…) – gli permise di continuare gli studi con il sostegno economico e l’incoraggiamento psicologico. Marx sin da molto giovane era fortemente dedito a quella vita di studio che avrebbe finito poi per caratterizzare l’intera sua esistenza.
Una lettera al padre spesso citata testimonia sia dell’amore per il padre sia dell’impegno incessante. Nella lettera in questione (datata 10 novembre 1837, il giovane Karl non ha ancora vent’anni), Marx dice di considerare la vita “come l’espressione di un’attività spirituale che si esplica e imprime la propria forma in ogni sfera, nella conoscenza, nell’arte, ed infine nella vita privata…”. Rivela così la sua vocazione intellettuale e filosofica profonda. E, nel commovente post-scriptum, aggiunge “Perdona, caro padre, la scrittura illeggibile e il pessimo stile; sono quasi le 4, la candela è del tutto consumata e gli occhi offuscati…”. Il padre risponderà dandogli un sostanziale assenso, cui aggiunge qualche parola preoccupata sugli aspetti economici legati al percorso di vita che il giovane Karl sembra aver scelto. Marx non dimenticherà mai nella vita la generosità intellettuale del padre, e tenterà negli anni maturi di ricordarla nel rapporto con i suoi figli.
Sin da giovane Karl era stato notato per la sua brillante intelligenza dal barone Ludwig von Westphalen, uno dei personaggi più autorevoli di Treviri, di cui divenne col tempo amico. Marx lo ricordò sempre con affetto e stima. Westphalen gli fece conoscere tra l’altro l’opera di Shakespeare, che fece compagnia a Marx vita natural durante. Del Westphalen il giovane Karl sposò – dopo lungo e appassionato corteggiamento – la figlia, Jenny, di quattro anni maggiore di lui. Le nozze ebbero luogo il 19 giugno 1843. Jenny fu l’amore della sua vita e la madre dei suoi figli, ma anche una compagna intellettuale e una lettrice assidua dei lavori del marito.
Due cose sappiamo per certo di Marx: era un uomo di grande intelletto e profonda cultura; non aveva un carattere facile. Piccolo, tarchiato, dotato di folta capigliatura e barba lunga e disordinata, scuro di carnagione tanto da meritare il soprannome de “il Moro”, Marx era ambiziosissimo, non tollerava essere contraddetto e aveva un’opinione molto alta del proprio valore. Permalosissimo, non esitava ad adoperare tutto il suo acume e la sua sapienza per attaccare chiunque non prendesse alla lettera le sue idee e le sue proposte. E lo faceva senza tenere in alcuna considerazione sentimenti di rispetto per gli altri e di equità intellettuale. Della maggior parte delle persone con cui aveva a che fare pensava – e in questo c’è forse una somiglianza di carattere con Rousseau – che fossero imbecilli o imbroglioni. In sostanza, senza dubbio un genio ma quanto difficile averlo come amico e sodale, e quanto duro averlo come nemico e avversario!
Marx era un filosofo tedesco della seconda metà del secolo diciannovesimo (Leszek Kolakowski nel suo opus magnum sul marxismo inizia con la frase “Marx è stato un filosofo tedesco”). Del filosofo tedesco del suo tempo possedeva caratteristiche tipiche, quali la cultura straordinaria, le competenze multidisciplinari e una robusta arroganza che lo portava a credere che l’andamento del mondo dipendesse da poche essenziali categorie del proprio pensiero. Ma, oltre a essere un filosofo, Marx era sicuramente un umanista a tutto tondo, un grande sociologo, uno storico di rilievo, un economista di primo livello, un giornalista di qualità, un capo indiscusso, un leader politico tanto carismatico da poter essere paragonato ai fondatori delle religioni storiche. Dopo essersi iscritto all’Università di Bonn per studiare legge (1835), già l’anno seguente si trasferì all’Università di Berlino per seguire le lezioni di filosofia, in un periodo in cui la figura di Hegel era lì dominante. Erano anni tutto sommato tristi per l’intellighenzia tedesca sottoposta alla censura del regime autoritario e reazionario di Federico Guglielmo IV. Per laurearsi presentò poi, pare per ottenere il titolo in fretta, la sua dissertazione all’Università di Jena, dove il 15 aprile del 1841 (senza essere presente) fu laureato dottore in filosofia, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Nel complesso, lo studente Karl Marx partecipò intensamente alla vita accademica, facendo parte dei circoli di studenti che la caratterizzavano a quel tempo in Germania, e non disdegnando occasionali bisbocce e persino zuffe (fu anche arrestato per schiamazzi notturni). Negli anni di