Dal petrolio alla green economy
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Informazioni sul libro

Questo libro, primo di una trilogia energetica, nasce dall'esigenza di conciliare, in unico scritto strutturato, le differenti relazioni che l'energia ha nei confronti della società, della politica, dell'economia, dell'ambiente e della tecnologia presentando un panorama di vasto respiro sia nell'analisi di ogni singola fonte energetica sia nella disamina dei protagonisti mondiali e locali. Privo di pregiudizi ideologici, si caratterizza come un quadro della situazione attuale per comprendere l'evoluzione futura dell'energia e della società e per confrontarsi con l'intrinseco tema della complessità.

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Informazioni

CAPITOLO 1

LE FONTI ENERGETICHE NON RINNOVABILI




In questo primo capitolo saranno analizzate le fonti energetiche non rinnovabili utilizzate in modo significativo dall’uomo, quelle fonti dunque che dipendono da uno specifico materiale che é estratto dal suolo terrestre. In primo luogo, sarà data una panoramica delle fonti energetiche fossili che tuttora costituiscono il più grande bacino energetico usato dall’umanità, a cominciare dal petrolio e dal gas naturale, per concludere con il carbone e il legno; inoltre saranno presentati i dati relativi all’energia nucleare proveniente da fissione dell’uranio (anch’esso un minerale estratto e dunque non rinnovabile). Per chi pensa che oggigiorno l’umanità stia per abbandonare tali risorse, basta notare che la quota delle fonti energetiche non rinnovabili si é addirittura incrementata negli ultimi 35 anni passando dall’86.5% al 87% di tutta l’energia prodotta; solo scorporando la parte relativa al nucleare si vede una flessione percentuale (ma non assoluta) dei combustibili fossili.
Per ogni fonte energetica, saranno presentati i dati relativi all’energia totale prodotta e alla potenza totale installata a livello mondiale, europeo e italiano, introducendo anche brevemente le applicazioni principali relative al particolare tipo di sorgente energetica. Inoltre si procederà a presentare i dati relativi ai consumi e alle produzione divisi per aree e per evoluzione storica, dando uno sguardo ai costi di produzione, all’evoluzione dei prezzi e alle specificità intrinseche di ogni singola fonte energetica.



Petrolio



Il petrolio é stata la risorsa energetica determinante per la seconda rivoluzione industriale, quella avvenuta durante i primi decenni del Novecento. Uno dei tanti motivi del successo di questa fonte energetica é dovuto al fatto che é estremamente “compatta”; una fonte liquida, facilmente estraibile ed abbastanza abbondante, che racchiude in sé un elevato potere calorifico (che é la quantità massima di calore che si può ricavare dalla combustione stechiometrica di una certa massa di sostanza combustibile) e dunque molto flessibile all’uso per le tecnologie moderne. L’evoluzione degli ultimi 35 anni sul panorama e sull’approvvigionamento delle fonti energetiche ha fatto scendere, a livello mondiale, la percentuale del petrolio sull’energia primaria totale dal 45% al 34%; considerando però che la stessa si é sostanzialmente raddoppiata - a livello annuale da 6'000 Mtoe a circa 12'000, dove 1 Mtoe (o Mtep usando l’acronimo in italiano) corrisponde all’energia di un milione di tonnellate equivalenti di petrolio cioé a 11,63 TWh - l’energia primaria proveniente dal petrolio ha dunque subito un aumento del 52% passando da 2’700 a 4’100 Mtoe all’anno. L’Europa necessita di un’energia primaria annuale di circa 2'000 Mtoe e l’Italia di circa 200 Mtoe con una percentuale totale dovuta al petrolio rispettivamente del 41% e del 43%, dunque sopra la media mondiale. L’aumento dell’energia primaria totale e la diminuzione percentuale del peso del petrolio é facilmente verificabile a livello visivo osservando la figura 1 che rappresenta l’energia primaria totale mondiale per fonte energetica durante il ventesimo secolo. D’altra parte, come semplice combustibile, la percentuale del petrolio é scesa negli ultimi 35 anni dal 53% al 41% a livello mondiale.
Per quanto riguarda i settori di utilizzo, il petrolio risulta fondamentale in quello dei trasporti, in cui l’energia totale proviene da fonti petrolifere per una percentuale che oscilla tra il 96% e il 97% per quasi tutti i paesi al mondo. In effetti, l’uso del petrolio é alla base dei motori a combustione interna che fanno muovere automobili, camion, bus, navi ed aerei. Nei settori industriali, del terziario e residenziale i prodotti petroliferi coprono il 27% del fabbisogno energetico totale italiano, circa il 26% di quello europeo e il 28% a livello mondiale. Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica tramite il petrolio, globalmente la percentuale é letteralmente crollata dal 25% del 1973 al 7% attuale con l’Europa che si attesta solo al 4% e l’Italia all’11%.


