La prima stella della sera
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La prima stella della sera

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La prima stella della sera

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Informazioni sul libro

«Ci sono ricordi che il tempo non cancella. Riaffiorano talvolta inaspettati e improvvisi. Alcuni dei miei sono legati a una stella, la prima della sera, a una piccola scuola tra i monti e a una torre che s’innalza da una catena dell’Appennino Umbro.
Li racconto per il piacere di riviverli.
Sembrano far parte di una fiaba più che di una vita vissuta. Appartengono a un’epoca lontana da oggi, un periodo del dopoguerra durato a lungo nella nostra zona, durante il quale vivere, per molti, era veramente difficile».
L'Autrice Valeriana Croci è nata nel 1934 e vive a Lama (PG). Ha insegnato per quarant’anni nella scuola elementare nelle sedi più svariate, riportandone significative esperienze, e ha gestito come Presidente per 25 anni a titolo di volontariato la Scuola di Danza di Lama, fondata da lei stessa nel 1974. Da sempre spinta dalla passione per la scrittura, ha partecipato a due concorsi di poesia e in entrambi ha vinto un premio: nel 1999 "Gran Prix International Expressions", con premiazione ad Anzio (Roma) e nel 2010 "Premio Letterario Nazionale C’era l’acca – Fuori dal disagio", Perugia. Ha pubblicato finora due libri di poesie (Attimi, 1958 e Immagini ed echi di una terra senza tempo: Isola Maggiore sul Trasimeno, nel 2002), due libri di racconti autobiografici (Ritagli di vita nel 2015 e Ancora ritagli di vita nel 2016) e due romanzi (Non sapevo nel 2017 e L’altalena della vita nel 2018).

