Palmiro
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Dopo decenni di clandestinità, torna in libreria il romanzo di formazione di uno dei maggiori poeti contemporanei, Luigi Di Ruscio, un libro avvincente, travolgente. Scritto dal basso verso l'alto, con felicità inventiva e cadenza orale, guardando alla vita come sopravvivenza, il romanzo ha il ritmo tragicomico di un'epopea picaresca dove il protagonista ne combina di tutti i colori ma rivolge di continuo a se stesso le domande più essenziali: ce la farò a sfangarla e a trovare un lavoro? chi sarà la mia donna? E la rivoluzione, quando scoppia la rivoluzione? Ma il piccolo eroe gira a vuoto e decide dunque di emigrare; prende il treno e finisce ad Oslo a fare l'operaio: è lì che incontrerà la sua musa-moglie e si inoltrerà, suo malgrado, nel beato paradiso dei socialdemocratici.

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Informazioni

PALMIRO
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LA GENERAZIONE BOMBARDATA
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Nella biblioteca c’era un infinito tutto scritto. Si poteva anche riscrivere tutto. Quell’infinito emanava un grande odore di sudore seccato: da questo enorme odore venne fuori l’espressione le sudate carte leopardiane.
La totale indifferenza degli anarchici per le elezioni, fu rotta durante il referendum.
Venne una vecchia anarchica a tenere l’ultimo comizio per la monarchia, tutti gli anarchici seduti per terra riuscirono a gridare per due ore puttana rinnegata. Un Umberto ammazzato a rivoltellate da un anarchico, e l’ultimo Umberto difeso da una anarchica: tutto questo poteva avere un significato. Quale, non sono mai riuscito a scoprirlo. L’ultimo Umberto aveva racimolato a fatica un gruppo di oratori per difendere l’ultima monarchia; molti erano generali in pensione sconfitti in tante bellissime battaglie. Era difficile trovare oratori monarchici, perché tutti i milioni di monarchici stavano rintanati. Si stanarono tutti il giorno delle elezioni e scarcerarono anche le monache rinchiuse. Io pensavo che tutto il pretame avrebbe votato repubblica perché cantavano sempre a squarciagola noi vogliam dio che è nostro re e non potevano quindi andare a votare per re Umberto. Dopo aver votato, tutti si rintanarono di nuovo e venne inventata la celere per frenare quelli che non si volevano rintanare. Inventarono anche la legge truffa per far rintanare ancora meglio tutto. Il paese era tutto sborniato di manifesti, non occorreva andare in biblioteca per avere roba da leggere, avevo a disposizione un paese intero da leggere, non si vedevano più i muri. Potevamo mettere i manifesti ovunque, ad eccezione dei muri adiacenti ai luoghi sacri, ma anche nei muri sacri c’era molto da leggere, anche le attività religiose sotto le elezioni erano frenetiche, c’era sempre uno che si convertiva e un prete che per dispetto si spretava.
Facevano passare continuamente la dea trafitta da duecentocinquanta spade molto lunghe e tutte bene affilate, chi aveva inventato la dea non si sapeva proprio, ma l’invenzione era relativamente recente. Ad ogni modo questa dea in Vaticano non l’hanno mai fatta entrare perché in Vaticano preferiscono madonne rinascimentali molto belle e molto tranquille, senza infilzamenti di spade e senza schizzamenti di sangue: la dea con le duemilacinquecento spade serve come mezzo terroristico, e in Vaticano non si vogliono far terrorizzare.
Furono mobilitate anche le vergini di maria. Alcune, millenarie, erano riuscite a salvare la verginità mentre tutto il resto precipitava nella perdizione. I vergini di maria non riuscirono a mobilitarli perché non esistevano, perché tutti venivano sverginati al casino a lire duecento a marchetta. Nel casino c’erano due sale d’aspetto, una per la gente comune e un’altra per la gente rispettabile che non poteva farsi vedere dalla gente comune: insomma, la gente rispettabile non voleva perdere la rispettabilità. Infatti chi ha il potere si veste sempre di una grande rispettabilità, ma certamente sotto questa rispettabilità ci sono le comuni miserie, che però devono essere nascoste molto bene con enormi paramenti sacri.