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Figura 1: energia primaria mondiale per fonte energetica durante il ventesimo secolo [42].


La produzione mondiale annua di petrolio é passata, negli ultimi 35 anni, da 2'800 a 4'000 milioni di tonnellate e la quota percentuale di questa produzione attribuibile ai paesi del Medio Oriente é scesa dal 37% al 31%, principalmente a favore di paesi asiatici, africani e latinoamericani. Fino ad oggi, vi é stato un massimo assoluto di produzione nel corso del 2008 di circa 90 milioni di barili al giorno (un barile di petrolio corrisponde a poco più di 158 litri). Allo stato attuale, i maggiori produttori mondiali sono riportati nella tabella 1. Come é noto, l’Italia non ha una produzione petrolifera significativa (tanto che importiamo il 94% del fabbisogno nazionale) e nemmeno l’Europa eccezion fatta per la Norvegia.



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A livello di consumi, la classifica é guidata dagli Stati Uniti che ne detengono il 25% su scala mondiale seguiti dalla Cina che ha il 10% e che é in forte ascesa in termini assoluti e percentuali. L’Unione Europea, nel suo complesso, consuma il 19% della produzione mondiale di petrolio, l’Italia contribuisce con una quota del 2.1%. Questa differenza tra produttori e consumatori e la distanza fisica presente tra i vari paesi ha portato alla definizione di una filiera del petrolio che può essere trasportato via nave tramite le petroliere o via terra tramite appositi oleodotti. Inoltre il petrolio ha bisogno di essere raffinato in appositi impianti per generare vari sottoprodotti come la benzina, il gasolio o il cherosene.
Essendo una fonte non rinnovabile dipendente dalla grandezza e dal grado di sfruttamento dei singoli giacimenti, il petrolio ha di per sé una durata limitata nel tempo. Su questo tema, sono stati versati fiumi di inchiostro ed abbondano tanto gli scritti che tendono a lanciare pesanti allarmi su una prossima fine del petrolio tanto quelli che ne prevedono una sua durata ancora per molto tempo. Questa varietà enorme di interpretazioni é causata da una difficoltà oggettiva: stabilire quanto petrolio é rimasto, stabilire l’entità delle riserve e dei giacimenti. Quello che sappiamo é che fino al 2005, l’uomo ha consumato 1'000 miliardi di barili di petrolio e che la domanda petrolifera é prevista in crescita nei prossimi anni, anche se la congiuntura economica di recessione ha calmierato la richiesta nel corso del 2009. Le dichiarazioni attuali sulle riserve petrolifere non sono attendibili in quanto paesi come l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq e la Russia non forniscono alcun dato sullo stato attuale di sfruttamento dei pozzi esistenti né sulla capacità e sulle riserve di quelli appena scoperti. In ogni caso, le maggiori riserve di petrolio “convenzionale” (quello cioè presente nei classici giacimenti del sottosuolo terrestre) dovrebbero risiedere in Arabia Saudita per il 23%, Iran 12%, Iraq 10%, Kuwait, Russia, Stati Uniti. Ciò che possiamo fare, é adottare delle ipotesi ragionevoli e delle stime che considerano anche una non nota percentuale di nuovi giacimenti da scoprire, di nuove tipologie di petrolio da sfruttare e di un migliore sfruttamento degli attuali giacimenti che spesso utilizzano tecnologie obsolete. Anche facendo ciò, le stime delle riserve in giacimenti esistenti e in quelli da scoprire oscilla tra i 1'000 miliardi di barili nei casi più pessimistici e i 10'000 nei casi più ottimistici. In termini di durata, ciò vuol dire che, basandosi sulla produzione attuale, il petrolio si esaurirà tra 30 anni nel caso consideriamo le stime più conservative e 300 anni nel caso di quelle più abbondanti. Se consideriamo però che é previsto un aumento costante della domanda mondiale di petrolio, questi periodi si accorciano a circa 20 anni e 100 anni; un buon compresso che trova molti esperti del settore in accordo é un periodo di durata residua del petrolio tra i 40 e i 50 anni. In ogni caso, é evidente come la principale risorsa energetica del prossimo secolo non sarà il petrolio e, molto probabilmente, non lo sarà nemmeno per una parte di questo secolo.