Berlino, il giovane Karl scopre poi la filosofia di Hegel, un incontro questo che segnerà quanto nessun altro tutta la sua vita intellettuale. Suoi professori negli anni di Berlino furono Eduard Gans, Friedrich Carl von Savigny e Bruno Bauer, del rapporto con il quale avremo occasione di parlare più avanti. Sono questi anni di studio matto e disperato, in cui il giovane Karl spazia dal diritto romano, alla storia e alla filosofia di Aristotele. Col tempo, all’incirca nella seconda metà degli anni 1830, entra maggiormente nel merito dei lavori della cosiddetta Sinistra hegeliana (su cui dopo) e scopre l’opera di Feuerbach. Nella sua stanza da studente i libri erano ammucchiati in disordine e non c’era campo del sapere che non attraesse l’interesse del giovane Karl, che tra l’altro aveva un grande amore per l’innovazione tecnologica. Marx approfondì invece gli studi di scienza economica solo dopo il 1845 – dopo aver letto Proudhon, James Mill, Owen e Sismondi – riuscendo a diventare uno dei grandi economisti della storia.
Come studioso Marx era sostanzialmente un autodidatta. I suoi scritti possono essere suddivisi grosso modo in tre parti:
(i) Lavori giovanili più tipicamente filosofici, tra cui Sulla questione ebraica (1843), e l’Ideologia tedesca (con Engels, 1845-46). In questa parte possono essere considerati anche le Tesi su Feuerbach (1845) e i Manoscritti economico-filosofici del 1844, tutti, salvo il primo, rimasti inediti in vita.
(ii) I grandi scritti di economia: Il capitale (vol. 1 1867, vol. 2 1885, vol. 3 1894). I volumi 2 e 3 sono stati scritti tra il 1864 e il 1878. Allo opus magnum vanno aggiunti i cosiddetti Grundrisse (1857-58) e Per la critica dell’economia politica (1859).
(iii) Gli scritti politici, che sono numerosi e sparsi nel tempo. I due principali sono: il Manifesto del partito comunista (scritto con Engels 1848), e la Critica al programma di Gotha (1875).
Dal punto di vista storico e filosofico interessa – più che i processi al passato – cercare di capire nella maniera più semplice possibile che cosa ha detto veramente Marx e quanto di quello che ha detto può essere considerato importante anche oggi. Naturalmente, in questo modo si ragiona alla luce un anacronismo, cioè valutando Marx da adesso e con lo sguardo di un nostro contemporaneo, non da allora cioè con gli occhi del tempo in cui visse.
Marx, anche se lo sgraviamo in parte della sua eredità più strettamente politica, non è comunque un pensatore semplice. Al contrario, la sua visione generale della filosofia e la sua teoria economico-sociale sono assai complicate. Questa difficoltà è aggravata dal fatto che Marx – geniale come si vuole, ma certo non un uomo ordinato! – pubblicò in vita, oltre a articoli di riviste e giornali, assai pochi dei suoi tantissimi scritti importanti tra cui Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte e il Libro primo del Capitale. Il che vuol dire che egli stesso ritenne all’altezza delle sue capacità solo un migliaio di pagine delle più di trentamila che aveva scritto. Insomma, una certa mancanza di disciplina intellettuale accompagna la sua carriera, e partire dai pochi scritti pubblicati non basta a rendere conto della sua opera complessiva.
Peraltro, anche dire se e come Marx possa essere teoricamente utile oggi è cosa complicata. Il marxismo ai nostri giorni è, con qualche eccezione, periferico da un punto di vista scientifico e non rappresenta parte essenziale del curriculum accademico nelle scienze sociali. Tuttavia, quando si parla di utilità del pensiero di Marx oggi, si intende valutare se e quanto concetti e teorie di Marx che riguardano la lotta di classe, lo sfruttamento, l’alienazione, la natura dell’ideologia, l’interpretazione materialistica della storia, il mutamento tecnologico, il declino del capitalismo abbiano significato alla luce dei problemi sociali e politici del terzo millennio. E forse, si può anche ereditare da lui una visione più generale di tipo metodologico, visione per cui una seria analisi dei fatti non va disgiunta dalle opzioni di valore che prediligiamo, purché naturalmente si faccia lo sforzo di collegare l’una all’altra in maniera convincente. Comunque sia, ogni ardua valutazione del genere per fortuna non richiede – come si è già detto – di sposare il marxismo come credo e pratica di vita. Presuppone invece una ricostruzione storico-critica quanto più serena possibile del lascito intellettuale di Marx, a cominciare dalla sua formazione culturale.