Il casino era l’unica casa non benedetta durante la santa pasqua, evidentemente perché sverginava tutti i potenziali figli di maria. Poi venne una scomunica speciale per tutti i comunisti e non andarono a benedire neppure le case dei comunisti, ma c’erano certi parroci che clandestinamente benedivano le case dei comunisti perché facevano questo ragionamento, che se gli abitanti di una casa sono matti la casa non deve patirci pena.
Nel corso avevano messo striscioni di stoffa, e passavo sotto magnifici archi di trionfo quando mi recavo in sezione dove era abolita ogni gerarchia, chi arrivava prima comandava. Io arrivavo sempre prestissimo, c’era un via vai di gente che chiedeva le cose più strane: uno voleva i manifestini della democrazia cristiana dove veniva promesso di far diventare tutti gli italiani proprietari con una domestica per famiglia senza dover espropriare nulla; un altro voleva la collezione dell’Unità del periodo clandestino; uno voleva perfino la copia dei discorsi tenuti dalla democrazia cristiana proprio sotto la statua di papa Sisto (non si capisce perché hanno fatto la statua di un papa mentre fa i bisogni corporali).
Per finanziare la campagna elettorale venne dalla direzione un assegno di quarantamila lire. Nella sezione ci furono delle grandi cagnare per quelle quarantamila lire, quelli che delle quarantamila lire non vedevano una lira non stavano mai fermi.
In sezione c’erano due poeti, uno epico e l’altro lirico, ed era il lirico a fare i comizi più infocati e a fare le discussioni più infocate. Parlare contro la legge truffa non era veramente difficile, i democristiani controbattevano con i prigionieri in russia che non rientravano.
Camminavo per tutto il paese con pacchi di manifestini, dovevano tutti essere distribuiti, e non fare come nelle elezioni precedenti, dove mucchi di manifesti rimasero per anni nella sezione e arraffati dai due poeti che felici li riempivano di tutto il cretino poetico immaginabile e possibile.
Correvo alla biblioteca comunale e depositavo una copia di tutti i manifesti perché credevo assolutamente necessario che quella campagna elettorale fosse eternata negli archivi. La piazza di sera era sempre piena di gente che aspettava i comizi: nessuno andava più al cinema, il fotografo proclamava che la lotta contro la legge truffa era una messa a fuoco storica, lo studente in legge che era un obbrobrio legislativo, il maestro che la lotta era una lezione storica. Io che ero disoccupato dicevo che la legge truffa poteva essere inventata solo da disoccupati mentali.
Di notte, andando ad attaccare i manifesti, se incontravamo gli attacchini democristiani gridavamo forchettoni! e ladri di Dio! (questa espressione fu inventata dal poeta epico).
C’era la concorrenza per attaccare i manifesti nei posti migliori; questa concorrenza la vincevo sempre, in questo ero veramente competitivo. In piazza partecipavo a tutte le discussioni, avevo una specie di febbre. La legge truffa non passò, ma i democristiani imperterriti continuavano a passare e continueranno a passare sino alla consumazione di tutti i secoli. E avvenne anche che Walter, da mio nemico mortale più prossimo, mi fece sovvenzionare dalla presidenza del consiglio della repubblica lire trecentomila per sovvenzionare questa ricostruzione storica, e per questa operazione fu paternamente rimproverato dal segretario del vescovo. Invece il vescovo titolare non disse niente, perché non dice più niente e se deve dire qualcosa si rivolge direttamente al Padreterno.