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Informazioni

1

Settembre 1953. Le giornate sono ancora piene di sole. Si vendemmia nei campi che appartenevano ai miei nonni paterni. Una festa alla quale, da ragazzina, partecipavo con entusiasmo. Trascorro giornate di ricordi e di tristezza per l’improvvisa morte di mio padre, avvenuta il primo giorno dell’anno. Sono in attesa di sapere se mi verrà assegnata una sede scolastica e l’idea di insegnare, per fortuna, mi entusiasma. Ho presentato la domanda presso il Provveditorato agli Studi di Perugia per essere inclusa nella graduatoria delle scuole sussidiate dai Comuni. Da quando mi sono diplomata non sono stati indetti concorsi per insegnare nelle scuole statali. So che le sussidiate non prevedono stipendi, né rimborsi. Solo alla fine dell’anno scolastico viene elargito un compenso irrisorio. Si lavora per ottenere un punteggio valido per la graduatoria statale.
Insegnare in una scuola sussidiata significa risiedere in luoghi lontani da città, paesi o agglomerati di case, luoghi raggiungibili solo a piedi, perché non collegati al resto del mondo da strade carrozzabili e situati sui monti.
Desidero cominciare a lavorare anche se farlo sarà un’avventura. Cerco di non pensare ai sentieri impervi delle montagne dove potrei anche smarrirmi o fare incontri paurosi. Imparerò a stare all’erta perché una delle cose che mi verrà insegnata subito dai montanari è che «in montagna anche le siepi hanno occhi e orecchi», quindi attenzione! Sempre c’è qualcuno che guarda non visto.
Un lunedì mattina d’ottobre, con il primo pullman che passa da Selci-Lama, raggiungo Città di Castello. Dalla piazza dove si ferma il pullman parto per l’avventuroso tragitto che devo affrontare. Dovrò camminare a piedi, da sola, fino alla sede che mi è stata assegnata: Ca’ Graziano, non lontana in linea d’aria da Monte Santa Maria Tiberina. In effetti per giungere da una località all’altra occorre camminare molto. Lo imparerò bene e presto.
Ora, lasciata la lunga strada in pianura, devo scegliere attentamente i sentieri che si biforcano, prendere quelli giusti e soprattutto trovare le scorciatoie per arrivare tra Monte Sant’Angiolino e la Montesca. Ho sentito dire che Sant’Angiolino è un vulcano spento, non so se possa essere vero. La Montesca è un luogo meraviglioso. C’è la stupenda villa del Marchese Fran-chetti la cui moglie Alice Hallgarten è famosa per aver ideato un ottimo metodo didattico per l’apprendimento nelle classi elementari e per altri suoi pregi straordinari. Concentrare l’attenzione su queste cose, mi abbrevia la strada.
Arrivo ad Uppiano, ultimo gruppetto di case lungo la via che sto percorrendo. C’è una botteghina. Mi fermo per comprare pane, mortadella, candele, fiammiferi e ricomincio a salire. Non ci sono più scorciatoie.
L’autunno ha reso selvaggio ed aspro il paesaggio ed il sentiero che percorro si distingue bene dalle diramazioni: non ci sono erbe, solo sassi e terra indurita dal sole, dal gelo, da tanti passi ripetuti nel tempo. Più cammino più c’è da camminare. Non ce la faccio più.
Finalmente vedo da lontano due case. Una è attaccata ad una chiesetta. “Sono arrivata” mi dico. È un’illusione. Vedo Ca’ Graziano ma devo giungerci. I piedi mi fanno male. La borsa con l’indispensabile per sopravvivere e per insegnare diventa sempre più pesante. Per fortuna il mondo che mi circonda mi attrae: ogni stagione usa tinte e pennelli che rendono la natura varia e avvincente.
“È arrivata la maestra!” grida una persona. Alcuni alunni sono lì che mi aspettano. Sorrido. Ci studiamo. Ci piacciamo subito.
Prima di entrare, mi guardo attorno. Da dove vengono questi scolari? In lontananza vedo due abitazioni e non arrivano da lì. Sulla porta di casa compaiono degli adulti. Sorridono.
Persone affabili, abitazioni da racconti fiabeschi, prati e cespugli color d’oro, cielo ancora azzurro, terso, luminoso, fanno da sfondo alle mie speranze. Sono contenta. Sento che c’è qualcosa di nuovo e di importante nella mia vita. “Entriamo” dico ai ragazzini. Sono una decina, forse qualcuno di più gli iscritti. Lo saprò presto recandomi in Comune a Monte Santa Maria.