Capitolo 2
Marx: le idee principali
Si sostiene comunemente che il pensiero di Marx poggi su tre pilastri: la filosofia di Hegel, l’economia inglese e la politica francese (l’idea dei tre pilastri è originariamente di Moses Hess come afferma Isaiah Berlin, ma fu resa famosa da Lenin in un articolo del 1913 “Tre fonti e tre parti integranti del marxismo”). D’altra parte questi tre pilastri corrispondono a tre forze dirompenti di quel periodo: la rivoluzione industriale del capitalismo, la rivoluzione francese e l’impatto intellettuale della filosofia idealistica.
Non c’è dubbio però che queste influenze contarono per Marx in ordine decrescente: prima Hegel, poi l’economia inglese e infine e a distanza la politica francese. D’altronde fu un personaggio non tacciabile di eccessivo astrattismo come Lenin a dire che per capire Marx bisogna leggere Hegel. Hegeliano, insomma, Marx lo fu senza dubbio, perlomeno a modo suo. Una lettera giovanile di Marx al padre conferma questa impressione. Marx vi scrive infatti di aver letto Hegel “dal principio alla fine” (non una cosa facile…), e sostiene che proprio Hegel, primo tra i grandi pensatori, sarebbe riuscito a collocare “l’idea nella realtà stessa”. Più in generale, come ha notato Stefano Petrucciani, se la summa hegeliana assegna a ogni filosofia del passato il merito di aver sviluppato una categoria della logica (cioè della realtà), e a sé stessa il compito di tirare le somme di un processo di pensiero, questo stesso modo di argomentare viene applicato da Marx non solo alla storia della filosofia ma a quella dei regimi economici, sociali e politici. Si può da questo punto di vista sostenere, come ha fatto Karl Löwith, che la maggiore distinzione tra i due pensatori sia abbastanza chiara: mentre Hegel aveva fatto il possibile per rendere il mondo filosofico, Marx voleva rendere la filosofia del tutto mondana. Più semplicemente, si può dire che mentre per Hegel lo “Spirito” è la forza motrice della storia, Marx intende sostituire lo spirito con le condizioni materiali di vita. Ma la cosa – come si può facilmente intuire – è più complessa e riguarda l’itinerario tortuoso delle diverse scuole hegeliane (come vedremo tra poco).
L’influenza dell’economia inglese invece ha a che fare con il materialismo di Marx. Marx fu di certo un materialista, ma lo fu a modo suo – lo si può definire un materialista “storico”: a differenza del materialismo settecentesco – ereditato dai francesi d’Holbach, Condillac e Diderot – ma anche e soprattutto del materialismo di
Feuerbach, per Marx il materialismo tradizionale era puramente teoretico mentre lui lo vedeva realizzato solo nella prassi. Marx era materialista innanzitutto perché anti-utopista e sostenitore di una visione “scientifica” della realtà e della storia (che poi la sua visione sia realmente scientifica è questione a parte). La peculiarità del materialismo marxiano sta nel fatto che Marx riteneva che la cultura, la religione, l’arte, la filosofia stessa fossero in stretto rapporto coi modi di produzione e distribuzione della ricchezza. In questo consiste la cosiddetta “concezione materialistica della storia” di Marx. Cosa che in qualche modo rende la filosofia ancella dell’economia. E da questo punto di vista non c’era dubbio che gli economisti classici britannici quali Smith, Ricardo e Mill – da cui Marx riprende la teoria del valore-lavoro – fossero all’avanguardia in quei tempi. Così com’era all’avanguardia l’economia industriale della Gran Bretagna di metà del secolo diciannovesimo, che Marx ebbe occasione di conoscere anche attraverso il lungo sodalizio con l’amico e collaboratore sci...