Incontravo Roscetta e gli domandavo: «Perché ti chiamano Roscetta che sei nero come un carbone?» Rispondeva che era tutta una pagliacciata e di serio c’era solo la rivoluzione, e alla sera andavamo a casa del commerciante d’oro all’ingrosso a giocare a ramino. Riuscivamo tutte le sere a vincere mille lire a testa. Vincevamo ogni sera circa mille lire a testa perché il commerciante segnava la matta. Questo segno che doveva essere segreto non lo era affatto, lo vedevamo benissimo, e la matta la sequestravamo noi e non il mercante, che il segno segreto non riusciva sempre a vederlo. La partita a ramino finiva alle tre del mattino e io e Roscetta spartivamo i soldi della vincita. Io mi facevo prendere dai rimorsi. Roscetta diceva che bisognava levargli anche le mutande, che i soldi li hanno guadagnati durante la guerra quando i poveri disgraziati andavano a vendersi la fede per la fame. Infatti il mercante d’oro diceva che con l’oro non si fa politica, che l’oro è come il sangue, più uno ha oro e più sta meglio di salute e dorme meglio di notte. D’oro ne aveva tanto che andò a finire anche nelle casse della repubblica di Salò. D’oro ne aveva tanto che divenne anche l’oro di Dongo. La matta riuscivamo a sequestrarla in permanenza, così per tutto l’inverno del ’52-’53 avevamo sempre mille lire in tasca. Potevo andare al casino una volta alla settimana, comperare una Unità nuova di zecca tutti i giorni senza dover aspettare la sera una Unità tutta acciaccata che mi passava un compagno. Bisognava assolutamente leggere prestissimo l’articolo di fondo dell’Unità, sapere immediatamente quale era la linea politica del partito per impostare in maniera infallibile tutto il lavoro politico della giornata.
Roscetta viveva alle spalle dei fratelli, tutti calderai comunisti, le persone più tranquille del mondo, ma certe volte che erano incazzati dicevano che si erano stancati di mantenere uno che fuma, mangia, beve e visita il casino continuamente, come se mangiasse, fumasse, bevesse e facesse visite tutto contemporaneamente ventiquattro ore su ventiquattro, che non sarebbe bastato il tesoro della curia vescovile.
Roscetta mi confessava che i fratelli erano comunisti del cazzo ed era proprio lui che si sacrificava per la causa, e che se tutti erano come i fratelli il comunismo non si sarebbe realizzato mai, neppure con l’aiuto del Padreterno Immobile.
Roscetta mi diceva che aveva comperato tanta carta bollata per le domande che un giorno la signorina dello spaccio gli disse «Ma Roscetta, ’ste domande che le fai a fare? Ai comunisti un giorno glielo daranno il posto stabile, sì, ma in galera!»
Nonostante che i compagni dirigenti non sopportavano Roscetta perché era amico e anche parente strettissimo di anarchici e incendiari, in verità Roscetta mi diceva che gli anarchici erano anarchici di merda, che erano dispostissimi a mettere in comune solo i soldi degli altri. Insomma, nonostante che i dirigenti erano contrari a Roscetta, Roscetta riusciva sempre ad avere le cariche importanti di sezione e federazione perché aveva alle spalle una contrada che rossa lo è stata sempre: erano rossi anche i cani e i gatti; solo il parroco era scelto tra i più avvelenati anticomunisti, come se volessero frenare una marea che invece il parroco riusciva solo a far crescere. Come sempre la curia sbagliava, un parroco più tranquillo e meno arrabbiato e anche un po’ menefreghista sarebbe riuscito molto meglio.
Roscetta segretario di sezione non riuscì mai a diventarlo, ma faceva di tutto per far eleggere un vecchio compagno che veniva dal socialismo massimalista di prima della marcia su Roma. Un compagno rispettabilissimo, che aveva salvato la bandiera del socialismo nascondendola sotto il materasso. Ha dormito sopra la bandiera socialista per venti anni, cosa che è riuscita solo a lui, mentre i fascisti facevano moltissime perquisizioni per trovare questa bandiera che non fu mai trovata perché non lo sapevano proprio che dalla nascita di Cristo sino alla fine del mondo i nascondigli più segreti saranno sempre sotto il materasso, perché da sempre e per sempre la gente vuole dormirci sopra alle cose più care. Ed era il segretario che ad ogni vecchio o giovane compagno che moriva senza sacramenti religiosi, voleva trasformare il funerale in manifestazione rivoluzionaria, perché diceva che avevamo tutto per i funerali: le bandiere sacre, il poeta lirico per le orazioni funebri e un Cristo nostro che è stato sempre socialista e morto crocifisso per la causa, e se manca l’acqua santa abbiamo i pugni chiusi anche per spaccare i denti a qualche prete stronzo .