Connesso a questa tematica, vi é la famosa teoria di Hubbert che prevede un aumento della capacità estrattiva durante la prima parte dello sfruttamento della fonte energetica fino ad un picco di massima produzione ed una successiva graduale decrescita corrispondente al momento in cui si é estratta più della metà della fonte energetica disponibile (ed in questa fase si assisterebbe ad un graduale aumento del prezzo di base della risorsa). Questa teoria, scandita in successive fasi, prevede dunque una presenza di un picco di produzione massima (il celeberrimo “picco di Hubbert”) oltre il quale non è tecnicamente ed economicamente possibile andare.
Nel caso delle stime meno ottimistiche sulle riserve mondiali di petrolio, questo picco sarebbe già stato raggiunto nel 2005; viceversa, in molti concordano che entro il 2015-2020 si raggiungerà questo massimo.
Il petrolio non é in realtà costituito da un’unica tipologia di idrocarburi: sarebbe più corretto parlare di “petroli” perché il potere calorifico, la composizione chimica, la raffinazione, i costi di estrazione e trattamento sono tutti diversi e variano in base al terreno, al paese e al giacimento. Ciò é vero sia per il cosiddetto petrolio convenzionale sia soprattutto per distinguere questo petrolio da quello proveniente da specifiche zone come il petrolio artico, estratto principalmente (circa l’80% di quello esistente) sotto i ghiacci artici dell’Alaska e della Siberia, il petrolio deepwater estratto dai fondali oceanici ad elevata profondità nel Golfo del Messico, al largo del Brasile o dell’Angola, il petrolio “pesante” ad alto contenuto di zolfo presente in Venezuela (il 95% di tutto il petrolio pesante é presente in questo paese) e il petrolio da sabbie bituminose localizzato al 60% in Canada. La percentuale di questi petroli non convenzionali é tuttora risibile rispetto alla produzione totale raggiungendo circa un 5%. Vi sono però riserve stimate che indicano un totale pari, se non superiore, a quelle di petrolio convenzionale; in molti casi queste riserve sono conteggiate già nelle cifre che indicano le riserve totali di petrolio, in particolare per quello che riguarda le stime più abbondanti già citate. In tutti questi casi i costi di estrazione e raffinazione, nonché i costi dei macchinari e delle tecnologie necessarie sono superiori rispetto a quelli del petrolio convenzionale e le rese economiche sono generalmente inferiori. Ecco perché l’estrazione di queste tipologie di petrolio diventa interessante solo con prezzi stabilmente sopra la soglia dei 50-60 dollari al barile.
Il costo del petrolio a livello storico é riportato in figura 2, in cui é rappresentato il prezzo di un particolare tipo di petrolio, il WTI, quotato al mercato di New York. Da questo grafico, si possono vedere le varie fasi storiche, cominciando dalla crisi petrolifera degli fine degli anni Settanta con un picco del prezzo del petrolio, la successiva fase di decrescita di tale prezzo dovuta alla scoperta di nuovi giacimenti e allo sfruttamento più intensivo degli stessi, l’aumento del valore dovuto alla prima Guerra del Golfo nel 1991, la fase degli anni Novanta in cui la quotazione é stata molto bassa, il recente periodo di boom dovuto a vari fattori tra cui l’enorme richiesta di energia petrolifera da parte di Cina, India e Brasile, la speculazione finanziaria, il rialzo generalizzato di tutte le materie prime, il periodo di crollo dei prezzi dovuto alla recessione incalzante dall’ultimo trimestre del 2008 ed infine il recupero durante il corso del 2009 e del 2010.


