Prima Parte
Presentazione
di Stefania Crogi
Segretario generale Flai Cgil
Il Secondo Rapporto Agromafie e Caporalato, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, rappresenta un nuovo contributo della Flai Cgil all’analisi del fenomeno del lavoro nero, del sommerso in agricoltura e, più in generale, di tutti i fenomeni d’illegalità presenti nel nostro settore.
Da una rinnovata geografia delle mappe dello sfruttamento, che avevamo già tracciato nel 2012, si è partiti per analizzare il fenomeno anche alla luce degli effetti dell’applicazione dell’articolo 603bis del Codice penale (che ascrive il caporalato quale reato penale) e di una diversa attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni rispetto alla piaga del caporalato e dello sfruttamento in agricoltura.
Il Rapporto, che già nella passata edizione è stato strumento utilissimo di lavoro ed intervento, non soltanto per noi, ma soprattutto per soggetti a noi esterni, in questa edizione si arricchisce nella sua fotografia dell’Italia dello sfruttamento. Infatti, passiamo da 14 a 18 mappe regionali dettagliate, con epicentri di sfruttamento e flussi migratori transnazionali e interregionali.
Un’altra novità sono i tre casi di studio, uno al Nord (Piemonte), uno al Centro (Lazio) e uno al Sud (Puglia): tre focus di approfondimento in cui trovano spazio storie “in presa diretta”, buone e cattive pratiche e l’interazione della Flai Cgil con il mondo dell’associazionismo che, nei diversi territori, ha condiviso con il sindacato pezzi importanti di strada.
I numerosi interventi, tutti affidati a specialisti e studiosi dei diversi settori, ci consegnano un testo che è un vero e proprio manuale, non solo per comprendere il territorio e le questioni che quotidianamente si affrontano, ma per poter agire ed operare per modificare lo stato di cose esistenti. Dalle politiche di insediamento sindacale alla legislazione vigente in materia di lavoro e di immigrazione, ai dati sull’economia sommersa fino all’analisi delle trasformazioni del settore agricolo anche attraverso il binomio qualità/eticità.
Da quando, come Flai Cgil, abbiamo dato vita a denunce, campagne di sensibilizzazione, attraverso la straordinaria formula del Sindacato di Strada, richieste di interventi concreti da parte della politica e delle istituzioni, qualche passo in avanti è stato compiuto.
Numerose indagini hanno confermato la presenza del fenomeno del caporalato in tutta Italia, da Nord a Sud. Alcuni processi, quali il processo Sabr, Dacia e Santa Tecla, che sono stati avviati, vedono alla sbarra caporali ed imprenditori e la Flai Cgil costituitasi parte civile, dando un sostegno concreto a quei lavoratori che hanno trovato il coraggio di denunciare e dire basta.
In questo ultimo anno di attività, durante il quale si è lavorato anche per la seconda edizione del Rapporto, all’opera di denuncia e di richiesta di intervento da parte delle istituzioni e di quanti sono preposti ai controlli, la Flai insieme con Fai e Uila hanno elaborato una proposta attraverso la quale aggredire all’origine il sorgere e proliferare del caporalato.
Se la situazione è quella che siamo riusciti a denunciare e far emergere con forza, portandola anche all’attenzione dei media che hanno riscoperto il senso e l’esistenza del concetto di caporalato e sfruttamento delle braccia, il passo successivo è stato per noi agire sul mercato del lavoro agricolo, cioè sulle modalità di incrocio di domanda e offerta di lavoro in agricoltura, dove l’intermediazione illecita la fa da padrone in troppi casi.
Da qui nasce la proposta per un DDL sul mercato del lavoro agricolo, affinché possa essere gestito in modo pubblico e trasparente, attraverso una “Rete del lavoro in agricoltura”, luogo virtuale e reale, dove attraverso il coinvolgimento dell’Inps sarà possibile far incontrare in tempi brevi ed in modo efficace domanda e offerta.
In questa direzione abbiamo già sperimentato nell’ultimo anno esempi virtuosi provenienti da alcuni territori come la Puglia con la sua legislazione regionale sul lavoro e l’introduzione degli indici di congruità e l’apertura nel Comune di Eboli di uno Sportello per il collocamento pubblico contro l’illegalità in agricoltura; ed ancora il protocollo sottoscritto con la Prefettura di Torino per un tavolo antidiscriminazione e anti-tratta.