Fu il vecchio socialista massimalista che fece espellere dal partito comunista tutta la famiglia dei mercanti in oro per diserzione e tradimento, perché pare che avessero firmato il patto di pacificazione con i fascisti e con un peschereccio passarono le linee alleate non potendosi portare dietro tutto l’oro che finì nelle mani dei fascisti. Quell’oro, che i fascisti chiamavano l’oro di Mosca, invece era tutto l’oro dei poveri disgraziati. «Io divento matto», diceva il commerciante in oro. «Un socialista massimalista è riuscito a far espellere me dal comunismo! Io che sono comunista della prima ora e ho assistito alla fondazione del partito a Livorno ed ero della corrente di Bombacci che era la corrente più rivoluzionaria del partito!» (Anche se Bombacci a forza di fare il rivoluzionario andò a finire a Piazza Loreto con tutta quella bella compagnia allagata di sputi).
Era evidentemente verissimo che a forza di andare a sinistra, alla fine si va a finire sulla destra, perché anche la politica è tonda e ci deve essere un punto dove la confusione deve essere terribile e indescrivibile anche per il sommo Alighieri che di casini ne ha descritti magnificamente moltissimi.
La caccia all’oro durante la guerra era cosa seria. Certi si levavano i denti d’oro e li sostituivano con quelli d’acciaio inossidabile che erano anche più duri, il commercio dell’oro andava sempre meglio ad ogni ritirata, il commerciante d’oro era felice, e ad ogni ritirata l’oro aumentava di prezzo e si avvicinava la fine della carogna fascista e alla fine le ritirate divennero tante che la felicità si trasformò in gioia suprema.
Continuavamo a giocare il ramino truccato. Certe volte arrivammo anche a cinquemila lire, e certe volte a cinquecento, e Roscetta diceva che non poteva più perdere tempo per duecentocinquanta lire a testa. Quando eravamo soli Roscetta non faceva le mosse, non cambiava la voce per fare bella figura, parlava semplicemente senza le recite. Stiamo ad aspettare questa rivoluzione che non viene, stiamo a leggere tutti i giorni l’Unità per vedere i segni preliminari dello scoppio, segni ce ne erano tanti e non scoppiava niente, la rivoluzione la fa chi non ha nulla da perdere e i nostri dirigenti con la loro vita borghese hanno tutto da perdere. Togliatti ha una villa piena di libri, se viene lo scoppio correrà il pericolo che scoppino anche i libri.
Gli alleati buttarono le penne esplosive: bastava che una ragazza scrivesse caro Mario e scoppiava la penna, il caro Mario e la fidanzata.
A ramino giocavamo sporco, ma non avevamo più rimorsi. Aspettavamo bramosamente la grande festa, come nella prima età, quando s’aspetta bramosamente il dì festivo.
Il gioco del ramino truccato finiva alle tre del mattino, se a Roscetta serviva la carta io gliela calavo, la matta e le matte erano sequestrate. Poi camminavamo per un paese deserto sino a che lo scuro era spaccato dal chiarore che veniva dal mare: il paese era immobile, fermo, silenzioso, ci muovevamo solo noi due, quello che si muoveva era veramente troppo poco.
Camminavamo e parlavamo di tutto con gli occhi ancora pieni di figure, di matte, di cuori fiori picche e quadri. Le carte avevano una puzza che si attaccava sui diti, i grassi dei diti sulle carte puzzavano, non potevamo andare a dormire con quelle puzze.