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Figura 2 andamento storico del prezzo del WTI in $


Questo grafico necessita però di alcune spiegazioni, almeno per avere una visione più completa su un argomento così spesso dibattuto come il prezzo di questa fonte energetica:
- innanzitutto il grafico riporta il prezzo medio mensile per cui non sono evidenziati i massimi e i minimi interni ad ogni mese (ad esempio nel luglio 2008 si é avuto un massimo, per ora assoluto, di 147 $ al barile).
- la quotazione andrebbe riportata all’inflazione, visto che il potere di acquisto di 40$ nel 1979 non é paragonabile a quello di 40$ nel 2009. Così facendo, si vedrebbe che il picco di prezzo degli anni Settanta é sostanzialmente di poco inferiore rispetto a quello raggiunto nel 2008 (e non meno di un terzo come risulta dal grafico).
- il grafico riporta la quotazione in dollari e dunque non tiene conto delle fluttuazioni valutarie di questa moneta rispetto alle altre (ad esempio, la vecchia lira italiana o l’euro).
- il prezzo é riferito al WTI, un particolare tipo di petrolio molto pregiato e poco diffuso e dunque non é rappresentativo di quanto é scambiato relativamente ad altre tipologie di petrolio e ai cosiddetti petroli non convenzionali che generalmente hanno qualità, caratteristiche e prezzi inferiori.
- la quotazione si riferisce a contratti “futures” cioé ad un prezzo di riferimento di contratti con scadenza futura (generalmente qualche mese) e non al prezzo corrente dei contratti reali di quel giorno. Inoltre i paesi produttori, le compagnie petrolifere, le società di raffinazione e di distribuzione, spesso si accordano con contratti quadro con prezzi fissati annualmente in base al valore medio della quotazione dell’anno precedente.
- infine la quotazione é quella del mercato di New York. Il petrolio é scambiato in altre piazze finanziarie (ad esempio Londra) con prezzi leggermente diversi.
Detto questo, l’impatto delle variazioni del prezzo del petrolio varia da paese a paese, dipendendo più dal carico fiscale imposto dallo stato, dalla concorrenza della rete di raffinazione e distribuzione e dal mix energetico utilizzato nel complesso che non dal costo in sé della materia prima. In effetti, il Regno Unito ha un impatto della variazione di tale prezzo sul costo finale che é solo la metà rispetto a quello italiano, la Germania solo un quinto e la Francia addirittura meno di un decimo.



Gas naturale



Il gas naturale é il combustibile fossile che é destinato, secondo le attuali previsioni, a diventare la prima fonte energetica per l’umanità nei prossimi anni, superando la quota percentuale del petrolio a livello mondiale. Difatti negli ultimi 35 anni, la percentuale del gas naturale sull’energia primaria é salita dal 16% al 24%, passando da 960 Mtoe a 2’800 Mtoe con un incremento dell’utilizzo di ben il 191%; le percentuali europee e italiane si attestano rispettivamente al 26% e al 36%. Come semplice combustibile, la percentuale del gas naturale é salita negli ultimi 35 anni dal 19% al 22% a livello mondiale.
A livello di settori di utilizzo, il gas naturale ha pochissima rilevanza in quello dei trasporti (solo l’1%) principalmente dovuto ad autoveicoli circolanti con impianti che usano questa fonte energetica. Questa percentuale é abbastanza uniforme in tutto il mondo, con dei picchi di massimo il 2% nei paesi tecnologicamente più avanzati e una percentuale quasi nulla in continenti come l’Africa e l’Asia. Viceversa, il gas naturale risulta una fonte primaria nei settori industriali, del terziario e residenziale con quote che variano dal 31% a livello mondiale al 38% a livello europeo ed addirittura al 45% a livello italiano; anche per quanto riguarda la produzione di energia elettrica globalmente la percentuale é cresciuta dal 12% del 1973 al 17% attuale con l’Europa che si attesta al 21% e l’Italia perfino al 52%. Da questi dati si evince come l’Europa, ed in particolare l’Italia, stia scegliendo una strada “a tutto gas” almeno nel breve periodo, dati accentuati dopo l’incidente di Fukushima e la situazione nordafricana e mediorientale, in particolare il caso libico.
Ciò ha varie motivazioni: innanzitutto il gas naturale ha un potere calorifico maggiore rispetto al petrolio e al carbone e sono state implementate tecnologie ad alta efficienza per lo sfruttamento di centrali elettriche a gas, come i cicli combinati, la cogenerazione e il teleriscaldamento. Inoltre, gli impianti che utilizzano il gas naturale per produrre energia sono quelli che necessitano di un minore investimento iniziale in proporzione alla potenza installata e sono realizzabili in tempi minori rispetto agli impianti che sfruttano altre risorse energetiche. Infine, il gas naturale é il combustibile fossile che produce meno emissioni di anidride carbonica per unità di energia prodotta, non contiene pressoché ceneri e metalli pesanti ed ha il notevole vantaggio di essere un combustibile fossile facilmente utilizzabile con elevati rendimenti. La percentuale italiana dovuta all’energia proveniente dal gas naturale é così elevata per la progressiva sostituzione negli ultimi 15 anni di vecchie centrali elettriche a carbone o a petrolio con centrali a gas e per l’ormai ventennale conversione degli impianti di riscaldamento domestico e industriale da fonti petrolifere al metano.
La pro...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Dal petrolio alla green economy
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. PARTE PRIMA
  6. CAPITOLO 1
  7. CAPITOLO 2
  8. CAPITOLO 3
  9. PARTE SECONDA
  10. CAPITOLO 4
  11. CAPITOLO 5
  12. CAPITOLO 6
  13. PARTE TERZA
  14. CAPITOLO 7
  15. CAPITOLO 8
  16. CAPITOLO 9
  17. BIBLIOGRAFIA