Sistemo sui banchi i presenti. Ce n’è qualcuno per ogni classe. Cominciamo a lavorare.
Partiti gli scolari, cerco di conoscere le persone che abitano nella casa. Enrico, detto il Toscano, affabile, simpatico, gentile; Vittoria, la moglie, così abbondante da chiedersi come sia possibile che possa muoversi; le figlie, due ragazze cordiali, sorridenti, un po’ più grandi di me.
Non esistono impianti elettrici. Imparerò ad usare l’acetilene, la candela, il lume a petrolio e l’odore di questi mezzi d’illuminazione caratterizzerà le serate che in montagna cominciano molto presto e finiscono quando il sonno chiude gli occhi e la mente.
La prossima settimana mi attrezzerò per dormire in soffitta come mi è stato anticipato, ora non voglio pensarci. Guardo la scala di legno che conduce alla botola che serve per entrare lassù e subito giro la testa altrove. Sarà un’avventura, lo sento.
Ogni tanto mi chiedo dove andrò a dormire durante questa settimana. L’unica camera della casa, come l’aula, ha l’ingresso in cucina. Non esistono altri ambienti. Non c’è il gabinetto igienico. Ne ha allestito uno il Toscano al centro del piazzale al di là della chiesa: un capanno con una buca al centro e una finestrella senza imposte e senza vetri. La pioggia e il vento dell’inverno saranno ospiti spesso dentro e compagni di viaggio quando avrò bisogno di andarci.
Mi faccio spiegare dove attingere l’acqua per ogni necessità.
“Oggi la può prendere dalle brocche che sono sull’acquaio, poi le faremo vedere dove andare a prenderla anche per lavarsi.”
“Dove ci si lava?”
“In camera. La settimana prossima porti una bacinella ed un brocchetto insieme alla rete per il letto, il materasso, le lenzuola, tutto l’occorrente insomma.”
Non espongo la domanda che mi assilla. Temo la risposta. Nell’unica camera della casa ci sono due letti matrimoniali, un cassettone di legno scuro e una finestrina che dà sul piazzale tra le due abitazioni che ho visto arrivando. Dove andrò a dormire questa settimana?
Il focolare acceso al calar della sera è la cosa più bella, più piacevole che vedo. Servirà ogni giorno per scaldare, illuminare, cucinare, riunire le persone, ascoltare storie strane, inverosimili, conoscere un mondo fuori del mio mondo. Streghe, spiriti, anime del purgatorio, fidanzamenti, nascite, morti, malattie, usanze strane, animali vari e le loro caratteristiche, tutto verrà passato in rassegna.
Fuori il buio profondo avvolge la casa. Ceno con le persone che mi ospitano poi arriva gente. Tutti vogliono conoscermi. Ascolto, rispondo, faccio del mio meglio per nascondere la stanchezza e il disagio. Dove mi faranno dormire? Ritorna di continuo la domanda che mi assilla.
Gli ospiti se ne vanno tutti. Il lume a carburo non è più in cucina. Illumina la camera e i letti. Ora so dove dormirò. Entro per prima e mi infilo il pigiama. “Si metta nel letto vicino alla porta”, mi dicono.
Mi siedo sulla sponda e sprofondo in uno scricchiolante materasso di brattee di granoturco. I quattro entrano nei letti e ridono e scricchiolii e risate riempiono la camera. La poca luce della candela, il rumore dei materassi, il freddo dell’ambiente, tutto sa di vento forte tra le foglie morte.
La stanchezza e il sonno mi aiutano e mi addormento tra i lamenti rumorosi dei materassi.
Il giorno dopo, finita la mattinata di scuola chiedo a Marina, la più grande delle sorelle, dove devo andare ad attingere l’acqua. Lei mi accompagna con le sue brocche vuote. A me dà un bottiglione ed un recipiente con il manico.
Dietro la casa c’è un sentiero che scende verso il basso. Camminiamo senza parlare e finalmente vedo l’acqua che sgorga in una buca lungo la strada. È limpida e invitante. È pulita? Marina legge la mia espressione. “Ci bevono anche gli animali!”, mi dice. “Sono tanti anni che noi la beviamo e siamo vivi!”
Riempie i suoi e i miei recipienti. Ripartiamo. Mi viene in mente la strofa di una canzoncina per bambini. «Un’ochina, un’ochetta, un’oché, vanno a bere alla fonte del re.» Rido. Ora so dove andrò a rifornirmi d’acqua ma ci sono tante altre cose che non so e non prevedo.
Tra questi monti scoprirò anche l’amore.