Quando Roscetta era al caffè cambiava voce e diceva belle parole e ci teneva a far capire che era un comunista superiore e non fanatico. Si guarda sempre le mani, diceva che non credeva alle cose di propaganda, e che lui è superiore. La politica è divisa in due parti, quella pubblica e chiara che sta chiara sui giornali, e quella misteriosa che non sta mai sui giornali e che diventerà sempre più misteriosa che alla fine non ci capirà nulla nessuno neppure i massimi astutissimi politici che stanno a Roma credendo di dirigere tutto invece non dirigono più assolutamente nulla.
Un giorno Roscetta mi disse che aveva trovato una che si chiamava Ilda, che se la portava di notte alla sezione che c’era un’ottomana. Il gioco del ramino truccato divenne sempre più raro, Ilda era entusiasta di Roscetta perché è intelligente, capisce le cose, è superiore, sa fare gli esercizi lungamente, e dopo gli esercizi è euforico e non si addormenta.
Roscetta è chiamato anche «Pizza» perché leva dal naso lo sporco col dito mignolo e ci fa le pallinette che tira come fosse una pallina. Quando prende un caffè tiene la tazzina con un dito teso e beve, e il dito mignolo indica un punto, mai lo stesso. Nelle discussioni di caffè sta sempre al centro perché sa tutto del calcio e del ciclismo, sa moltissime barzellette sporche, se ha i soldi fa lo strafottente e se non li ha è particolarmente umile e gli occhi sono pieni di acqua e si sente male e cerca le medicine e politicamente diventa una merda. Scrive certe corrispondenze sportive, e in questo tiene lo stile camoriano. Cosa fosse questo stile non ho avuto mai il coraggio di domandarglielo. Scrive a macchina alzando molto le mani e i diti piovono in picchiata sui tasti ed è un precipitare velocissimo delle levette sulla carta, scassa la macchina, appiattisce i caratteri, buca la carta.
Roscetta subito dopo la liberazione aveva un’amante chiamata l’americana. Roscetta diceva a tutti che aveva scoperto l’america, di Ilda parlava con indifferenza perché se ci stava sempre, non prendeva mai l’iniziativa. Il grande amore fu con l’americana e basta. Partita l’americana, Roscetta lasciò gli anarchici e ritornò al partito e divenne mio amico.
Col passare degli anni i partigiani contarono sempre meno e alla fine Roscetta aveva sbalzi di umore paurosi. I ragionamenti vertevano sempre di più sulle donne, ogni sera raccontava avventure e mi metteva un’eccitazione nell’anima e dovevo andare al casino.
Diceva che il periodo più bello fu quello militare e il più grande amore l’americana, che era insaziabile e lo stimolava sempre, e tutta la ginnastica aveva imparato, e con gli anarchici nella saletta aveva giocato e bevuto.
Gli anarchici compravano una damigiana di vino per volta; la damigiana era collettivizzata, ognuno beveva quanto voleva e pagava quando poteva, se non riusciamo a collettivizzare una damigiana di vino l’anarchia non scoppierà mai. Si discuteva il modo migliore per far scoppiare la rivoluzione, scoppiare lo stato, scoppiare tutto.
L’americana andò a prenderlo e andarono dal sindaco con i testimoni. Il sindaco con la fascia tricolore era democristiano, e proprio lui dovette legalizzare il primo concubinaggio dopo venti anni di fascismo che aveva fatto tanti sbagli, ma i concubinaggi se c’erano non erano mai legalizzati dal podestà. E fu un matrimonio civile che divenne zero, annullato, perché l’americana era sposata anche in america; ma non solo era sposata, ma si risposò subito appena messo piede in america. Tuttavia Roscetta rimase indissolubilmente legato a questo matrimonio nullo e zero per trenta anni e ci volle un casino di plebiscito per liberarlo da questo matrimonio nullo, mentre l’americana continuava a sposarsi continuamente perché era una donna seria che voleva fare l’amore continuamente, ma sempre dentro il matrimonio, e di uomini che resistevano a lungo non li ha mai trovati perché era veramente famelica.
Nessuno seppe mai come era capitata proprio in questo paese ’sta am...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Prefazione: di Massimo Raffaeli
  5. Palmiro