La nuova fotografia dell’Italia che lavora nei campi e le proposte ed iniziative promosse dalla Flai Cgil contribuiscono a rafforzare l’idea, che può diventare realtà, che non può esserci una produzione di qualità senza la qualità del lavoro, cioè rispetto dei diritti, dei contratti, delle leggi: una filiera della qualità e della legalità attraverso – scusate la ripetizione – l’intera filiera della produzione, trasformazione e commercializzazione del prodotto.
Riuscire in questa impresa non solo è giusto, ma conviene poiché si va a liberare un settore come quello dell’agroalimentare – in salute rispetto allo stato di crisi esistente e che dà grandi performance – dalla zavorra dell’illegalità che, se crea facili guadagni per alcuni, non crea valore aggiunto, non crea vera e sana occupazione, non crea qualità.
Le agromafie e il caporalato: uno sguardo di insieme
di Roberto Iovino
Resp. Legalità Flai Cgil
Le mafie che cambiano l’economia, l’economia che cambia le mafie
Negli ultimi anni le mafie sono diventate sempre più un fenomeno economico capace di confrontarsi con lo scenario globale, piuttosto che un mero fenomeno criminale.
La violenza, la sopraffazione e la prepotenza mafiosa sono state leve che hanno avuto come fine l’illecito arricchimento, la ramificazione del fenomeno mafioso nei diversi strati della nostra economia, qualcosa di sicuramente più complesso dei singoli – seppur significativi – fatti di efferata violenza che continuano a insanguinare le nostre strade e le nostre città.
Che dietro ogni delitto mafioso si nascondesse un interesse economico non lo scopriamo certo ora – soprattutto non è un dato nuovo per chi fa sindacato – ma è doveroso riscontrare che tale consapevolezza sia diventata diffusa e sistemica solo negli ultimi anni.
Tale constatazione per molti di noi – come per gran parte della società civile impegnata nei percorsi di legalità e antimafia – era nota sin dalla fine degli anni ’70, quando l’On. Pio La Torre presentò la prima proposta di legge per aggredire i patrimoni mafiosi attraverso la confisca. Nella relazione allegata alla proposta di legge – presentata nel lontano 1980, proposta n. 1581 – vi si poteva leggere: «La mafia, peraltro, opera anche nel campo delle attività economiche lecite e si consolida così l’impresa mafiosa che interviene nelle attività produttive, forte dell’autofinanziamento illecito e mira all’accaparramento dell’intervento pubblico (…) Il fenomeno, evidentemente, non può essere considerato solo sul piano repressivo e preventivo, occorre una politica volta a eliminare le condizioni che favoriscono lo sviluppo del fenomeno mafioso: una politica che dia ordine ai fatti economici, che organizzi e programmi lo sviluppo, che riduca lo spazio del liberismo selvaggio».
Come noto da lì a pochi anni Pio La Torre sarebbe caduto sotto i colpi della seconda guerra di mafia, e solo dopo il suo barbaro omicidio – e dei tanti altri che pagarono col sangue una stagione di efferata violenza mafiosa – sarebbe stata approvata la legge che oggi permette di sequestrare e confiscare in via preventiva i beni illecitamente accumulati dai mafiosi.
Nonostante ciò, le mafie in questi anni hanno continuato il loro percorso d’infiltrazione e ramificazione, ampliando il loro raggio d’azione dai territori a tradizionale presenza mafiosa fino alle nuove frontiere aperte dal libero mercato e dalla globalizzazione; dal sud al nord Italia, dall’Italia al resto d’Europa e dall’Europa al resto del mondo. Non deve stupire, dunque, la mole di studi e approfondimenti sviluppati in questi anni volti a dimostrare la capacità pervasiva delle mafie nei mercati in espansione, nei settori della vecchia e nuova economia: dalla produzione di beni e servizi alla loro commercializzazione, sfruttando a pieno le potenzialità di quelle che La Torre definiva: «le condizioni che favoriscono lo sviluppo del fenomeno mafioso».
Anche per questo è sempre più difficile individuare un confine netto – soprattutto in ambito economico – su ciò che è direttamente riconducibile ad una condotta mafiosa e cosa invece costituisce un atteggiamento connivente o semplicemente compiacente. Questi ultimi sono comportamenti comunemente ricondotti a quella che per anni è stata chiamata Zona Grigia; oggi sono molti a sostenere (e a buona ragione) che questa sfumatura rischia di essere uno specchietto per le allodole, e che invece siamo di fronte ad un sistema capace di autoalimentarsi, che rende «più opachi e porosi i confini tra mercati legali e illegali». Effettivam...