2

Cerco di sistemare l’aula in modo che sia funzionale e accogliente. Alle pareti è appesa una carta geografica d’Italia, unico arredo presente. Per gli alunni di prima classe comincio a preparare dei cartelloni con le lettere dell’alfabeto come richiesto dagli attuali metodi d’insegnamento, corrispondenti alla lettera iniziale del nome dell’oggetto o dell’animale raffigurato con i nomi interi.
Ho una certa predisposizione per il disegno e il lavoro quindi per me piacevole, riempie qualche ora dei miei pomeriggi. Una rivista specifica, Scuola Italiana Moderna, mi aiuta ad utilizzare il tempo da suddividere durante le mattinate, tra cinque classi diverse, impegnando contemporaneamente tutti gli alunni.
Lavorare in una pluriclasse non è semplice ma non ho ancora sufficiente capacità autocritica e sono soddisfatta di quello che riesco a realizzare.
Dalla finestra dell’aula entra l’odore della montagna fatto di terra, di cortecce rugose, di piante sempreverdi o scheletrite dalla stagione, di stalla che, anche se pulita due volte al giorno, ospita sempre escrementi freschi di discutibile fragranza.
Di notte dormo meglio, ho imparato a muovermi e ad accettare lo scricchiolio delle brattee secche come una stonata ninnananna.
Il sabato, finita la mattinata di scuola, mi preparo per partire. Sull’uscio, mentre saluto e ringrazio, mi porgono un bicchiere con del vino.
“Grazie, non bevo vino.”
Non ti mettere in cammino se la bocca ’n sa di vino” mi ripetono più volte. Bevo. Mi darà la forza per affrontare la camminata. Restituisco il bicchiere vuoto e chiedo alle mie gambe di non cedere.
“Coraggio, ce la faremo” mi rispondono.
Arrivo a casa di sera. Tante cose da raccontare, tante da tacere per non angustiare mia madre.
Il lunedì mattina parto per Ca’ Graziano con un automezzo che ha sul portabagagli una rete da letto e un materasso e dentro l’indispensabile per sopravvivere. Ho trovato un noleggiatore che fa anche trasporti.
Tra sobbalzi, scossoni e strade inventate, arriviamo a destinazione all’ora che il lunedì comincia la scuola.
L’autista scarica tutto davanti alla casa e mentre io insegno il Toscano e le figlie portano dentro casa la mia roba, la sistemano in soffitta. Io non ho ancora visto l’ambiente, ho rimandato l’impatto il più a lungo possibile. Meglio lasciare sempre un po’ di spazio all’immaginazione, specialmente se farlo diventa un bisogno.
Partiti gli scolari, salgo la scala di legno, sollevo con una mano la botola, entro con precauzione e nella semioscurità, studio la mia camera da letto.
La poca luce penetra da una finestrella senza vetri. Sui riquadri vuoti sono intrecciati dei rametti fronzuti e spinosi per impedire agli uccelli di entrare a mangiare il grano ammucchiato sul pavimento e sorvolato da una nuvola d’insetti che dimostrano la loro soddisfazione per tanta abbondanza di cibo, girandoci sopra in una continua danza senza tempo.
L’ambiente è grande ma su tre lati non si può camminare poiché lì, pavimento e tetto quasi si toccano. Il letto è stato sistemato sul lato in cui l’ambiente raggiunge l’altezza massima.
L’odore del formaggio che si asciuga sopra una tavola appesa ad una trave con fili di ferro, attira i topi e i topi attirano il gatto. La compagnia non mi mancherà.
Trovo un vecchio comodino. Lo sistemo vicino al letto. Potrò così appoggiarvi la candela e avrò i fiammiferi a portata di mano. Pulisco, riordino, sistemo il sistemabile e la sera prima di soffiare sulla fiammella della candela, ispezionerò l’ambiente.
Lo faccio infatti: passo in rassegna ogni angolo, ogni cianfrusaglia, ogni oggetto abbandonato.
Questa sera dormo in camera mia. Dalla finestrella vedo pezzetti di cielo tra le foglie spinose. Non è freddo. Sono ben coperta.
Sento un fruscio, poi un rumore improvviso. Può essere il gatto, possono essere i topi. Per fortuna i ragni non si vedono e non si sentono. Dormono su reti leggere, simili alle nostre che tessiamo ogni giorno e sulle quali dobbiamo imparare a muoverci con accortezza per non distruggerle.
Nessuna esposizione particolareggiata potrebbe descrivere l’ambiente, gli oggetti, i rumori, le sensazioni.
Riesco a dormire ed al risveglio scopro che questa camera non è poi così male.
Passano giorni in cui albe e tramonti hanno lo stesso colore. Vedo le stesse persone, ascolto gli stessi racconti. Mi dedico all’insegnamento con tutta la mia capacità, senza esperienza ma le mattinate di scuola passano veloci e piacevoli sono gli intervalli in cui gioco con gli scolari.
Durante il pomeriggio, se c’è il sole, esco a camminare sui prati incolti e ogni tanto mi appoggio ai tronchi rugosi delle grosse piante. Hanno un aspetto solido ed hanno resistito a tante intemperie che mi parlano di forza e di coraggio.
Qualche volta vado con le figlie del Toscano a cogliere l’insalata dei prati e la sera la mangio per cena con tutta la famiglia che mi ospita. È buonissima. Tra me e tutti loro si è stabilito un bel rapporto, specialmente con il Toscano che intelligente com’è, si rende conto di tutto e ride delle cose spiritose che accadono. Nei giorni di pioggia o nei momenti di riposo, intreccia vimini e crea canestri e cestini. Mi faccio insegnare ed egli lo fa con pazienza e disponibilità. Riesco a realizzare un cestino che conserverò per anni.
Un pomeriggio di una giornata assolata, sentiamo arrivare qua...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19